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Piccoli uomini per grandi tragedie

Lo stillicidio di morti in Irak, la guerra sbagliata al terrorismo e l’ultima risoluzione Onu.

Uno per ogni santo giorno che Dio ci manda. Qualche giorno anche più di uno. Ma non c’è giorno che almeno uno non ci sia. Mi riferisco a quei soldati delle potenze occupanti dell’Irak, inglesi ma soprattutto americani, che puntualmente perdono la vita dopo che ci era stato annunciato che la guerra vittoriosa era finita. I morti irakeni, poliziotti che collaborano, civili disimpegnati o ribelli, non fanno nemmeno notizia. È uno stillicidio di sangue occidentale, democratico, umanitario, che viene a macchiare ogni sera i nostri teleschermi, a costituire un perentorio indice d’accusa puntato a denunciare il colmo di assurdo, di tragico e di criminale rappresentato dalla guerra in Irak.

D’accordo, il terrorismo va combattuto. Come è possibile non condividere questa esigenza? Ma l’unico mezzo che va escluso per farlo è appunto l’azione terroristica. In Afghanistan ed in Irak invece il contrasto ai terroristi dell’11 settembre è stato compiuto unicamente con mezzi altrettanto terroristici, cioè distruttivi di persone innocenti, meramente dimostrativi, perché non hanno annientato il nemico, istigatori di odio con l’effetto di potenziare il nemico medesimo. Invece che ricercare le cause del terrorismo, per curarlo alla radice, si è rovesciata una cieca collera su interi popoli, scardinandovi regimi statuali tirannici, ma rafforzando le strutture clandestine del fondamentalismo che attraversano i confini degli stati.

Dovremo pur chiederci come sia possibile che migliaia di persone siano disposte a spendere tutto quel poco che hanno per mettersi nelle mani di avventurieri, attraversare le insidie del deserto e del mare affrontato su imbarcazioni decrepite, rischiare di morirvi con la propria famiglia, tutto ciò pur di fuggire dalla loro disperata miseria ed approdare al miraggio delle nostre coste. E per quale oscura ragione tanti giovani , donne e uomini, decidono di immolarsi in attentati suicidi nei quali alla fredda determinazione di uccidere si accompagna la rinuncia alla propria ancora acerba esistenza. Un fenomeno di così vasta dimensione e così contrario all’ordine naturale delle cose non può essere soppresso con mezzi di ordinaria violenza. Esso non può essere soltanto l’aberrante risultato di un fanatismo religioso o di una propaganda speculativa. C’è anche fanatismo e propaganda, ma affinché tali fattori siano efficaci è necessario che esista una realtà materiale, sociale e culturale che li favorisce.

Nessuno dei grandi uomini che guidano il mondo si è posto questi interrogativi. L’unica risposta è stata la guerra, bombe, missili, massacri, motivata da falsi pretesti, giustificata a posteriori da inconsistenti risultati. Le centrali del terrorismo non erano in Afghanistan, perché erano a Kabul come anche in molti altri luoghi. L’unica arma di distruzione di massa presente in Irak era l’odio contro l’Occidente, che la guerra non ha distrutto ma alimentato. Una guerra che corrisponde esattamente allo schema dei crimini di guerra delineato dell’articolo 8 del trattato di Roma istitutivo della Corte penale internazionale approvato nel luglio 1999 a Roma da 120 stati con sette voti contrari, fra i quali Stati Uniti, Cina, ed Israele. Talché si capisce perché la Cina abbia aderito alla risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’ONU che in questi giorni ha quasi ratificato la guerra preventiva di Busch. La Russia di Putin vi si è accodata, visto che i suoi problemi in Cecenia non sono molto dissimili. Germania e Francia hanno pure aderito, un po’ per rimettere in gioco l’ONU ed un po’ perché di fatto la risoluzione non comporta la fine dell’isolamento degli USA sul terreno militare in Irak.

Ma tutti questi complicati moventi della diplomazia mondiale che hanno portato ad un voto che apparentemente ha sanato le divisioni che si erano manifestate all’inizio della guerra, non chiudono il problema e non rimuovono la illegittimità della guerra. In Irak come in Medio Oriente occorre una svolta radicale per fermare la corsa verso l’abisso.

Ciò che spaventa osservando lo scenario mondiale dei nostri giorni è il deserto. Non c’è nessuno. Non un uomo che sia all’altezza della enormità dei problemi. Dove sono i Roosvelt, i Churchill, i De Gaulle, i Gorbacev che in altri tempi hanno saputo affrontare i problemi del mondo con adeguata statura intellettuale? Oggi ovunque ci sono piccoli uomini. Tanto più piccoli quanto maggiori sono le potenze affidate alle loro mani maldestre ed alle loro menti ottuse.