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QT n. 3, 5 febbraio 2000 Servizi

Baby-gang: tra disagio e disinformazione

Davvero dobbiamo allarmarci per i recenti episodi di cronaca con protagonisti minorenni?

Grande clamore su tutti i media per le baby gang. Tutto prende avvio, ai primi dell’anno, da un singolo episodio accaduto a Milano: stampa e TV, forse a corto di corrispondenze, martellano il pubblico con TG, speciali, interviste esclusive, dirette ecc., trasformando il fatto in una saga di violenti dediti alle rapine, ai pestaggi, alla sopraffazione.

Uno scontro tra ragazzi diventa per i media "Baby gang in azione a Milano", con il fenomeno interpretato come sintomo di degenerazione sociale, mancanza di idealità, disgregazione. Naturalmente il tutto sottoposto alla lente di sociologi, psicologi, pedagoghi, questori, presidi, interviste a gente che lo sapeva da un pezzo, in un inconcludente diluvio di articoli ed interviste. Dopo qualche giorno, il fatto viene dimenticato totalmente, benché - se vero- meritasse ben altro.

A conferma dell’allarme, si raccolgono altre storie: a Genova, con la miscela dei loro motorini, una banda di minorenni (da 12 a 17 anni) confezionava bombe molotov con le quali, dopo una catena di esperimenti riusciti contro ristoranti e roulotte di zingari, preparava una strage in un campo Rom. Dopo otto mesi di impunità e di indagini quattro adolescenti vengono arrestati, tre denunciati mentre l’ottavo componente della "squadra anti-immigrati" viene mandato a casa perché ha soltanto nove anni. Altre storie da Cagliari, Napoli, Bari…

Anche la nostra cronaca locale si occupa spesso di violenza giovanile. Una veloce scorsa ai giornali del’99 ed ecco alcune notizie prese da Adige e Alto Adige.

Il 23 gennaio, a Borgo, un giovane John Wayne in erba rompe con un colpo di pistola, sparato in classe, la lente degli occhiali di un compagno. Mezza pagina su L’Adige.

Il 2 febbraio, in piazza Fiera, tredicenne aggredito da un branco. Per L’Adige, il fatto merita un’intera pagina: "Studente vittima della banda dei bulli (...) da cui ha subìto una prevaricazione inaccettabile di cui porterà a lungo i segni". L’11 febbraio mezza pagina per un ragazzo di una scuola professionale che, in classe, ha mostrato un coltelo con cui intendeva minacciare una compagna.

Il 21, sull’Alto Adige, "fuori dalla scuola botte e minacce", ma in verità pare che non ci sia stato che qualche spintone; eppure il giornale il giornale insiste: "Il ragazzo vive nel terrore".

Il 24 dello stesso mese, pestaggio tra quattordicenni davanti alle medie Bronzetti: "Agguato punitivo in piena regola": un naso sanguina.

Con un salto passiamo all’autunno ed ecco un aggressione per strada finita con gran chiasso e per più giorni sui giornali: due ragazzi, uno di 16 e l’altro di 17 anni, picchiano con durezza altri due, della stessa età, in centro: grida, urla, calci, botte. Si mettono di mezzo anche carabinieri e vigili con denunce.

Ma quanto di queste storie è realmente una novità di questi anni? Quanto, più semplicemente, ne è l’espressione, adattata ai tempi, della difficoltà di crescere? E quanto è un fenomeno mediatico?

In altri termini, quali le reali dimensioni del fenomeno "baby gang"? Quale il ruolo dei media?

In effetti nelle città si verificano in misura sempre maggiore problemi di disadattamento giovanile con punte, anche rilevanti, di furti, atti vandalici e aggressioni che prevedono procedimenti penali. Questi comportamenti vengono espressi non solo da giovani appartenenti a fasce sociali disagiate, ma sembrano coinvolgere un numero sempre maggiore di ragazzi le cui famiglie, di fronte a questa realtà dolorosa, si sentono spesso senza risorse.

