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Il voltafaccia del Pacifico

Giappone, Corea, Cina: due amici fidati - e un nemico ininfluente - degli Stati Uniti stanno diventando concorrenti pericolosi

Giappone

Dopo la caduta del muro di Berlino, si pontificò sulla "fine della storia" e del mondo bipolare: ormai era rimasto un polo unico, l’impero americano. Sappiamo come questa illusione sia durata appena un decennio, quello degli anni ’90, e come già l’alba del XXI secolo abbia mostrato uno scenario in evoluzione. Ci sono i paesi emergenti del cosiddetto BRIC (Brasile, Russia, India, Cina), che segnalano una evidente trasformazione del sistema geopolitico in direzione multipolare. Ma la vera evoluzione epocale è nell’area del Pacifico. Giappone e Corea, la vecchia e la nuova tigre asiatica, hanno compiuto in politica estera un passo che rivoluziona lo scacchiere internazionale.

A Fukuoka, in Giappone, il 13 dicembre ha avuto luogo il primo vertice trilaterale tra Cina, Corea e lo stesso Giappone (Paesi sinora divisi da sospetti reciproci e vecchi rancori) che, stringendo un accordo strategico, fanno emergere l’area del Pacifico come il nuovo protagonista dello scenario geopolitico. Quello che si è rivelato è anche uno storico voltafaccia. Il Giappone e la Corea erano usciti da due guerre, rispettivamente la II Guerra Mondiale e la guerra di Corea (anni ’50), consegnandosi alla tutela politico-militare americana senza condizioni. Tutta la loro politica estera nella seconda metà del ‘900 è spiegabile in termini di sostanziale fedele allineamento alle direttive del gran tutore d’Oltreoceano. Il commercio estero giapponese e, più tardi, quello coreano, fattore fondamentale di sviluppo delle due nazioni, avevano avuto come bussola unicamente la necessità di coordinamento con gli interessi americani. L’Europa, principalmente, ne aveva fatto le spese, dovendo reggere la concorrenza spietata delle merci giapponesi che avevano poco a poco conquistato interi settori (dalle famose radioline degli anni ‘60 al quasi monopolio nipponico nella elettronica di consumo: tv, hi-fi e, più tardi, computer, play-station, I-pod, ecc.). A partire dagli anni ’80 anche il settore automobilistico europeo doveva affrontare la possente concorrenza giapponese, cui più tardi doveva aggiungersi quella coreana, oggi temibile anche nel settore delle costruzioni navali. Dagli anni ’90 alle due tigri si è aggiunto infine il drago cinese, ormai in grado di competere in ogni settore produttivo. E tutte le analisi mostrano che la potenza industriale della Cina ha espresso finora solo una piccola parte delle sue potenzialità. Il voltafaccia giapponese e coreano è dunque un atto di pura Realpolitik: il futuro è con la Cina, non più con l’America.

 

L’Occidente euro-americano si trova, all’indomani della grande crisi finanziaria, di fronte a prospettive fosche: fine dell’egemonia, stagnazione, instabilità sociale. L’Accordo Trilaterale mostra in modo chiaro come il baricentro economico mondiale si vada spostando dall’Atlantico alle sponde del Pacifico; e come, delle due sponde, sia l’asiatica e non l’americana quella destinata a crescere nei prossimi decenni. Il mercato interno cinese è ancora territorio vergine: intere regioni, vaste quanto mezza Europa, devono raggiungere gli standard di consumo di Pechino, Shangai e delle altre zone più ricche. Un miliardo di consumatori, avidi di tutto, sono la celeste manna per le aggressive industrie dei tre Paesi asiatici; e poi c’è il resto dell’Asia sud-orientale, da tempo loro riserva privilegiata.

Che ne è dell’Europa e del Nordamerica? Due mercati stanchi, saturi e impoveriti dalla crisi. In teoria potrebbero puntare ancora su Africa e America Latina, per rilanciare le industrie e l’export. Non è un caso che la diplomazia cinese operi senza tregua proprio su questi mercati, stipulando ovunque accordi commerciali e industriali di faraoniche proporzioni; e tutto lascia pensare che la gara per la supremazia sarà una lotta a coltello. Solo che i coltelli migliori, oggi, sono quelli cinesi.

Siamo in una situazione che sembra vagamente richiamare quella della vigilia di Pearl Harbour. Il "provvidenziale" attacco giapponese fornì allora agli Stati Uniti l’occasione per regolare i conti con il paese del Sol Levante, che già minacciava il primato degli interessi americani nell’area. La storia non si ripete, ma i pericoli per la pace mondiale di solito sono associati proprio a momenti, reali o solo temuti, di transizione. In questi anni sta avvenendo, graduale e inesorabile, una vera translatio imperii dall’Atlantico al Pacifico. Ma non è detto che sarà pacifica.