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QT n. 1, 15 gennaio 2005 Cover story

Quale sindaco per quale città?

Sono assiduamente impegnati nella parte più tradizionale del loro lavoro i partiti del capoluogo: decidere candidati ed alleanze in vista delle prossime elezioni comunali. Sono le contese tra le nomenklature, che tanto appassionano gli interessati. Noi siamo più tiepidi; e cerchiamo di spostare invece il discorso sulla città: il suo stato attuale, i problemi, le prospettive.

Gli interlocutori

Questi sono gli opinion maker che abbiamo intervistato sulle problematiche di Trento:
Enrico Zaninotto, docente di Economia delle aziende industriali all’Università di Trento;
Ermanno Monari, segretario provinciale della Uil;
Fabio Ramus, direttore dell’Associazione Industriali;
Antonio Rapanà, della segreteria della Cgil, esperto delle problematiche dell’immigrazione e disagio sociale; Sergio Dellanna, architetto, assessore all’urbanistica ad Arco;
Walter Micheli, ambientalista, già vicepresidente della Provincia.

Per focalizzare questi discorsi, abbiamo interpellato alcuni esponenti della società civile, i cosiddetti opinion leaders. E poi abbiamo sottoposto questioni e problemi ai rappresentanti delle due coalizioni politiche che si fronteggiano: per il centro-sinistra Trento Democratica, la coalizione del sindaco uscente Pacher, e Forza Italia per il centro-destra.

In questi discorsi verranno spesso mescolati, accanto a temi più strettamente cittadini, riguardanti specificamente il capoluogo, altri più generali, che riguardano il Trentino; e che quindi, in termini di stretta logica istituzionale, dovrebbero riguardare più la politica (e le elezioni) provinciali. Ma nel capoluogo convergono, come vedremo, gran parte dei problemi del territorio, nel bene e nel male. E’ quindi logico discutere dei problemi della città secondo un orizzonte più ampio; al di là delle strette competenze istituzionali, peraltro dai sempre labili reciproci confini.

Le prospettive del Trentino

Sottoponiamo ai nostri interlocutori un ragionamento che i nostri lettori forse già conoscono. E che parte da lontano: dal prossimo affacciarsi ai livelli di consumo occidentali di miliardidi uomini e donne, dall’Est europeo alla Cina, all’India. Con i conseguenti problemi di sostenibilità ecologica per l’intero pianeta: la dissipazione di risorse cui siamo abituati, se estesa a quote rilevanti della popolazione mondiale, non è semplicemente sostenibile, ci ammoniscono da anni gli scienziati. A rischio non è l’erba rara, l’animaletto o il bel paesaggio, bensì gli elementi primari: l’aria e l’acqua, oltre all’energia e alle altre materie prime.

In questo scenario è auspicabile (l’alternativa è una guerra planetaria) un reindirizzo dell’intero sistema produttivo. Il capitalismo ha saputo reinventarsi all’inizio del secolo scorso ponendosi come vincoli i diritti dei lavoratori; ora dovrà farlo ponendosi il vincolo della sostenibilità ambientale. E già lo vediamo, con le prime normative, operanti come le Euro 1/2/3/4 per le automobili, o di prossima attuazione come il protocollo di Kyoto. E’ una sfida vera, che imporrà una profonda evoluzione delle tecnologie e dei modi di produzione.

In questo quadro il Trentino, come intende porsi?

Ermanno Monari, segretario provinciale della Uil.

"Il Trentino e Trento come capoluogo, sede dell’Università e degli Istituti di ricerca, può rappresentare in Italia un’avanguardia. A questo poteva essere legata la costruzione di una sorta di Città della Scienza nella decisiva ed emblematica area ex-Michelin, dove poi si sono fatte altre scelte, più banali – risponde Ermanno Monari della Uil – Il ministro competente Moratti ritiene di orientare la ricerca secondo le vocazioni dei territori: di qui il progetto dell’assessore Salvatori per far crescere in Trentino un distretto sulle tecnologie ambientali: bioedilizia, domotica, energie rinnovabili. Su questo il Comune non ha molte competenze specifiche; però deve parlare chiaro sul contesto: PiRuBi, terza corsia, addirittura l’aeroporto. Sarebbe ora di piantarla con la vecchia logica, non si può pensare di istituire un distretto ambientale in una città dall’aria irrespirabile".

Si aprono insomma due tipi di interrogativi. Quanto è realistica questa ipotesi di un Trentino proiettato sulle tecnologie dell’ambiente? E, a seguire: quanto confligge questo progetto con le attuali priorità, con i poteri forti dei costruttori di strade e degli autotrasportatori?

Fabio Ramus, direttore dell'Associazione Industriali.