Un problema non risolvibile? Per trovare una risposta accettabile, occorre inquadrare i protagonisti nella loro fase di vita, l’adolescenza, circa tra i 13 e 18 anni, con le sue dinamiche psicologiche, sociali e culturali. Ai nostri giorni è in via di superamento il concetto di adolescenza come "crisi" e "passaggio" e si sta lentamente affermando una concezione di questa età come fase autonoma e prolungata dello sviluppo umano, per se stessa normale e non patologica.

Il disagio adolescenziale non è più considerato in senso patologico, ma come un elemento costitutivo dell’età stessa. Per questa ragione, si parla innanzitutto di disagio evolutivo della preadolescenza e dell’adolescenza. Esso si presenta come un momento specifico, autonomo e necessario del divenire umano e, pur comportando dei rischi, si distingue dal disadattamento (malessere diffuso ed incapacità di rispondere ai compiti educativi propri dell’età) e dalla devianza (situazione strutturata di disadattamento che raramente compare nell’età della scuola media.

Cosa pensare allora dei ragazzi, dei loro modi di esprimersi, di rapportarsi gli uni agli altri, di vivere la loro giovinezza? Come interpretare le loro inquietudini, le trasgressioni, le sfide, il bullismo? Come si percepiscono e come percepiscono gli altri? E’ realmente cupo il futuro se i protagonisti di domani saranno questi giovani di oggi?

La COSPES, tra il ’90 ed il ’94, ha condotto una vasta ricerca sull’adolescenza coinvolgendo in tutta Italia oltre 10.000 adolescenti tra i 14 e i 19 anni. I dati, raccolti nel volume "L’età incompiuta" (Elle Di Ci, 1995), rappresentano un tentativo di analizzare e far conoscere la fase adolescenziale in tutti gli aspetti in cui si manifesta.

Dai dati - nella scheda in alto riportiamo quelli relativi alla domanda "Fra le persone che frequenti c’è qualcuno che...?") si potrebbe dedurre la conferma dell’allarme: alte percentuali dei nostri ragazzi frequentano compagnie, di coetanei o maggiorenni, al limite, ma anche oltre, del codice penale e, in particolare, soggetti tipici dell’appartenenza a bande: teppisti, vagabondi, spacciatori, ladri...

Ma davvero siamo disposti a credere che il 14% dei nostri ragazzi, maschi e femmine, frequentano qualcuno che si droga? Il 7% spacciatori? Il 7% persone che sono state in carcere? Quasi il 3% frequenta gente che si prostituisce e un altro 9% vagabondi?

Quanto incide in queste risposte un clima preconfezionato dai media di "teppismo", "baby gang", "branco", per cui comportamenti particolari riscontrati dai ragazzi in altri non vengono valutati per se stessi ma interpretati per mezzo di categorie dell’informazione? Quanto è frutto di notizie assolutamente quotidiane finite in prima pagina perché hanno trovato orecchi ed una penna pronti a farne un titolone?

Straordinaria al proposito la preoccupazione espressa su "Oltre il muro", rivista edita da carcerati ed ex, contro l’ossessiva attenzione data dai media ad ogni singolo episodio di violenza, giovanile e non, riproposto per giorni e trasformato in spettacolo con minuziose descrizioni degli aspetti più clamorosi ossia di quelli che fanno audience e vendite. L’effetto sugli spettatori, sottoposti ad una quotidiana ginnastica emotiva, è lo svilupparsi di sentimenti quali paura, insicurezza, esagerazione, diffidenza che tolgono spazio all’uso della razionalità. Viene fornita loro la realtà di un mondo violento, di criminali, baby gang ecc.. invece di metterli in condizione di percepirla ed affrontarla per quella che essa è realmente: ecco forse una spiegazione delle percentuali.

