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Da Modigliani al contemporaneo

A Modena, il Novecento in scultura tra forma e antiforma.

Fino al prossimo 7 marzo al Foro Boario di Modena una
mostra tesserà la trama, in un unico ambiente, del racconto della scultura del Novecento nelle sue varie evoluzioni. Le copiose opere provengono dalle collezioni Guggenheim di Venezia, New York e Bilbao, testimoniando così, oltre ad una storia della scultura nel secolo breve, quella di un gusto collezionistico.

Se il ‘900 si apre con il clamore delle avanguardie, è parso corretto inserire un prologo che presenta le ricerche più avanzate del secolo precedente. E così ad aprire la sezione dedicata alla figura umana sono dei bronzetti di Degas - diafani e dinamici - e Rodin, più grevi e psicologici.

Pablo Picasso, Tre sculture (1964).

Una testa di Modigliani dai caratteri spiccatamente arcaici segna una profonda rottura con la tradizione precedente, divario accentuato dai ritratti ormai non più riconoscibili delle ricerche cubiste di Duchamp-Villon e soprattutto di Lipchitz. Il trapasso non è però generale, e parallele scorrono ricerche di tutt’altro tipo, come il simbolismo di Wildt o l’astrattismo di Moore. Fra naturalismo ed astrazione si colloca "Monsieur Cactus" di Julio Gonzàlez, drammatica sintesi tra uomo e pianta, mentre morbide e raffinate sono una ricca serie di sculture in vetro disegnate da Picasso. L’evoluzione della figura umana si accentua al limite del dramma nelle forme laviche di Giacometti, nell’arcaismo di Richter e nella costrizione forzata de "L’uomo nella ragnatela" di César, per ritrovare a fine percorso, con Paladino, un ritorno all’ordine che accomuna scultura e pittura.

Dall’uomo all’animale, tema della seconda sezione, il passo è breve. Le rotondità bulimiche della "Maiastra", l’uccello mitico delle leggende rumene che è una sorta di icona delle sculture di Brancusi, si dissolvono nell’anoressia scheletrica di "Insetto e fiori" di Mirko, autore presente anche con una coppia di grandi leoni dal ricco cifrario decorativo che ricordano i leoni stilofori romanici. Da segnalare anche "Donna animale", opera giovanile di Beuys, un grottesco "Caprone" di Minguzzi nonché il "Coniglio" di Bourgeois, impietosamente scuoiato, come in un sacrificio. L’innesto della tecnologia in scultura è presente in "Coccodrillo del Niger" di Merz, significativo esempio del grande maestro dell’arte povera recentemente scomparso, in cui alla serie di numeri di Fibonacci modellati in tubi al neon è affiancato un coccodrillo imbalsamato, animale che nella simbologia cristiana è guardiano della conoscenza.

La sezione successiva è destinata alle varie ricerche che
nel corso del Novecento si mossero nel campo dell’astrazione, giungendo al superamento della rappresentazione oggettiva della realtà. Tra le opere più significative, "Scarpa azzurra rovesciata con due tacchi sotto una volta nera" di Arp, rilievo ligneo dalle forme biomorfe, "La boxe", terracotta di Archipenko dall’accentuata ricerca volumetrica vicina alle forme cubiste, un "Mobile" di Caldaer, leggerissima composizione di vetro, porcellana e fili di ferro che si muove con l’aria e che sta agli antipodi della solidità della tradizione scultorea, e infine una "Compressione" di César di strisce d’alluminio. Tra gli italiani presenti in questa sezione, Arnaldo Pomodoro e Pietro Consagra.

Breve ma intensa la sezione successiva, che mette a confronto due personalità straordinarie e indipendenti come Joseph Cornell e Marchel Duchamp. Del primo, autodidatta e precorritore della pop art, è presente una delle celebre vetrine costituite da ready-made e piccole immagini ritagliate: "Pappagallo che predice il futuro" (1937-8), opera enigmatica quanto suggestiva, presenta un pappagallo imbalsamato affiancato da foglie e da un contenitore cilindrico ornato di figurine scientifiche, carte da gioco, piccoli ritratti fotografici d’inizio secolo. Di poco successiva è la "Scatola in una valigia" di Duchamp, che riprende una frase detta dallo stesso insuperabile iconoclasta: "Tutte le mie opere possono stare in una piccola valigia". E così è: questa "scultura" contiene la riproduzione in miniatura di 68 suoi precedenti lavori, compreso il celebre orinatoio…

Dalla non-scultura di Duchamp si passa infine all’antiscultura delle ricerche contemporanee che presero il via a partire dai primi anni Settanta, quando l’uso di materiali non prettamente artistici divenne la norma, sia che si trattasse di elementi naturali, sia che si trattasse di prodotti di derivazione industriale. E’ quest’ultimo il caso di Dan Flavin, le cui lampade fluorescenti blu e rosa riconducono alle ricerche minimaliste, o dell’opera dello scorso 2003 di Nannucci, una scritta modellata con tubi al neon. Uno spaesante "Specchio spezzato" di Pistoletto, una linea di lastre d’ardesia di Long e un’opera in cera, metallo e piombo di Kounellis completano l’esauriente quadro espositivo.

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