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QT n. 10, 18 maggio 2002 Servizi

Famiglie di immigrati: come vivono, cosa sperano

Una difficile integrazione che induce alla chiusura. I risultati di una ricerca su 160 famiglie di immigrati residenti a Trento e Rovereto.

La martellante campagna contro l’immigrazione clandestina e la conseguente equazione immigrato = delinquente rischiano di oscurare la realtà di una grande maggioranza di stranieri che lavorano regolarmente in Italia e vorrebbero integrarsi nel nostro tessuto sociale: una maggioranza silenziosa di persone rese ancor più invisibili dalle difficoltà che incontrano, alle quali spesso reagiscono rinchiudendosi all’interno del proprio nucleo famigliare o del gruppo di connazionali.

E’ questa una delle conclusioni cui approda un rapporto, elaborato dai ricercatori dello Studio Res per l’assessorato alle politiche sociali della Provincia di Trento e portato a termine nel dicembre scorso.

La ricerca ("Cittadini immigrati e famiglie straniere in Trentino. Inserimento comunitario e bisogni sociali") ha preso in esame la situazione di 160 nuclei famigliari, scelti in modo casuale ma equamente suddivisi fra Trento e Rovereto e provenienti dai luoghi classici dell’immigrazione: Est Europa (29.4%), Maghreb (25%), Albania (24.3%), Asia (10.6%), Sudamerica (6.3%), Africa (4.4%).

Chi erano, in patria, queste persone? Anzitutto avevano un discreto grado d’istruzione (oltre la metà sono in possesso di un diploma di scuola media superiore o di laurea), e nel paese d’origine il 64.5% aveva un lavoro, contro un 13.1% di disoccupati, mentre gli altri erano casalinghe o studenti. Circa la metà del campione è emigrato per ragioni economiche, mentre un 18.8% è venuto per ricongiungersi alla famiglia; altri ancora volevano sfuggire alla guerra o studiare all’estero. Ma tende a crescere la quota di quanti "dichiarano di non essere stati influenzati da alcun problema particolare e di avere affrontato liberamente questa scelta".

La maggioranza di loro, prima di arrivare in Trentino, ha soggiornato altrove in Italia. Ma perché poi hanno scelto Trento o Rovereto? Per i più (oltre il 60%) è stata determinante la presenza di amici o parenti già sul posto, ed anche (24%) le opportunità di lavoro trovate in questi centri.

ASPETTI POSITIVI DELLA CITTA' DI RESIDENZA
TRENTOROVERETOTOTALE
Tranquillità-sicurezza39%62%50%
Bellezza dell'ambiente24%21%22%
Organizzazione territorio24%8%16%
Qualità degli abitanti12%10%11%

Delle due città in cui risiedono, questi immigrati (in misura particolare gli albanesi) apprezzano in primo luogo la "tranquillità e sicurezza" mentre fra gli aspetti negativi in cui si sono imbattuti troviamo, al primo posto, la "ostilità e pregiudizio verso gli immigrati", con una percentuale del 40.4%, che schizza ad oltre il 70% fra gli albanesi, il che spiega la differenza del dato fra Trento (34.3%) e Rovereto (44.4%), dove questa etnia è più numerosa.

ASPETTI NEGATIVI DELLA CITTA' DI RESIDENZA
TRENTOROVERETOTOTALE
Ostilità per gl'immigrati34%44%40%
Chiusura mentale17%20%19%
Infrastrutture-alloggi31%20%25%
Clima e natura17%15%16%

Ancora, nel bilancio negativo, troviamo "la percezione di una comunità locale chiusa su se stessa, poco vivace sul piano culturale, caratteristica messa in evidenza da circa 1/5 degli intervistati che hanno dato risposta. E lo stesso peso assume, ma soprattutto a Trento, il rilievo attribuito alle carenze sul piano delle infrastrutture (parcheggi, viabilità…) e al problema degli alloggi.

Infine anche l’ambiente ha il suo rovescio della medaglia, per chi ha difficoltà di adattamento climatico o si sente oppresso dall’imponenza delle montagne".