Certo, fatti come quelli citati vanno negati né sottovalutati ma da qui a farne un fenomeno sociale da tener d’occhio e reprimere con severità, ne passa. Guardiamoci negli occhi: chi da giovane non ha preso a calci una panchina, tirato un sasso ad un lampione, storto un cartello stradale, scambiato qualche spintone e magari un pugno con un compagno di classe o preso con la forza la bici ad un amico che non voleva fartela provare? Chi non ha fatto parte di una banda con riti di partecipazione, parole d’ordine, linguaggi ed imprese mitiche?

Ricordo che nel ’64, per dimostrare coraggio e sprezzo dei grandi, bisognava entrare al supermercato Poli, all’Orvea o all’Upim e sgraffignare un disco a 45 giri: rischio assolutamente inutile poiché quasi nessuno aveva allora il giradischi in casa. Tutto ciò senza diventare dei pericolosi devianti!

Non era più semplice ricondurre tutto alle difficoltà accennate sopra? Se i media invece di introdurre queste categorie "sulla via del crimine" riempiendo pagine e pagine, avessero considerato i fatti con più attenzione, l’età, le famiglie, scuole frequentate, le zone di residenza non avrebbero smosso tanta acqua. Il fenomeno baby gang era noto da tempo e pare che i primi casi siano stati segnalati in Francia qualche anno fa: aggressioni di gruppo per portar via al malcapitato oggetti di lusso e comunque griffati.

Nell’episodio di Milano, i ragazzi infatti non avevano mai palesato comportamenti a rischio , sono definiti "normali" , frequentano anche con profitto la scuola. Anche tra loro si saranno sviluppate rivalità; lotta tra bande, piccole rivalità scolastiche o sportive o per le ragazze, sfociate spesso in scontri, prepotenze, leggende, piccoli eroi, esibizione di trofei catturati al nemico, derisione dell’avversario. Lo stesso questore di Milano rassicura: "Episodio grave ma isolato. Saranno le famiglie ad intervenire in questo caso. Non siamo di fronte a casi disperati da assistente sociale ma solo a ragazzini con una personalità che la famiglia potrà senza dubbio correggere"

A Genova tra i denunciati, Frederick, considerato l’ideologo del gruppo razzista, avrebbe maturato il suo odio contro i Rom perché la madre, vedova, frequentava da tempo un nomade.

Anche nei casi riportati dalla stampa locale, la polpa della notizia si mostra poco più dell’osso del fatto reale. A Borgo, pur nella pericolosità del gioco, nessun danno al ragazzo con gli occhiali. Oltretutto l’episodio è accaduto un mese prima di quanto riportato.

Il ragazzo di piazza Fiera è stato spintonato e spaventato da altri ragazzi ma è riuscito a scappare. Tra l’altro il fatto, al momento della pubblicazione, è vecchio di 15 giorni. Quanto al naso sanguinante del 24 febbraio, non è stato nemmeno necessario farlo vedere al pronto soccorso. Infine, il ragazzo del coltello in classe è stato sospeso per tre giorni: ne ha avuti di più in cronaca.

Infine lo scontro del 4 di ottobre, in realtà, è uno scambio di opinioni un po’ vivaci tra compagni di scuola: uno dei protagonisti, contattato martedì scorso per telefono, mi dice che lui, aggressore, e loro, gli aggrediti, si salutano oggi come facevano anche prima dello scontro. "E quello che hanno scritto i giornali?" - chiedo. Risposta irripetibile.

Davvero storie mai sentite? Non ci ricordiamo più le vicende dei ragazzi della via Pal con l’eroe infilato nell’acqua gelida? O i teddy boys?

Fortunatamente c’è chi ha il coraggio di guardare le cose in modo più pacato. Una giornalista de L’Adige, Milka Gozzer, si prese l‘impegno di indagare sui "ragazzi violenti" di piazza Fiera, passati dai giornali per pericolosi che spadroneggiano all’ombra delle mura. Mentre parla tranquillamente coi ragazzi, una pattuglia di vigili ne carica a forza uno sull’auto con la motivazione che "aveva i piedi sulla panchina e si è rifiutato di fornire le generalità". Preoccupati i giovani seguono la scena: Cosa gli faranno adesso? Lo picchieranno?