Sulla prima questione, non ha dubbi il direttore di Confindustria Fabio Ramus: "Il Trentino non solo può avere un ruolo nelle tecnologie ambientali, ma lo sta già giocando: vedi le certificazioni ambientali di tante aziende, l’impegno a rispettare regole qui più severe, la spinta nel settore delle energie rinnovabili. Il distretto tecnologico proposto dall’assessore Salvatori è un progetto non solo praticabile, ma da noi pienamente condiviso, fin dall’inizio. Però sia chiaro – precisa Ramus sul secondo quesito – non riteniamo che questo voglia dire minore attenzione alle infrastrutture: temere i Tir vuol dire avere del Trentino una visione agreste: noi non possiamo fungere da tappo allo sviluppo delle altre aree, il problema dell’inquinamento lo si risolverà non con i limiti al traffico, ma con l’evoluzione tecnologica dei motori".

Sulla realizzabilità di un distretto delle tecnologie ambientali concorda anche Walter Micheli: "Lo dimostrano paesi decentrati come Finlandia e Irlanda, che proprio su qualità di ricerca, università e ambiente hanno fondato uno sviluppo all’avanguardia in Europa. In questo disegno, è bene che la città di Trento esprima un ruolo di proposta, passando da una posizione tutta difensiva (la Pat non si ingerisca nelle competenze comunali), a una propositiva, di rivendicazione di un ruolo. E allora PiRuBi, aeroporto, interporto e inceneritore non sono più questioni spicciole legate a porzioni di territorio, ma fondamentali rispetto allo sviluppo futuro del Trentino. E in particolare il problema dell’autotrasporto è strategico: se non lo si governa, aumenterà, queste sono le dinamiche spontanee; mentre invece occorre fermarlo, farlo regredire percentualmente, operare le scelte per il passaggio al ferro. E’ da invertire l’attuale tendenza del Comune di Trento a disinteressarsi delle scelte che avrebbero portato a un riequilibrio del rapporto gomma-ferro (scalo intermodale di Ala, scalo di Roncogno, ecopunti) e quindi a un decongestionamento del capoluogo".

L’architetto Sergio Dellanna la mette giù dura: "Parliamoci chiaro, pensare al futuro fa paura: oggi il Trentino non è vocato a niente e, con il federalismo fiscale e la contrazione delle risorse pubbliche, è nell’aria una crisi pesante. Per questo da una parte il discorso di preparare il futuro è più urgente che mai; dall’altra si è ambigui, perché incerti nel voltare pagina. La centralità dell’autotrasporto, settore sano, forte anche nei rapporti lobbystici, porta alla dilatazione dell’interportualità, alla PiRuBi, ecc. Insomma, il Trentino ha finora tratto benefici dall’essere zona di transito: il conflitto è tra chi vuole sviluppare questi benefici, indifferente ai costi conseguenti, e chi vuole limitarli, puntando ad altro, capitalizzando sulle nuove tecnologie anche la buona predisposizione che c’è in Italia verso il prodotto trentino. Questo è il conflitto: non si tratta di scelte tranquille, né scontate".

Sulla stessa lunghezza d’onda il prof. Enrico Zaninotto, già preside di Economia: "Il lavoro di Salvatori è positivo, significa che la Provincia ha un progetto in testa. Ma che il business ambientale diventi un business trentino è sì possibile, ma difficile: il pubblico ha capacità di orientamento limitata, occorre una notevole concentrazione di risorse, e quindi una larga convergenza anche da parte delle imprese. In questo quadro, più che ad una contrapposizione sui problemi del traffico internazionale, in minima parte gestibili in sede locale, io vedo molto interessante l’intensificarsi dei rapporti con Innsbruck, un partner territoriale molto versato proprio sulle tecnologie ambientali, e con cui si inizierebbero a raggiungere dimensioni significative".

La politica delle città

Il discorso si allarga immediatamente ai rapporti tra territori, alle alleanze tra città. Tutti i nostri interlocutori sottolineano come un Trentino proiettato verso il futuro, e in particolare verso nuove tecnologie ambientali, possa, anzi debba, trovare nuove alleanze a Nord, soprattutto con Innsbruck.

Enrico Zaninotto, docente di Economia delle aziende industriali all’Università di Trento.

Zaninotto sottolinea il significato di fondo di tale impostazione: "Più che all’Europa delle regioni, credo all’Europa delle città. Passare dalle nazioni alle regioni, significa solo passare ad un nazionalismo più angusto, mentre l’identità delle città non sta nel territorio, ma nello scambio e nella partecipazione. Di qui l’importanza delle alleanze tra città vivaci, che hanno impronte simili. Oggi io vedo quest’opportunità, più che con Bolzano, che persegue un suo modello di chiusa autosufficienza, con Innsbruck".

Qui però rischiamo di entrare nel capitolo delle occasioni mancate. Come avevamo spiegato in un servizio del giugno scorso (Innsbruck chiama Trento), alle sollecitazioni e disponibilità che ci vengono dal Tirolo, si risponde fiaccamente. O meglio, il Dellai sindaco aveva aperto alla grande questi rapporti; ma il Dellai presidente si era raffreddato, probabilmente proprio perché il Tirolo pone al primo posto l’ecocompatibilità dell’autotrasporto, e a Dellai di ambiente piace solo chiacchierare; e il sindaco Pacher si è dimostrato poco interessato.