Passando alla composizione dei nuclei familiari, i single sono soprattutto maghrebini, africani e asiatici, mentre albanesi ed est europei sono più spesso in coppia, con o senza figli. C’è da rilevare una certa percentuale di donne sole ed un 8% di coppie "miste", in cui cioè uno dei due coniugi è italiano.

Un punto dolente - lo si sapeva - è rappresentato dalla situazione abitativa, anche se da noi le cose vanno decisamente meglio che non nella vicina provincia di Bolzano. Ma i tempi per trovar casa sono comunque lunghi, e il risultato è spesso insoddisfacente: "Oltre la metà dei nuclei composti da 5 e più persone - scrivono i ricercatori - vivono in appartamenti che arrivano al massimo a 75 mq. E questo può essere di per sé indicativo della difficoltà a reperire l’abitazione".

La fatica per trovare una casa non è comunque uguale per tutti: maghrebini e africani sembrano essere i meno graditi, come inquilini, seguiti a poca distanza dagli albanesi. I meno svantaggiati sono, a quanto risulta, i (pochi) sudamericani.

All’interno della forza lavoro, troviamo una percentuale di disoccupati dell’11%, alta per il Trentino ma in linea con la media nazionale; chi il lavoro ce l’ha, è soprattutto operaio (80%), particolarmente nell’industria metalmeccanica, tessile e nell’edilizia: in questi comparti troviamo per lo più maghrebini, africani e albanesi, mentre gli europei dell’est si impiegano preferibilmente nei trasporti e - insieme con gli asiatici - nel commercio.

Come si vede, stiamo parlando di famiglie, spesso ricongiunte, che vivono di un lavoro ed hanno una casa. Ma la "normalità" della loro vita si ferma qui. Per cominciare, dalle loro risposte emerge uno scarso utilizzo e una scarsa conoscenza di quell’insieme di uffici e servizi che a vari livelli potrebbero aiutare il loro inserimento. Conoscono, per forza di cose, la questura, l’anagrafe, o certi uffici della Provincia; ma di altre strutture, quali sindacati, patronati o associazioni di categoria, sanno poco o niente. Lo stesso discorso vale per un insieme di sussidi che pure sarebbero a loro disposizione; certo, usufruiscono di quanto previsto dai contratti di lavoro (indennità di disoccupazione, assegni famigliari…), ma molto spesso ignorano le altre forme di "copertura" di competenza dei servizi sociali. Un esempio per tutti, l’integrazione del canone di affitto, che viene utilizzato dal 9.4% del campione, è conosciuto dal 25.6%, e sconosciuto per il 65%). Tanto che "un merito di questa ricerca è stato anche quello di esercitare, attraverso gli intervistatori-mediatori opportunamente addestrati, un’azione informativa". Purtroppo infatti, nonostante i ripetuti impegni in proposito delle autorità pubbliche, si constata "la quasi assenza di una figura che si dimostra sempre più importante nel rapporto iniziale (e non solo) fra cittadini immigrati e società d’accoglienza, ossia il mediatore socioculturale. Figura che, oltre che poco presente, non è nemmeno conosciuta da molti degli immigrati stessi": più di 3 intervistati su 4, comunque, non hanno mai avuto occasione di usufruire di questo servizio.

La scuola è un altro ambito dove le famiglie di stranieri (oltre un terzo del campione ha figli che frequentano) trovano qualche disagio: si dicono, ad esempio, interessate ad intrattenere rapporti con gli insegnanti, ma nel 29% dei casi ammettono di non aver mai avuto incontri, mentre un altro 39% li ha avuti perché richiesti dalla scuola. I genitori motivano questo assenteismo con problemi di comprensione linguistica, il che è comprensibile; ma gli autori della ricerca aggiungono anche un’altra spiegazione: "un atteggiamento di delega da parte delle famiglie, in parte probabilmente dettato da un sentimento di fiducia nell’efficienza e nell’organizzazione scolastica, ma anche da un bisogno di ‘normalità’".

