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QT n. 5, 10 marzo 2001 Servizi

Cacciatori alle urne

Si rinnovano i vertici dell’associazione cacciatori. Per ora, solo scontri personali e nessun accenno a cambiamenti di rotta.

E’ tempo di elezioni nell’associazione dei cacciatori trentini e gli animi sono già molto caldi.

Non è del resto impresa difficile attizzare il fuoco nel corpo sociale dei cacciatori: se gli ambientalisti offrono una tregua, ci pensano in proprio, con feroci scontri personali, con risse fra sezioni, cercando di non penalizzare i bracconieri, con il colorito elenco di bugie o mezze verità gettate nel confronto interno a volte casualmente, in più occasioni gestite con perfidia.

Il mondo venatorio non smentisce la sua tradizione e il Trentino sta lasciando un percorso lineare in questi giorni durante i quali si affilano le armi, veramente taglienti, per la nomina del futuro presidente.

L’associazione lascia alle spalle otto anni di presidenza Betta, una presidenza priva di innovazione, chiusa in se stessa, che ha inasprito lo scontro con l’associazionismo ambientalista.

L’Italia è l’unico paese europeo dove i verdi costruiscono sulla caccia le loro... fortune elettorali, ma anche questo aspetto non è merito loro e quanto racconteremo del Trentino vale con poche differenze anche per il resto del territorio nazionale.

Nel centro e nord Europa il mondo venatorio e gli ambientalisti trovano sovente modo di superare un inevitabile conflitto ideale con alleanze importanti, significative nella difesa del territorio: no forti sui progetti di grande viabilità, sugli impianti di sci, e un’alleanza propositiva, importante con il settore agricolo-zootecnico.

In Italia questo non è possibile: non solo l’associazionismo propriamente animalista, ma anche quei gruppi storici che più puntano alla tutela paesaggistica e territoriale vengono costretti al conflitto con la Federcaccia.

Perché accade tutto questo? La gestione dei cacciatori trentini da parte del presidente uscente Claudio Betta spiega bene la situazione.

Si accentua l’enfasi di un successo nell’incremento di alcune specie di animali selvatici, in particolare degli ungulati (caprioli, camosci e cervi), la lepre dà timidi segnali di ripresa, sembra fermato il declino dei tetraonidi. Sono dati che l’associazione rivendica come meriti propri, e forte di questi numeri impedisce che il personale di vigilanza passi dalle dipendenze dei cacciatori all’ente pubblico, pretende la presenza nelle scuole, pretende di cacciare nei parchi, inseguendo l’abbattimento dei cervi in quello dello Stelvio, e sperando di veder sgretolarsi il protezionismo faunistico nelle foreste demaniali trentine, si autoproclama difensore dell’ambiente.

Se andiamo a leggere i numeri nella loro esatta sostanza troviamo altra realtà: le classi di età ci presentano una fauna eccessivamente giovane, specie tra i caprioli gli animali sono sempre più esili, non esiste una politica di costruzione di una strutturazione sociale dei cervi (istituzione e conseguente tutela delle aree di bramito e dei cervi palcuti), si caccia ancora la pernice, si sono ottenute vergognose deroghe alle norme europee che Dellai ha avallato in modo spudorato.

Quanto all’autoincensazione ambientalista dei cacciatori trentini, il dato si smonta con poche parole: li abbiamo visti percorrere qualche bosco alla ricerca di barattoli o cartacce, ma mai sono stati presenti nelle lotte a difesa dei grandi spazi ambientali e dei paesaggi della nostra terra, o opporsi alle speculazioni dei grandi potentati economici. Li abbiamo purtroppo visti entrare nelle scuole con il loro carico di demagogia e contemporaneamente chiedere comprensione e pene lievi per i bracconieri o per chi, frequentemente, sbaglia gli abbattimenti.

Li abbiamo sempre visti disponibili alla reintroduzione di possibile fauna-preda (fagiani, lepri) e boicottare invece (a modo loro, anche a fucilate) l’arrivo della fauna-concorrente, ossia i predatori naturali (lince, lupo, orso).

Li abbiamo visti morbosamente inserire un rametto d’abete nella bocca della loro vittima e poi strombazzare esultanti nelle vie dei paesi con la carcassa disposta sul cofano, o entrando nelle abitazioni troviamo pareti che offrono un incredibile sfoggio di trofei.

Questo ancora oggi è il cacciatore trentino, e nessuna presidenza poteva rappresentarli meglio se non quella uscente di Claudio Betta.

Oggi si chiede il rinnovamento. Si fanno dei nomi: Maurizio Toffol del Primiero, o Claudio Eccher, il candidato sindaco di Trento di Forza Italia umiliato da Pacher, o si ritorna a passi che sembravano dimenticati, impersonati da Luciano Fruet. Nessuna di queste figure ha segnato una sola riga di programma di rinnovamento: il Toffol nel parco di Paneveggio da oltre un decennio si distingue per un ostruzionismo straordinario nei confronti di possibili innovazioni del parco in materia di gestione venatoria; gli altri, come Betta, costruiscono una categoria chiusa, egoista, settaria e si sono dimostrati incapaci di raccogliere un interesse collettivo in materia di gestione faunistica, anche di chi cacciatore non è, la maggioranza della popolazione.

Sembra rimanere Sandro Flaim, un personaggio posato, capace di ascoltare anche opinioni diverse, di dialogare anche con gli oppositori e accusato non casualmente da Betta di essere troppo vicino a Dellai.

Ma cosa significa essere troppo vicini a Dellai, e cosa distingua un Betta da Dellai nessuno lo ha ancora compreso. Da oltre un anno Dellai tiene chiuso nel cassetto il piano faunistico provinciale elaborato dal servizio faunistico e costato fatiche, discussioni, sacrifici e impegno finanziario. Nessun suo assessore lo ha ancora letto, nessun parco, nessuna associazione.

Dellai ha sempre sostenuto le tesi più oltranziste dei cacciatori: mentre pretende di adeguare al ribasso le prescrizioni europee in materia ambientale, sulla caccia inventa deroghe su deroghe senza che gli assessori chiamati a tutelare la cultura ambientalista e protezionistica si offendano o si scandalizzino più di tanto.

Per contrastare Flaim Betta invoca anche l’apoliticità della sua associazione. La storia trentina ci ha insegnato come in nessun periodo storico l’Associazione dei Cacciatori sia stata apolitica: in modo più o meno diretto ha sempre appoggiato o la Democrazia Cristiana o il PATT. Nel novembre 1998 un editoriale della rivista dei cacciatori trentini invitava esplicitamente a non votare l’area della sinistra, immaginiamoci poi quella ambientalista. Dove stia quindi l’apoliticità dei cacciatori trentini, solo Betta lo sa.

Gran parte della società trentina, stanca dello scontro caccia sì, caccia no, attende un rinnovamento dell’associazione: abbiamo visto, qualunque sia l’esito del confronto elettorale, quanto risulti improbabile. Al di là del nome del presidente sono queste le richieste urgenti che da oltre trent’anni i trentini chiedono ai cacciatori e ai politici:

- in tempi brevi l’attuazione di un piano faunistico condiviso dalla società;

- un corpo di guardacaccia solo pubblico;

- il passaggio dalla gestione della caccia a quello del patrimonio faunistico nell’interesse collettivo;

- il superamento della quasi impunibilità del bracconiere, con una penalizzazione severa ed efficace del bracconaggio, come avviene oggi in Austria ed in Svizzera.