Menù
Home
QT
Questotrentino
Mensile di informazione e approfondimento
Utente
Cerca
QT n. 21, 6 dicembre 2003 Servizi

Da Genova, a Firenze, a Parigi

Il movimento new-global raccoglie sempre più attenzione e consensi. Ma su alcuni aspetti...

Francesco Bert
Un momento dei dibattiti al Social Forum.

Si discute animatamente, con gli amici, al ritorno da Parigi verso Bruxelles: si confrontano opinioni diverse, si condividono pensieri e idee, tra affinità e differenze. E’ anche questo il Social Forum Europeo, spostatosi quest’anno da Firenze alla capitale francese, per accogliere un pubblico ancora più vasto che non smette di interrogarsi sullo stato del mondo e su cosa fare per migliorarlo.

Firenze, l’anno scorso, aveva già rappresentato un successo per il movimento new-global: dopo il G8 di Genova, che troppi mass-media fanno ricordare ormai solo per gli scontri tra manifestanti e polizia, ci si attendeva una svolta, un cambiamento. Se il movimento voleva crescere e diventare un punto di riferimento nella società si doveva isolare la violenza. Non si poteva parlare di pace con spranghe e minacce. Ecco, quest’operazione io direi che è sostanzialmente riuscita, e oggi un’Oriana Fallaci che mettesse in guardia dai "barbari" che manifestano per le strade nessuno la prenderebbe sul serio. I negozi restano aperti e non vengono imbrattati, le macchine non vengono bruciate, la gente dalle finestre non ti guarda come un alieno, ma applaude o sventola bandiere arcobaleno. La polizia, infine, resta in disparte, non provoca e non viene provocata, se non dai fischietti dei manifestanti.

Non solo: qui nella Francia paladina del "no" alla guerra in Iraq, tutti i leader politici hanno rilasciato dichiarazioni di apertura e confronto. Chirac dice che è inevitabile una ridistribuzione delle ricchezze prodotte dalla globalizzazione, il primo ministro Raffarin, uno distante anni-luce dalle prospettive del movimento, si dichiara anche lui "altermondialiste", e il suo governo di centro-destra contribuisce ai finanziamenti del Social Forum parigino con 500.000 euro!

I giornali, infine, dedicano ampio spazio all’avvenimento. E se da Libération te lo aspetti, che il liberale Le Figaro esca con le prime quattro pagine tutte dedicate alla vetrina parigina del movimento, fa quanto meno riflettere, su quanto questo giovane movimento ha guadagnato in fiducia e considerazione. E’ qualcosa con cui, oggi, tutti i governanti si devono rapportare, quando prendono decisioni che riguardano i cittadini del mondo.

Ma che cosa si dice dunque di concreto in quel laboratorio che sono le conferenze plenarie e i seminari del Social Forum? Come si discute, come si pratica quella "democrazia diretta" tanto decantata?

A Parigi, secondo me, le cose potevano andare meglio. Al di là del sovraffollamento di certe sale, nonostante i quattro siti messi a disposizione, è stata l’impostazione che non mi è sempre piaciuta. Un esempio concreto è il dibattito sulla questione israelo-palestinese, sempre, purtroppo, d’attualità. I relatori, tutti militanti di estrema sinistra, sono degli ebrei europei convertiti alla causa palestinese, e convinti che si possa arrivare alla pace tra i due popoli solo se si accolgono tutte le richieste dei palestinesi. Tutti sono inoltre convinti che la sinistra israeliana non è abbastanza impegnata per la pace, che non c’è differenza tra Sharon e Peres. Al sentirli, io mi interrogo, e i miei applausi non sono spontanei. Sanno, quei relatori, come ragiona la popolazione israeliana? Mi sembra che ci sia un distacco dalla realtà ancora grande, in certi casi.

Credo che il movimento debba dialogare con la politica delle istituzioni e dei partiti, pur conservando la sua autonomia. Le decisioni del mondo passano(ancora? purtroppo?) per i grandi organismi internazionali, l’ONU, il WTO, l’FMI. E’ facile (e doveroso) criticarli, ma è difficile trovare delle alternative valide. E allora mi sento in disaccordo totale quando, in un altro incontro, sento parlare di Lula, il presidente brasiliano, come di un traditore, perché intavola relazioni con gli USA e si reca, oltre che a Porto Alegre, anche a Davos, a parlare della situazione del suo Brasile ai potenti della Terra.

La Costituzione europea: io non la condanno in toto, anzi. La vorrei migliore, questo sì, vorrei anch’io che il primo articolo dicesse che "L’Europa ripudia la guerra", ma certo non mi batterò perché la conferenza intergovernativa di Roma fallisca e l’Europa a venticinque resti così com’è! Perché, per esempio, non proporre una carta alternativa da presentare ai governanti, da discutere insieme e migliorare?

Questo movimento è fatto di associazioni, sindacati, ONG, partiti, ma anche di tanti cittadini comuni, che partecipano, in gruppo, o da soli, arrivati da tanti paesi (io, con i miei amici, siamo arrivati da Bruxelles, dove stiamo studiando l’Europa), per interrogarsi, per capire qualcosa di più sullo stato del mondo.

Parigi 2003, per certi aspetti, non mi è sembrato il modo migliore per far conoscere a più persone l’altra globalizzazione possibile. Dai limiti e dagli errori si può e si deve imparare, riconoscendo e rispettando le diversità interne, per far fruttare, e far vincere, i principi fondanti: la pace, i diritti sociali, il rispetto dell’ambiente, la solidarietà. Di questo il mondo ha bisogno, e di questo, a Parigi, abbiamo parlato, e per questo abbiamo manifestato.