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Cecenia: la lunga agonia

Fotoinchiesta. Da Narcomafie, mensile del Gruppo Abele di Torino.

Nigel Chandler, G. Neri

Il 5 ottobre 2003 si sono svolte in Cecenia le elezioni presidenziali organizzate da Mosca: Akhmad Kadyrov, il candidato filorusso, ha ottenuto l’81% dei voti e un ventaglio di poteri straordinariamente ampio grazie alla nuova Costituzione voluta dal Cremlino. La popolazione è stata costretta a votare sotto la minaccia del kalashnikov. Le Ong hanno boicottato lo scrutinio non presenziando come osservatori: "In Cecenia vige la legge marziale, è impossibile parlare di libere elezioni". Jaap de Hoop Scheffer, capo dell’Osce (l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa), ha messo in dubbio la regolarità del voto, lamentando "mancanza di pluralismo tra i candidati, l’assenza dei media indipendenti e il continuo clima di violenza".

"La nostra guerra dura da 400 anni" - si sente spesso dire dai ceceni. Stanziati da tempo immemorabile nel Caucaso settentrionale, tra l’Inguscezia e la Georgia, hanno sempre cercato di resistere ai tentativi di assoggettamento da parte della Russia, da quella zarista a quella democratica.Dopo il crollo del Muro di Berlino, un referendum approva la dichiarazione di indipendenza dall’Urss e il generale Dzhokar Dudayev viene eletto primo presidente della Repubblica indipendente Cecena: è il 27 ottobre 1991. Ma la piccola regione caucasica, di religione sufi (un movimento mistico-ascetico diffusosi all’interno dell’Islam alla metà del VII secolo), ricca di giacimenti petroliferi e gas naturale, è un’area strategica nonché avamposto nell’Asia centrale a freno della temuta avanzata islamica. 

La Russia non intende rinunciarvi e il 2 novembre definisce illegale l’elezione di Dudayev. Nel ’94 il presidente russo Boris Eltsin autorizza l’intervento armato: 40.000 soldati entrano a Grozny, devastandola. E' l’inizio della prima guerra russo-cecena.

Nel ‘96 Eltsin, sotto pressioni interne e dell’Osce, constata la sconfitta e decide di affidare al generale Lebed l’incarico di concludere un accordo di pace.

E’ il 27 agosto: in 21 mesi di conflitto, 70.000 soldati russi e il 10% della popolazione cecena sono morti. Mosca, tuttavia, continua a non riconoscere la sovranità della neorepubblica e nei mesi successivi all’accordo la situazione precipita: all’interno della resistenza, estremisti wahhabiti (corrente islamica saudita cui appartiene Bin Laden), vicini al leader militare Shamil Bassaev, leggendario capo della guerra cecena, invadono, con l’appoggio di frange dei servizi segreti russi, la vicina repubblica del Daghestan, cercando di instaurarvi uno Stato islamico. 

Nell’autunno dello stesso anno, inoltre, Mosca e altre città russe sono sconvolte da attentati dinamitardi e le esplosioni sono attribuite a terroristi ceceni. Ci sono le basi per un nuovo attacco. E’ il 1999 e Vladimir Putin, nuovo presidente russo, pianifica l’operazione contro la Cecenia che sarebbe dovuta durare poche settimane, ma che continua da 5 anni. I ribelli resistono nel sud del Paese e nella zona montagnosa, la parte pianeggiante e il nord sono interamente presidiate dalle forze russe. Grozny, rasa al suolo, conosce ancora una volta la pax russa nel silenzio della Comunità internazionale.

Il 16 gennaio 2003 la Corte europea dei diritti dell’uomo ha accolto sei denunce contro la Russia per violazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e, durante la sessione di aprile, il Consiglio d’Europa ha chiesto la creazione di un tribunale penale internazionale ad hoc per la Cecenia.

Il neo presidente Kadyrov, già capo dell’amministrazione cecena filorussa, ha una propria milizia di oltre 2.000 uomini, capeggiata dal figlio Ramzan, che si aggiunge così alle milizie del ministero ceceno degli Interni: 12.000 uomini armati dai "federali" e in grado di combattere i ribelli sul loro stesso territorio. Non è pertanto azzardato ipotizzare che lo scopo di Putin sia ritirare le truppe federali, trasformando il conflitto russo-ceceno in conflitto tra Ceceni.