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Preti e pedofilia

Franco Zadra

Mi preme intervenire su di una questione che ha suscitato sdegno tra il clero e i cattolici del Trentino circa un certo volantino di una sedicente campagna d’informazione contro la pedofilia promossa da un gruppo di anti pedofili appartenente ad una setta religiosa di origine francese, distribuito domenica scorsa ai fedeli che entravano in duomo a Trento, così come riporta oggi un quotidiano locale.

La notizia in sé è di quelle da far accapponare la pelle: attenzione mamme, mandando i vostri figli a catechismo li esponete al rischio pedofili! - insiste allarmistico il suddetto pieghevole. E poi: difendiamo i nostri figli dai preti pedofili!

Ovvia e scontata la reazione di alcuni sacerdoti, che si sono sentiti giustamente offesi da tale campagna infamante più che preventiva; venendo poi da una setta, c’è di che sospettare di malafede tale iniziativa.

Il sasso è stato però gettato nello stagno e dobbiamo comunque subirne le conseguenti onde d’opinione. Tra le increspature che rilevo, vorrei evidenziarne una: è giusto reagire alla provocazione infamante, ed io personalmente mi schiero con coloro che si sono sentiti offesi dall’iniziativa, però mi chiedo: è altrettanto giusto non parlare per nulla di rischio pedofilia tra i preti? Non tanto per appioppare etichette, così come vorrebbero i promotori della suddetta campagna, ma per confrontarsi su di un problema riguardo al quale si è fin troppo taciuto.

Che il sacerdote, oggi come ieri, sia a rischio di perversione sessuale, è un fatto intuibile e, nel vissuto di molti tra di noi, sono riscontrabili esperienze di contatti con preti non perfettamente limpidi e liberi da pulsioni coatte. Il rischio evidentemente è attribuibile in eguale misura all’ambiente nel quale il prete opera, ove i bambini sono oggetto privilegiato di cure pastorali mirate, oppure all’educazione e formazione ricevute dal sacerdote, che non sono riuscite a fargli stabilire un rapporto armonico con la propria sessualità e, dato il voto di castità (che spesso è subito come un veto a vivere a livello emozionale), questi sono repressi dall’esprimersi secondo natura riguardo al loro corpo e ai loro impulsi naturali.

Lungi dal voler denunciare una causalità della perversione da tutto questo, vorrei sottolineare la logica empirica di un siffatto giudizio. Nella mia personale passata esperienza pastorale ho potuto ascoltare alcuni racconti di giovani omosessuali "iniziati", per così dire, proprio dal cappellano o dal parroco della parrocchia dove andavano a catechismo. Non è vero che questo non voglia dire nulla; qualcosa lo dice e lo deve dire: se ne deve parlare assolutamente, e i primi ad occuparsene e a promuovere il confronto dovrebbero essere proprio i preti che, secondo quanto sento, "pedofili" in un senso lo sono sempre stati: dovrebbero promuovere il confronto su questo tema proprio per amore dei bambini.