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QT n. 17, 30 settembre 2000 Servizi

La riscoperta della balia

Un convegno a Trento per promuovere e coordinare le banche del latte. Perché niente fa bene al neonato come il latte di una mamma. Anche se non è la sua...

Banca del sangue, banca degli organi, banca dello sperma… Ma c’è anche - decisamente meno nota - la banca del latte; meno nota anche in una provincia come la nostra che pure è all’avanguardia in questo particolare campo, come più in generale nel settore della neonatologia. Già sul finire degli anni ’70, infatti, il Trentino era al secondo posto in Italia dopo Trieste fra le province con la più bassa mortalità infantile, con percentuali molto al di sotto della media italiana e quasi in linea con i Paesi del nord Europa, quelli cioè con i risultati migliori a livello mondiale.

Un risultato ottenuto anzitutto con la prevenzione, che in questo caso significa seguire con particolare attenzione le gravidanze a rischio e far sì che i parti avvengano in ospedali attrezzati per le prime cure, in modo da non perdere tempo prezioso trasferendo il bambino appena nato ed essere poi costretti ad interventi troppo invasivi.

In questo panorama positivo ha una sua rilevanza anche l’alimentazione del neonato. Il latte materno, date le sue caratteristiche di digeribilità, anti-infettive e di protezione immunologica (ad esempio nel prevenire allergie alimentari), è particolarmente importante, soprattutto per gli immaturi, i sotto-peso e quelli che hanno subito interventi chirurgici. Del resto c’è una dichiarazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e dell’Unicef ormai vecchia di vent’anni che recita: "Dove non è possibile per la madre naturale allattare al seno, la prima alternativa, se disponibile, dovrebbe essere l’uso di latte umano da altre fonti. Banche del latte umano dovrebbero essere disponibili in situazioni appropriate".

Ma a volte la madre non ha abbastanza latte, e comunque nei primi due-tre giorni dopo il parto, in attesa della montata lattea, occorre provvedere in altro modo, il che ancor oggi vuole spesso dire ricorrere alla fleboclisi o al latte artificiale, privando così il neonato dei benéfici effetti del latte naturale. Da qui l’insistenza degli operatori più aggiornati per l’allattamento al seno dei neonati, e l’idea di istituire delle banche del latte.

I dati relativi a Trento sono esemplari nel far capire il cambiamento di mentalità che si è verificato negli ultimi decenni: i neonati di peso normale allattati dalle madri erano il 60% del totale nel 1960 e il 95% nel ’95; e analogo percorso si nota per i bambini prematuri. Insomma, Trento, dove oltre tutto esiste addirittura un’associazione ("Amici della Neonatologia Trentina") che si occupa di queste tematiche e pubblica un interessante periodico, era la sede adatta per il convegno tenutosi nei giorni scorsi per mettere a confronto le varie esperienze sviluppatesi in questi ultimi anni in modo piuttosto scoordinato.

Sarebbe bene - si diceva - che ogni ospedale in cui si partorisce avesse una banca del latte, ma fino a cinque anni fa se ne contavano appena una mezza dozzina.

E oggi? Una recentissima indagine dà una chiara idea dei progressi fatti. Dalle 160 strutture coinvolte nella ricerca (tutti gli ospedali pubblici dei capoluoghi di provincia, centri neonatologici, ecc.) si sono avute 82 risposte; dalle quali emerge l’esistenza di 31 banche del latte, ma anche il fatto che poco più della metà di queste dispone delle attrezzature e dell’organizzazione necessarie a gestire in modo adeguato il servizio.

In sintesi, sembra che vi sia un triplice ordine di problemi.

Il primo riguarda quegli ospedali e quegli operatori che più si sono impegnati, ed è la difformità con cui si lavora in un centro rispetto ad un altro.

Difformità organizzative: in taluni centri si raccoglie latte, oltre che dalla madre, anche da donatrici, sia "interne" - cioè altre donne ricoverate in reparto - sia esterne, mentre altrove la raccolta è più circoscritta; qualcuno effettua anche la raccolta a domicilio del latte (e in questo caso occorre accertare se esistano le condizioni per la donazione attraverso un colloquio ed un questionario da cui risulti se la donatrice fuma, se beve troppo caffè e vino, se assume farmaci, ecc.), mentre la maggior parte non è in grado di sobbarcarsi questo lavoro aggiuntivo. E poi ci sono questioni squisitamente tecniche che non è evidentemente il caso di trattare in questa sede, ma che possiamo esemplificare attraverso alcuni quesiti. Come bisogna pastorizzare il latte? In che tipo di frigorifero conservarlo? Come scongelarlo: a temperatura ambiente, col calore o con un forno a microonde? Che materiale usare per i contenitori?

Le risposte a queste domande sono diverse da una realtà all’altra e sarebbe naturalmente buona cosa appurare quale sia - se esiste - la soluzione ottimale, e poi adottarla tutti.

Un secondo livello di problemi riguarda quel quasi 50% di banche del latte che sono sì in funzione, ma in maniera un po’ troppo artigianale, ad esempio senza locali e personale specificamente addetti a quei compiti.

Resta infine da constatare che, nonostante che l’importanza del latte materno sia ormai da tempo riconosciuta dalla letteratura scientifica, una larga maggioranza dei centri non dispone ancora di una banca del latte, e in ogni caso non è impegnata nel promuovere l’alimentazione del neonato immaturo con latte materno.

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