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QT n. 7, 3 aprile 2004 Servizi

Industria trentina a rischio?

26 marzo, sciopero generale: 4 ore contro Berlusconi, 4 contro Dellai. Ma soprattutto contro il pericolo di un Trentino senza industria.

Quattro ore contro Berlusconi, quattro contro Dellai. Semplice, forse troppo, ma inevitabile la conclusione, dopo che Cgil-Cisl-Uil hanno localmente raddoppiato le ore dello sciopero nazionale. Contro i tagli delle pensioni quindi, certo; contro la politica economica di Tremonti, logico. Ma in Trentino cosa si imputa alla giunta Dellai? Anzi, lo sciopero è o non è contro Dellai?

San Precario, durante lo sciopero generale del 26 marzo.

La partecipazione alla manifestazione, convinta ed appassionata, ha dato una prima risposta: cartellino rosso a Berlusconi, che ci sta tutti impoverendo, e oltre al presente compromette il futuro del paese; e ammonizione orale a Dellai, ché non ne segua le orme. Intendiamoci, il Trentino, già isola felice, è comunque isola serena; non c’è la tensione delle analoghe manifestazioni romane, la denuncia di un grave impoverimento di ampie fasce; c’è "solo" la protesta di chi vede il posto di lavoro a rischio (con però concrete possibilità di trovarne un altro, se non è un cinquantenne); e di chi non apprezza la flessibilità, e la ribattezza precarietà.

Una manifestazione quindi di gente seria, non disperata, che vuol ricordare la propria forza; ma una forza tranquilla, consapevole, non certo minacciosa.

In sintonia con la piazza (e non è una cosa scontata), l’opinione delle organizzazioni. Alle quali chiediamo di articolare meglio il giudizio sulla politica del governo provinciale.

"Nessun dubbio, Dellai non è Berlusconi - chiarisce il segretario della Uil Ermanno Monari, che per primo aveva rotto il tabù, affermando che lo sciopero aveva come controparte anche la giunta provinciale - L’attenzione all’istruzione, i fondi per l’università e la ricerca indicano una direzione strategica che condividiamo. Però, attenzione: siamo in un momento critico per il nostro settore industriale, soprattutto nel comparto tessile. E per tutti noi, Cgil, Cisl, Uil, l’industria non è un settore come gli altri, è quello che fornisce più valore aggiunto all’economia, dà stimoli e concretezza alla ricerca, fa crescere la società. E poi c’è il discorso del rinnovo contrattuale del pubblico impiego, al quale Dellai sembra voler dedicare risorse insufficienti, a fronte invece del perdurare dei privilegi dei politici".

La lista delle doglianze sindacali verso la giunta Dellai è ben definita: in testa il rinnovo del contratto dei provinciali; poi il progettare riforme che si ritengono discutibili, come quella istituzionale, senza consultare il sindacato ("Anche se, è vero, non è una materia che ci riguarda strettamente"); o la reintroduzione di un centralismo provinciale in settori come la scuola ("E così non si consente la conclamata autonomia degli istituti").

Su tutto però aleggia un problema di fondo: il timore di un declino dell’industria trentina. Come conseguenza da una parte di una tendenza nazionale; e dall’altra di una tentazione provinciale sottaciuta eppur nei fatti operante, e ritenuta illusoria: quella di potersi ritagliare un’economia basata su commercio e turismo.

"Le quattro ore di sciopero sono per dire a Dellai che così le cose non vanno; quindi non contro la giunta, ma per sottolineare la necessità di cambiare - ci dice il segretario della Cgil Bruno Dorigatti - Nell’industria abbiamo perso 1.400 posti di lavoro, ed altri ne perderemo. Dellai questi dati li sottovaluta, dice che poi vengono assorbiti da altre iniziative; il che è vero, ma sono posti che passano all’artigianato, al terziario. E secondo noi questa non è una dinamica positiva, l’industria deve rimanere il cuore dell’economia."

Insomma, i sindacati non si scandalizzano, se, chiudendo le fabbriche di sigarette, si aprissero aziende di software; sono invece preoccupati nel vedere il passaggio dal polo del fumo al centro commerciale.

"Di solo terziario non si regge a lungo. E’ la produzione il fattore decisivo.".

Ma di questo, che pensa l’Associazione Industriali? Su una piattaforma del genere, avrebbe potuto scendere in piazza accanto agli operai?

"Quest’attenzione del sindacato non può che farci piacere - risponde il direttore di Confindustria Fabio Ramus - Ovviamente concordiamo sul ruolo determinante dell’industria nello sviluppo del Trentino, come per qualsiasi territorio. Quello che ci divide è la loro lettura forse un po’ allarmistica dei dati. Le aziende nascono, si sviluppano, e anche muoiono. Ora, se la crisi degli anni ’80 è stata superata con l’arrivo di nuove iniziative anche importanti (ad esempio la Sony), oggi questa dinamica è più difficile; ma crescono molte delle aziende esistenti, alcune tipicamente locali diventano globali".

Il grafico in alto rappresenta, secondo i dati della Camera di Commercio, l’andamento dell’occupazione nell’industria trentina. Ramus non si preoccupa più di tanto del calo dell’ultimo anno: "E’ un discorso statistico: sono censite le aziende con più di dieci dipendenti. In realtà molte aziende sono passate sotto tale soglia e sono quindi sparite dalla statistica. Ma le aziende e i lavoratori ci sono".

"Sì, ci sono. Ma la dinamica non è positiva - ribatte Dorigatti - E’ un’ulteriore frantumazione, si va verso il nanismo aziendale, con imprese troppo piccole per investire, e quindi con contenuto tecnologico troppo basso. Per l’industria si sta aprendo una nuova fase: bisogna governarla, non subirla."

A lato della manifestazione: "Disobbedienti" e celerini di fronte alle vetrine dell'Upim.

Ramus non concorda ("Abbiamo una sessantina di imprese che occupano 15.000 addetti: hanno quindi dimensioni rispettabili. Certo, se ci fossero più imprese medio-grandi, sarebbe un bene, ma non credo sia il caso di disconoscere l’importanza delle piccole imprese e delle artigiane. Credo che altre cose siano più importanti: come una cultura che ancora ritiene il lavoro in fabbrica come un po’ sporco, e predilige l’impiego pubblico. O come certi segnali controproducenti del sindacato, restio a far fronte ad aumenti di produzione").

A parte le doglianze reciproche tra imprenditori e sindacati, rimane un dato: i lavoratori sono più preoccupati, sia dei politici che degli industriali.

Temono che il malessere economico che sta peggiorando la qualità della vita in tante parti d’Italia, arrivi anche qui.

E temono di essere loro i primi a farne le spese. Soprattutto stentano a intravedere politiche di lungo respiro. Speriamo che abbiano torto.