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L’Hemingway da ricordare

Luigi Serravalli

Ho avuto l’opportunità di conoscere bene Ernest Hemingway, a Cortina, a Villa Aprile, nell’inverno del 1948. Gli avevo mandato già, in Florida, a Key West, le mie recensioni dei suoi libri. Lui mi aveva risposto dicendomi: "Presto torno in Italia, se puoi fatti vedere". Così lo avevo incontrato una prima volta a Meina, sul Lago Maggiore, ricco di ricordi di "Un addio alle armi" e poi, per Natale, saputo che era a Cortina, sono andato a trovarlo. Aveva come ospiti la sua traduttrice Nanda Pivano ed Ettore Sottsass, l’architetto torinese. Lo accompagnava la quarta moglie, Mary Walsh,

Adesso, a 103 anni, è morto Gregorio Fuentes, cubano, pescatore, amico di Hemingway. I due andavano a pescare insieme su una barca, il Pilar, che oggi si trova all’ingresso del parco che circonda la casa degli Hemingway a San Francisco de Paula, in Cuba, dove ho avuto occasione di vederla durante il mio viaggio nell’isola. Bisogna però ricordare che Pilar è anche il nome della donna partigiana protagonista ‘di "For whom the Bell tolls" ("Per chi suona la campana"), il libro sulla rivoluzione e la guerra di Spagna.

Il breve racconto "II vecchio e il mare" è un’opera dell’ultimo Hemingway, un racconto che gli ha dato molta fama e forse ha contribuito a fargli avere il Premio Nobel, ma che non è certo opera dell’Hemingway migliore.

La morte del pescatore Gregorio Fuentes, il ricordo della barca da pesca Pilar, degli anni di Cuba, ci porta all’Hemingway del grosso pubblico, il più conosciuto, anche dopo il film su "Per chi suona la campana’’, dove la presenza di due divi come Ingrid Bergman e Gary Cooper, gli dettero una notorietà universale.

Però il miglior Hemingway non è qui. Il suo più penetrante personaggio non è il pescatore di Cuba, ma Nick Adam dei primissimi racconti, quelli scritti a Parigi e che Gertrud Stein, grande stilista, gli correggeva con il lapis blu e rosso, quello è l’Hemigway che va preferito a tutti gli altri. Come pure i dialoghi e molte pagine di "Un addio alle armi", libro sulla partecipazione di Hemingway alla prima guerra mondiale, nei dintorni di Fossalta di Piave. Qui Hemingway, che non era un combattente, ma un volontario, conducente di ambulanze della Croce Rossa,venne gravemente ferito a un ginocchio, con schegge in tutto il corpo. Quando lo incontrai a Meina, la prima cosa che fece fu di togliersi il maglione e mostrarmi le cicatrici di quelle vecchie ferite che gli riempivano il corpo di virgole bianche. Ne era molto fiero.

L’Hemingway grande narratore sta nella musicalità del suo periodare, nel suo orecchio finissmo. Sta in un tipo di racconto allusivo, simbolico (ricavato dai poeti francesi del suo tempo, soprattutto Corbière e Laforgue), sta perfino nelle ripetizioni, come elemento musicale del discorso. Forse il suo più bel lavoro resta, come scriveva Emilio Cecchi, finissimo critico della letteratura americana, nel ritmo, nell’allusività, nelle metafore di un racconto come "Big two hearted River" ("Gran fiume dei due cuori"). Nick Adams torna dalla guerra, va a pescare, come da ragazzo, sulle rive di un fiume ben conosciuto, ma nulla è più come prima. II luogo, rivisto, dopo i massacri e i terrori della guerra, è diventato triste, ricco solo di incanti negativi, quasi di cattivo augurio, dove i sogni dell’adolescenza sono finiti per sempre. Gregorio Fuentes e il Pilar sono ormai solo folklore. Chi vuol conoscere Hemingway deve rifuggire da una lettura molto a buon mercato e penetrare l’allusività di una vita poetica, misteriosa, trepidante, non romanzesca, spesso in balia del fato come quella di un antico nella rilettura di Valéry, Verlaine e Mallarmé.

Cuba , del resto, gli fu fatale. Diede incautamente un po’ di dollari a Fidel Castro e l’F.B.I. lo fece fuori, simulando un rozzo suicidio nella sua casa a Kitchum, nell’Idaho.

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