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QT n. 12, 14 giugno 2003 Servizi

La montagna espropriata

Pampeago: si vuole costruire a 2200 metri un enorme bacino idrico per l’innevamento artificiale. Appena sopra Stava.

50.307 metri cubi di scavi di terreno fertile, 8.000 mc. di calcestruzzo, un serbatoio capace di contenere 87.911 mc. d’acqua, area a pelo libero di 16.343 mq., il tutto a quota 2204 metri. Queste le principali caratteristiche di un invaso che verrebbe imposto nella dolce conca della Tresca, a cavallo tra il Monte Agnello e il Dos Capèl, nei pressi della seggiovia della Tresca che collega l’impianto che dai trampolini di Predazzo sale all’area sciistica di Pampeago.

Numeri da brivido. Anche senza dover pensare alla vicina Stava e alle terrificanti conseguenze che quei bacini hanno avuto nella storia di Tesero.

Numeri da brivido quando si pensa che quasi 90.000 metri cubi di acqua si troveranno raccolti sopra Predazzo.

Numeri da brivido per chi conosce la zona, l’alta quota che impedisce il recupero reale della cotica erbosa, la delicatezza dell’area e la sua storia, quasi pianeggiante, circondata da pendii severi, storicamente utilizzata dagli abitanti di Predazzo per il pascolo estivo.

Nella stessa relazione che accompagna il progetto vengono descritti in modo severo gli impatti negativi. Si parla esplicitamente di rischi di esondazione in seguito alla rottura degli argini con apporto di una massa d’acqua notevole a valle, o di tracimazione violenta in seguito a valanghe associate alla mancata presenza della cappa di ghiaccio superficiale, visto che l’acqua del bacino, anche in inverno, sarà continuamente riscaldata. Subito dopo si tranquillizza il lettore, perché - si dice - gli argini sono costruiti prevedendo precipitazioni con tempi di ritorno di 500 anni, perché gli abitati sono lontani e c’è tutto il tempo affinché l’eventuale massa si diluisca sul territorio percorso, e perché il fronte della valanga comunque non raggiungerebbe il bacino, visto che il rio Caserina verrebbe adeguato come capacità di raccolta al recupero di qualunque evento naturale.

Si semina ottimismo a piene mani mentre si sottovalutano i danni delle escavazioni, il danno paesaggistico irreversibile, la necessità di modificare in modo sostanziale ed in alta quota ben due torrenti (il rio Gardonè e il rio Caserina); e si sottovalutano i costi energetici dell’operazione dovuti al recupero di acqua dal sottostante rio Stava e il danno imposto all’acquedotto che serve ben cinque comuni.

E’ un’operazione che, qualora venisse realizzata, aprirebbe le porte ad altri interventi, come il recupero della pista da sci storica che porta a Stalimen (trampolini) e ad un’altra, verso Mezzavalle, con il fine di soddisfare appetiti speculativi pronti da anni che riguardano l’edilizia delle seconde case.

Sono anni che la società impiantistica Oberegghen-Pampeago spinge in questa direzione; ci aveva provato senza successo solo tre anni fa chiedendo alla Regola feudale di trasformare la malga della Tresca in stazione di servizio per gli sciatori. Furono i Vicini, consapevoli delle immediate conseguenze riguardanti tutta l’area, ad impedire la speculazione.

Anche oggi le speranze di bloccare questo nuovo assalto alla montagna di Predazzo sono raccolte nell’intelligenza e nella sensibilità degli abitanti della Regola feudale.

Mentre anche la sinistra incomprensibilmente ed in modo sempre più ottuso spinge perché la variante al Piano Urbanistico Provinciale voluta nel passato da Moser, Zanoni e Giovanazzi venga approvata permettendo l’ampliamento di aree sciabili in zone delicatissime del nostro territorio, dobbiamo fermarci e riflettere su cosa significhi offrire ancora anche nuovi minimi spazi all’industria dello sci.

Guardiamo lo stretto lembo di terra che dalla bassa Fassa arriva in Fiemme.

Dopo la tragedia di Stava tutti hanno chiuso gli occhi sullo scempio che veniva imposto alla montagna di Pampeago: l’ambiente sconvolto e la leggerezza con la quale sono state concesse le devastazioni dell’intera conca venivano interpretati come dovuto risarcimento agli abitanti di Tesero dopo la disgrazia.

Analoga situazione è accaduta sul Cermis, dopo l’incidente dovuto alla folle manovra sotto le funi dell’aereo americano. Sulla montagna c’è stato l’assalto: ogni indicazione di recupero ambientale prevista nel piano d’area è stata stralciata, si è allargata la zona sciabile, si è permesso alla pista di arrivare fino nel fondovalle con i parcheggi ricavati in pieno alveo fluviale dell’Avisio.

Così è accaduto sull’Alpe di Lusia, così sta accadendo a Passo San Pellegrino. Ovunque mettono un piede, gli impiantisti si impadroniscono della montagna e sono loro a dettare le regole, le decisioni ai poteri dei Comuni e della Provincia; oggi inventano un piccolo ski-veg, o la necessità di un collegamento, o il bisogno di un invaso per la raccolta d’acqua, domani il potenziamento dei punti ristoro, o la necessità di un nuovo impianto.

Queste opere, descritte come minime e strutture di servizio di aree più ampie, non devono più passare l’istruttoria di Valutazione d’impatto ambientale, i servizi provinciali sottostimano ogni danno al territorio e paesaggistico, le condizioni di sicurezza vengono superate con imposizioni di ulteriori strutture ad alto impatto e così si concede ogni sorta di autorizzazione.

E’ venuto il momento di riportare ogni situazione al rispetto di regole pubbliche basilari, proprio partendo dallo scandalo della struttura prevista in località Tresca. Vanno definiti con precisione i limiti delle aree sciabili, la capacità di sopportazione dei territori, delle capacità di carico antropico e vanno impedite le modifiche irreversibili alla morfologia dei terreni d’alta quota. Non solo per motivazioni ambientali, ma anche e soprattutto per riportare attenzione ai temi della sicurezza e ridare valore al bene collettivo, impedendo l’attuale continuo ed egoistico esproprio della montagna da parte delle società impiantistiche.