Questa sorta di ritrosia ritorna anche nelle relazioni sociali con gli italiani, a partire dai vicini di casa: i rapporti sembrerebbero soddisfacenti (nell’80.5% dei casi vengono definiti "buoni" o "molto buoni"), ma in realtà poi l’interazione con la comunità è molto povera, e si frequentano soprattutto i connazionali. Così come scarsa è la frequentazione di luoghi d’incontro e di aggregazione. Poco praticata appare anche l’attività associativa: due intervistati su tre ignorano se nella loro città esistano associazioni di immigrati, ed anche fra chi ne conosce l’esistenza (17.5% a Rovereto, 31.3% a Trento), solo una minima parte le frequenta.

Prevale, in conclusione, una "tendenza al mimetismo, all’invisibilità, che si esprime in un’apparente e dichiarata soddisfazione dei propri rapporti lavorativi e sociali, salvo poi lasciar emergere sentimenti di grande solitudine e un bisogno intenso, anche se solo latente, di ‘essere dentro’ questa società, di avere voce in capitolo, di contribuire, non solo materialmente ma anche con le idee. (…) Le famiglie immigrate sembrerebbero soddisfatte dell’accoglienza ricevuta e della qualità dei rapporti, ma quella che sembra del tutto assente, o quasi, è una reale presenza attiva nel tessuto sociale, così che anche i ‘buoni rapporti’ sembrano più all’insegna del ‘non darsi fastidio’ che di una vera e propria convivenza. Lo dimostra anche il senso di isolamento di queste famiglie che emerge se andiamo a considerare un’area importante della vita quotidiana, vale a dire il tempo libero. Praticamente in due casi su tre, infatti, il tempo libero è trascorso dentro la famiglia o con il partner, oppure insieme ai propri connazionali e altri immigrati. Sono poche, in definitiva, le persone o famiglie immigrate (e si tratta soprattutto dei più giovani) che nel tempo libero si incontrano con trentini o persone di varia provenienza".

Con queste premesse, è logico che in queste famiglie sia molto diffuso un sentimento di estraneità rispetto alla realtà circostante; un sentimento che tocca in maniera particolare albanesi e maghrebini e che non è solo, come si potrebbe pensare, una questione di tempo, altrimenti non si spiegherebbe perché le comunità di più recente insediamento (europei dell’est, tranne gli albanesi) sono quelle che si sentono meglio integrate e più soddisfatte. C’entra anche la lingua, il livello culturale, le tradizioni, ecc. "Sussistono certo fattori concreti - leggiamo nella ricerca - che contribuiscono ad attenuare o rafforzare il sentimento di estraneità. La vicinanza al paese d’origine, l’opportunità di potervi fare visita spesso, come accade ai cittadini dell’Est Europa. Ma anche la rappresentazione sociale e gli effetti dell’informazione mediatica sull’immaginazione collettiva, che oggi in particolare, tendono frequentemente a veicolare stereotipi e generalizzazioni culturali"; elementi, questi ultimi, che non a caso toccano in modo particolare proprio le etnie che si dichiarano più a disagio: nordafricani e albanesi. A conferma di ciò, si è anche notato che "fra i cittadini di origine albanese è stata rilevata da parte degli intervistatori (di madrelingua) una più accentuata diffidenza rispetto alla ricerca e alle relative finalità".

Il bilancio finale non è dunque entusiasmante, come dimostrano le risposte alle domande riguardanti il bilancio fatto dagli interessati sulla propria esperienza di migrazione, nonché i progetti per il futuro: potendo tornare indietro, solo un terzo del campione rifarebbe incondizionatamente la scelta dell’emigrazione, mentre poco meno della metà degli intervistati vorrebbe invece avere una qualche certezza preventiva di poter effettivamente migliorare, emigrando, la propria condizione. Una curiosità: le più deluse appaiono le donne.

La maggioranza di queste famiglie intende comunque rimanere in Trentino, e un numero ancor maggiore spera che i figli, anche grazie al conseguimento di un buon livello d’istruzione, possano con soddisfazione stabilirsi definitivamente in Italia.