Menù
Home
QT
Questotrentino
Mensile di informazione e approfondimento
Utente
Cerca
QT n. 13, 29 giugno 2002 Servizi

Il bosco, una ricchezza trascurata

Il bosco e la lavorazione del legno in Trentino: la nostra seconda casa è sempre più trascurata.

Oltre il 55% della superficie della nostra provincia è coperta da boschi, e sono boschi che vantano una copertura vegetale pregiata. Oltre 50 milioni di piante ci proteggono da eventi catastrofici costruendo sicurezza idrogeologica nelle vallate e ci permettono la vivibilità anche su pendii che, se fossero spogli, inevitabilmente franerebbero a valle.

Queste ampie distese sono paesaggio e ricreazione; ma il bosco nel Trentino non ci regala solo questi aspetti, è anche economia. Produciamo quasi un quarto della produzione di legname in Italia, offriamo lavoro ad oltre 5.600 persone, fra le quali contiamo boscaioli, forestali, custodi dei comuni e lavoratori delle segherie. Le aziende sono oltre 1.600, quelle legate ad Assindustria 39 con 722 dipendenti. Vi è poi un grande indotto: costruzione di macchine per l’esbosco, il commercio dell’attrezzatura per bosco e segherie, lo specifico mercato della sicurezza.

Davanti a dati simili ognuno di noi si aspetterebbe una tensione forte del mondo politico verso questo patrimonio ed invece rileviamo attenzioni di circostanza, frasi retoriche che raccogliamo da ormai trent’anni. Non riusciamo a leggere in provincia l’avvio di un piano serio che affronti le debolezze ormai strutturali del settore.

E’ sempre più difficile trovare imprenditori giovani che avviino ditte boschive. I comuni sono in difficoltà: non trovano boscaioli e il prezzo di vendita della materia prima è ormai esiguo e tenuto al ribasso dall’importazione dai paesi del Nord e dell’Est europeo di legname di scarsa qualità. Non siamo riusciti a costruire una filiera del legno, cioè a mantenere sul nostro territorio la ricaduta di valore aggiunto della materia prima che produciamo: in pratica la maggior parte delle nostre segherie si limitano alla seconda lavorazione (tavolame ed imballaggi) e non si insedia sul territorio un’industria del legno di seconda lavorazione adeguata: mobili, pressati, lamellari, produzioni di nicchia come scandole per i tetti. I piani regolatori dei nostri comuni richiamano sempre più il cemento e relegano il legno a copertura, a maschera delle abitazioni o degli insediamenti produttivi invece di offrirgli dignità strutturale nell’edificazione..

Stiamo cancellando un patrimonio di cultura che ovunque ci invidiano, nella più totale indifferenza della politica provinciale.

A questo impasse della situazione provano a rispondere i servizi forestali organizzando convegni di alto profilo, convegni che richiamano studiosi da tutte le regioni, studiosi però convinti di arrivare in questa terra e da questa terra poter imparare. Certamente, in alcuni segmenti della filiera, il Trentino ha molto da insegnare, specialmente nella prima lavorazione e nel versante della prevenzione degli infortuni e della sicurezza del lavoro.

L’ultimo convegno sul tema si è tenuto alcune settimane fa al Centro Esposizione di Trento,alla presenza di circa duecento operatori giunti da tutte le regioni. Con questa lunga serie di incontri i servizi forestali sostenuti dall’azienda sanitaria vogliono aggredire la problematica della sicurezza, portare al minimo ogni rischio di infortunio, far comprendere nella realtà come il bosco sia effettivamente la seconda casa dei trentini, al di là delle precoci e opportunistiche polemiche elettorali sui manifesti pubblicati un po’ ovunque.

I nostri operatori del bosco, in particolare i boscaioli, hanno incarnato nella loro cultura l’inevitabilità dell’infortunio, anche di quello grave. Ed infatti è raro trovare operai del settore che nel corso della loro vita lavorativa non siano stati travolti dalla caduta di una pianta, o siano scivolati sul terreno e sulle rocce, o colpiti da un tronco, o aver subito l’improvvisa e devastante rivolta della motosega. Fino a qualche anno fa i lavoratori avevano presente questa percezione del rischio, mentre trascuravano altri aspetti, quali i rumori, le vibrazioni, le emissioni inquinanti dei motori, le polveri che si respiravano. Per dare risposta al contenimento di questi rischi i servizi forestali hanno dovuto impegnarsi a fondo, anche attraverso l’imposizione di mezzi antinfortunistici: caschi, guanti, vestiario adeguato, segnaletica dei cantieri, chiusura delle strade e dei sentieri di accesso ai lotti.

I risultati stanno arrivando: i lavoratori del bosco assumono atteggiamenti professionali sempre più importanti, strettamente legati alla evoluzione dei macchinari e delle esigenze delle segherie e dei mercati. L’ultimo convegno ha evidenziato questi straordinari e non certo scontati successi sull’argomento.

Ma rimangono insolute e prive di risposta le sofferenze più importanti della filiera del legno. La prima riguarda il lavoro nel bosco, che non è appetibile e viene evitato dai giovani. Come abbiamo visto, non è più una questione legata solo alla sicurezza, ma è una questione culturale. Lavorare al taglio delle piante è fatica, e fatica vera, che a sera si fa sentire in ogni tendine, in ogni muscolo del corpo. E’ ritenuto un lavoro dove ci si sporca, che non lascia spazio al tempo libero serale o dei fine settimana. Lo si percepisce come complemento di altre attività quali l’agricoltore o il lavoratore stagionale sugli impianti. E’ malamente retribuito e non costruisce un percorso pensionistico certo. Comuni e ditte private offrono poche attenzioni a questi aspetti, alla presenza del lavoro in nero e specialmente non costruiscono sul territorio una cultura che inviti alla coltivazione, alla cura della nostra "seconda casa". I giovani vengono sollecitati ad inserirsi nei percorsi dell’economia turistica, sugli impianti o negli alberghi, nei ristoranti o nei lavori pubblici.

La seconda debolezza sta nella quasi totale assenza sul territorio della seconda lavorazione del legname prodotto. Si esportano tondoni ed assi e si priva la provincia del valore aggiunto, altissimo, delle seconde lavorazioni. Non si arriva a completare il ciclo della lavorazione del legname, nemmeno nel recupero degli scarti di segheria. Lo osserviamo anche dalle difficoltà che vengono imposte all’avvio dei centri di teleriscaldamento. Il primo comune, Cavalese, per fare l’impianto ha dovuto imporsi sulla pigrizia del servizio energia e sull’ostruzionismo dei fans del metano, non certo disinteressati. Chi sta partendo ora non viene adeguatamente sostenuto, si continua a privilegiare una materia prima d’importazione legata ad interessi specifici di grandi gruppi come il metano ed i cittadini non hanno ancora compreso l’importanza di questi centri su un territorio particolarmente vocato come il nostro.

Ci attendiamo ora che il servizio foreste, attore principale di un Tavolo Forestale sempre più autoreferenziale e chiuso in se stesso, vada oltre la pubblicità sostenuta nei grandi manifesti per avviare un investimento serio nel valore del bosco e del legname, contribuendo per quanto gli compete alla costruzione di progettualità ed imprenditorialità giovane che offra risposte al completamento della filiera del legno in provincia.