Osservando la nostra provincia attraverso i dati del Tribunale per i minori dell’anno 1996 riportati dall’annuario statistico, si ricava che i minorenni denunciati per delitti contro l’incolumità e la libertà individuale sono stati 15 (504 gli adulti), nessuna denuncia per quelli contro la moralità pubblica ed il buon costume, 63 per furto (274), rapina e danni 10 (102), contro l’incolumità pubblica 17 (345), nessun denunciato per delitti contro l’ordine pubblico.

Voci raccolte nel tribunale dei minori a Trento, smentiscono qualsiasi allarme in città e perfino in provincia. Nessuna traccia di bande giovanili organizzate né di baby gang. Qualche rissa sì, ma per lo più all’uscita di discoteche o birrerie, risse nelle quali peraltro i minori fanno da comparse. Sconosciuto il vandalismo dei tifosi, dentro e fuori lo stadio, mentre è invece allarmante il consumo di alcolici, cui spesso si accompagnano comportamenti scorretti.

Solo andando indietro con la memoria si può ricordare un episodio di grave criminalità minorile: l’omicidio del tassista Sommadossi in val Sella finito con vari arresti. Ancora più indietro un gruppetto di amici piromani: incendiavano capannoni industriali per il piacere di far danni.

Oggi, l’unico fenomeno da tenere sotto osservazione sono i "ragazzi di strada", da intendere come ragazzi che hanno come centro prevalente dei loro interessi la strada. Sempre in tribunale suggeriscono di sperimentare nuovi modi di fare aggregazione con ragazzi, genitori, il Comune.

Non si deve poi dimenticare che una società viene cambiata dai devianti: se il nostro sistema sociale fosse fondato esclusivamente sul rispetto a tutti i livelli di tutte le norme e le regole, sarebbe un sistema destinato all’autodistruzione, alla chiusura, all’irrigidimento. Il ragazzo ha bisogno di trasgredire ed il problema è riuscire a dare un limite accettabile alla sua trasgressione. Compito di genitori, insegnanti, educatori ma anche di legislatori è cercare di adeguarsi, di anno in anno, alle diverse esigenze di crescita del ragazzo nel suo cammino verso l’individuazione.

Indubbiamente la violenza espressa nelle scorribande va controllata e certo, tra questi ragazzi, potrà esserci un delinquente potenziale ma da qui a parlare di fenomeno esteso ed in crescita c’è una bella differenza.

Chiaramente non tutta la violenza è riconducibile a problematiche giovanili. Accanto agli episodi ricordati infatti, se ne sono registrati altri più gravi con protagonisti nomadi o extracomunitari minorenni. Una prima aggressione il 27 luglio ad un benzinaio di via Sanseverino, duramente picchiato da due ragazzi, poi identificati e denunciati. Nuova aggressione il 21 settembre a un vigile finito all’ospedale. Tre i fermati, di cui solo uno maggiorenne poi condannato a 1 anno e sei mesi. Il 7 ottobre un nomade minorenne aggredisce a pugni e testate un ragazzo che sta tranquillamente chiacchierando in piazza Fiera: 5 giorni di prognosi. L’aggressore, non nuovo a pestaggi immotivati, scompare ma viene identificato.

Questi episodi sono certo più gravi di quelli citati sopra ma, bisogna precisare, hanno le loro origini in ben altro contesto sociale e culturale.

Dal tribunale ammettono che minori, nomadi ed extracomunitari, potranno divenire nei prossimi anni un problema reale per via della loro crescente presenza. Già oggi, pur essendo meno del 3% della popolazione minore italiana, per ogni ragazzo italiano in carcere ve ne sono quasi tre stranieri. Invitano comunque alla calma in quanto, dai dati in loro possesso, non è giustificabile alcuna presa di misure preventive.

Speriamo sia anche l’opinione generale dei trentini: con un Haider a 100 chilometri non si sa mai…