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QT n. 4, 23 febbraio 2002 Servizi

Porto Alegre: la fiera dell’anti-neoliberismo

I temi discussi al World Social Forum in una conversazione con Giovanni Bridi, di Mandacarù.

Si è svolto a Porto Alegre, in Brasile, dal 31 gennaio al 5 febbraio, il secondo World Social Forum, che ha visto la partecipazione di quasi 60.000 persone. Si è trattato di un incontrointernazionale a cui hanno contribuito organizzazioni e movimenti di tutto il mondo impegnate nella contestazione al modello economico della globalizzazione e del neoliberismo. Trento ha visto la partecipazione di una delegazione abbastanza numerosa, tra cui Giovanni Bridi, in rappresentanza della cooperativa Mandacarù che gestisce iniziative di commercio solidale con il sud del mondo (vedi scheda), che ci spiega il senso di questa iniziativa.

Cos’è il World Social Forum?

"A nostro avviso il Forum è stato una sorta di fiera dell’antineoliberismo, e di coloro che condividono una identità politica e di contenuto in qualche modo riconducibile all’opposizione al modello di globalizzazione imperante. E’ ovvio che, come nelle fiere in genere, si mostra quanto si è prodotto in precedenza e si ragiona e decide sulle strategie future; la novità principale insomma è la fiera stessa. Inevitabilmente ciò si traduce in occasione di visibilità o partecipazione per le organizazioni più grandi o per quelle più marginali ma militanti".

La formula scelta è servita a far conoscere questi temi anche a quei settori dell’opinione pubblica che magari non sono pregiudizialmente ostili, ma neppure particolarmente favorevoli?

"Riteniamo di sì. L’intento in effetti era di far passare i contenuti e questo è avvenuto soprattutto perché a Porto Alegre si sono incontrate tante organizzazioni e persone che lì si sono potute confrontare e scambiare informazioni. La comunicazione con il resto dell’opinione pubblica c’è stata, sia attraverso reti di informazione indipendente, sia attraverso i mass media ufficiali, anche se bisogna dire che questi si preoccupavano soprattutto di cercare la notizia di copertina, magari sperando in qualche episodio di violenza in stile black block che potesse attirare l’attenzione dei lettori. Ma le reti indipendenti sono più efficaci di quello che si crede. Per esempio, noi della rete del commercio equo e solidale in Italia contiamo più di 400 organizzazioni e quindi mettiamo in contatto migliaia di persone.

Qual era il tema di fondo dell’incontro?

"Il tema nel 2001 era stato ‘Un altro mondo è possibile’; quest’anno invece è stato ‘Un altro mondo è in costruzione’.

L’attuale modello economico mondiale ha evidenziato così tanti limiti che nessuno può negare la necessità di cercare alternative. Si tratta, secondo noi di Mandacarù, di puntare su una globalizzazione includente e non escludente; in altre parole bisogna coinvolgere nello sviluppo più persone. Un esempio negativo è proprio quello del Brasile, dove esistono pochissime persone che controllano l’intera economia e ne godono i benefici, mentre quote rilevanti della popolazione sono spinte ai limiti della sopravvivenza. Noi vogliamo puntare ad un mondo che cerca di dare al mercato nuove a regole che garantiscano la partecipazione e non l’esclusione".

Il fenomeno della globalizzazione si presta a letture contrastanti. C’è anche chi dice che serve più globalizzazione, cioè più liberalizzazione dei mercati internazionali per permettere ai paesi poveri di esportare i loro prodotti nel mondo ricco. E del resto l’esperienza del commercio solidale tutto sommato mira a liberalizzare lo scambio tra i produttori del terzo mondo e i consumatori del mondo ricco, saltando l’intermediazione di aziende monopolistiche che approfittano della loro posizione per tenere bassi i prezzi pagati ai produttori. Qual è la lettura che fa Mandacarù di questa problematica?

"Noi in effetti non siamo contrari alla liberalizzazione dei mercati internazionali, nel senso che dare la possibilità al Sud del mondo di partecipare al mercato internazionale è un obiettivo che va perseguito. Bisogna vedere però quali sono i veri obiettivi della liberalizzazione e di chi la persegue. Noi siamo per una globalizzazione includente, che significa permettere alle produzioni dei paesi del Sud di accedere ai mercati del Nord, superando le attuali barriere protezionistiche.

Il caso dell’Argentina invece è un esempio di globalizzazione a senso unico: si sono liberalizzate e privatizzati molti settori dell’economia per permettere a grandi multinazionali straniere di prenderne il controllo, però poi i benefici per i cittadini di quel paese non si sono visti e solo pochi ne hanno approfittatto per arrichirsi. La globalizzazione per l’Argentina ha significato campo aperto per le multinazionali e impossibilità per gli argentini di esportare, a causa del cambio fisso tra la moneta locale e il dollaro".

Per restare in tema di aspetti problematici, non molto tempo fa la creazione dello spazio economico unico tra Sud America e Nord America aveva raccolto contestazioni perché secondo alcuni avrebbe impoverito paesi come il Messico. In che modo allora ci si deve muovere per favorire lo sviluppo?

"La globalizzazione dei mercati, come ho detto, è in sé un fenomeno positivo. Anzi, il problema della sua accettazione non si poneanche, perché ormai la globalizzazione sta imponendosi in modo irreversibile e non sarà possibile far tornare indietro le lancette della storia. Bisogna però vedere qual è l’obiettivo che si persegue. Se è la massimizzazione del profitto, non ci si può attendere che serva anche a migliorare le condizioni della gente, specialmente nei paesi poveri. Invece l’obiettivo di una globalizzazione includente dovrebbe essere quello di proporre un modello di sviluppo socialmente ed ambientalmente sostenibile.Va detto poi che la politica di rimozione delle barriere doganali, tanto perseguita dai paesi sviluppati, non è priva di qualche ambiguità. Ad esempio esistono tuttora tariffe doganali a favore dei produttori europei e nordamericani, mentre si cerca di ottenere la totale apertura dei mercati del sud del mondo. In sintesi: se il fine sarà quello di ottenere più partecipazione e meno esclusione, allora la globalizzazione avrà un effetto positivo, in caso contrario la povertà non potrà che aumentare".