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Ma il Patt serve a qualcosa?

Resta l'enigma Patt. Di Alleanza Nazionale, di Forza Italia, della Lega e naturalmente di ciò A. V che sta sul versante sinistro, sappiamo tutto o quasi. Persino il marasma caleidoscopico del centro ex democristiano può essere decifrato con l'ausilio di chiavi per la verità più psicologiche che logiche. Anche se la frenesia clientelare di questi ultimi mesi di legislatura può darsi che riesca a rinsaldare un sia pur contenuto aggancio con porzioni di elettorato nostalgico che, grazie alla legge elettorale proporzionale, può essere foriero di qualche soddisfazione.

Ma del Patt proprio non riesco a trovare l'ubi consistam, cioè una ragione plausibile della sua esistenza. E' un partito regionale, anzi provinciale, senza il supporto, oggi, dei presupposti tipici, assolutamente necessari per l'esistenza di un partito di questo tipo. Non e 'è un 'etnia trentina minacciata da qualcuno, ne una religione minoritaria insidiata, non una lingua a rischio di estinzione. L'autogoverno lo abbiamo da mezzo secolo, ed è prevedibile non una sua riduzione, ma semmai una sua espansione, visto il coro federalista intonato sotto il ciclo della Repubblica.

Può darsi che diminuiscano in futuro le risorse finanziarie di provenienza romana, ma che, con una accorta regia, potranno essere compensate da quelle distribuite da Bruxelles. Quali altre ragioni giustificano l'esistenza del Patt? Riusciremo a trovarle nel canto dei suoi solisti?

Carlo Andreotti, presidente del partito, della Provincia e dell'Università, trino ed uno secondo la migliore tradizione teologica, una divinità, d'accordo, soltanto locale, ma nella migliore condizione per enunciare messaggi.

Quali messaggi? Intelligente, spiritoso, brioso, felicemente disponibile per tutte le combinazioni e per tutti i programmi, che ha trasformato la virtù della meditazione in virtuosismo trasformistico. Un canto leggero, un soffio, allegro con brio.

Tutto l'opposto Francesco Moser, con il suo rude pragmatismo, uomo di poche e sgraziate parole, che bada al sodo, alla concretezza dei fatti, senza principi se non quello del profitto immediato. Strade, funivie, sfruttamento dell'ambiente, il Trentino come una artificiosa Disneyland, compreso l'ascensore a pagamento per salire sul campami Basso. Un canto rozzo, primitivo: andante a tempo di marcia. Andante anche inteso come ordinario, senza pretese, alla buona.

Franco Tretter, l'archetipo, il rustico incivilito, un doroteo prestato all'Autonomia, colto quel tanto che basta per assemblare le ovvietà meno compromettenti, simbolo di una continuità senza smalto, applicato a controllare con puntigliosa diligenza i fili interni del partito, vittima sofferente di una ostentata abnegazione a sacrificarsi per esso, centrista per scelta e per implacabile destino. Da lui scende un canto monotono, intermittente; carsico, sempre soporifero, un adagio maestoso, ma non troppo.

Gino Franzinelli, l'ultimo arrivato, che irrompe sul podio col piglio del direttore d'orchestra. E' segretario organizzativo, ma fa assai più politica che organizzazione. Non riesce nemmeno a nascondere di nutrire l'intima convinzione di essere, lì dentro, l'unico che sappia leggere e scrivere. Non credo che, oltre olfatto di essere un neofita con accelerata carriera, questa presunzione troppo scoperta gli giovi molto per accattivarsi la simpatia della base del partito. E del resto nemmeno da lui, pur così impegnato nell'elaborazione politica e programmatica, siamo riusciti ad avere lumi sulle ragioni dell'esistenza di questo partito.

Abbiamo letto recentemente un suo articolo (l'Adige del 29 maggio scorso) che deve essere conservato nelle biblioteche come esempio limite della vuotezza siderale del bla bla del politichese. Un tono sicuro e perentorio per rivestire il nulla. Una vacuità così audace da mettere le vertigini. Non vi si trova un fatto, e nemmeno un'idea, se non quella di una alleanza con la Lega. Tutto qui: Andreotti fa l'occhiolino a sinistra, Franzinelli apre alla Lega, Tretter ammonisce a guardare solo al Patt. Le alleanze, dice, le decideremo dopo. E' dunque, questo partito, un raccoglitore di voti, in nome dei favorì concessi, di un passato che fu nobile, di una retorica meramente verbale, di una viscerale antipatia verso i terroni, di una ancestrale paura della sinistra.

Ma bastano un pò di nostalgia per il tempo che fu ed una mistura di sentimenti negativi, per giustificare l'esistenza di un partito? Tanto più con l'ambizione di governare? O non è questa piuttosto una confraternita del buon ricordo che distribuisce la sua pastura per acquisire facili consensi a dirigenti, quelli che ho sopra ricordato, campioni di smaliziato cinismo? Per poi governare come hanno governato in questa scadente legislatura ?