Walter Micheli, già vicepresidente della Provincia.

"Di fatto Dellai si è portato con sé in Provincia i rapporti personali; e li ha gestiti in maniera discutibile, utilizzando la carta Innsbruck per scavalcare Bolzano, invece di lavorare per creare qualcosa di solido insieme – asserisce Micheli – E d’altronde Pacher si è ben guardato dall’agire in proprio. Adesso bisogna cambiare. Non può esistere una politica né economica né ambientale se non è fortemente correlata con Bolzano e Innsbruck: e l’Euroregione è balbettante, la Regione in esaurimento, il testimone in questa fase passa alle città".

Certo, si tratta però di rifondare mentalità: più della classe politica che dei cittadini. Infatti oggi come oggi vediamo Innsbruck che si lamenta di Durnwalder, che cerca rapporti con Monaco per scavalcare il Tirolo; e Dellai che fa il secondo aeroportino a Trento, o che giustifica la nuova micro-università vitienologica a San Michele con l’esigenza di anticipare Durnwalder, prima che lui crei qualcosa di simile a Laimburg… "E’ una miseria, una catastrofe - commenta Micheli.

Fortunatamente al di fuori della politica, ci sono cose che si muovono autonomamente. Come le due università, di Trento e Innsbruck, che hanno dato il via a progetti comuni di ampio e crescente respiro.

"E’ importante: questa può essere la soluzione di difficoltà altrimenti insormontabili - afferma Dellanna - Il Trentino da solo difficilmente ha le forze per avviare un nuovo più moderno sviluppo. All’interno di patti e integrazioni territoriali, come terminale sud di un sistema, si aprono subito nuove possibilità. Non solo: si parla di aperture verso Verona, che vanno benissimo; ma solo se controbilanciate da rapporti a nord. Perché l’avversione all’autonomia trentina viene storicamente dal Veneto; come da lì viene un modello economico che ci è estraneo, e peraltro in forte crisi, di cui abbiamo un esempio con la roccaforte di Affi".

Trento da 150.000 abitanti?

Recenti studi statistici (Istat e Strudel - il nome è proprio questo) ipotizzavano per il 2030 un Trentino da 600.000 abitanti; e quindi un capoluogo da 150.000 (Un Trentino da 600.000 abitanti?). Non sono state prese sul serio. Poi si è registrata, in questi ultimi anni, una costante crescita della popolazione, dovuta soprattutto all’immigrazione (interna, oltre a quella extra-comunitaria).

Bene, vuol dire che il Trentino ha forza attrattiva. Ma Trento, una città così compressa in un fondovalle, come può crescere di un 50%? Questo incremento lo si deve auspicare, temere, contrastare? E come ci si può attrezzare?

"Non è semplicemente auspicabile un aumento significativo della popolazione della città - risponde secco Ermanno Monari - La città, soprattutto per la sua configurazione longitudinale, già oggi risulta sovraccarica di traffico e di funzioni. E si espande a prescindere dalla crescita demografica."

"Nella popolazione non contano solo i numeri, ma l’equilibrio fra le generazioni. Per questo una crescita che mantenga l’equilibrio, che impedisca al Trentino di essere una terra di anziani, è positiva - afferma Zaninotto - Poi, quali siano i numeri ‘giusti’, compatibili, non so, questo riguarda discipline che non padroneggio".

"Gli immigrati migliorano la qualità della popolazione, attenuano l’invecchiamento - concorda Micheli - Globalmente il fenomeno migratorio è quindi un indicatore positivo, di dinamicità; e finora ad esso la popolazione ha risposto bene. Ulteriori incrementi però non possono più gravare sull’asta dell’Adige. Trento deve essere forte con la Provincia, ma per rivendicare un ruolo politico e culturale, non competenze. Anzi, deve decentrarle, decentrare servizi. Per evitare l’ingolfamento del capoluogo, come pure della valle dell’Adige, bisogna dare vita a un Trentino policentrico."

Qui si apre il problema dei rapporti con Rovereto, ma lo affrontiamo in un altro articolo a pag. 6.

Le politiche sociali

La positività dell’immigrazione per i nostri interlocutori è pacifica. Come anche per la grande maggioranza della popolazione "Anzi, mi stupisco della cultura dell’accoglienza che, globalmente, hanno evidenziato i trentini, molto diversa da altre aree del nord Italia. E’ una dimostrazione di civiltà - afferma il prof. Zaninotto.

Il che non vuol dire che non ci siano problemi, che non riguardano solo gli immigrati.

Antonio Rapanà, della segreteria della Cgil.

"Negli ultimi anni la città ha vissuto cambiamenti profondi, quantitativi e di composizione sociale, con l’invecchiamento della popolazione, l’arrivo degli stranieri, la precarizzazione del lavoro – afferma Antonio Rapanà - Il fenomeno più consistente è l’impoverimento di molti ceti: non che manchino i mezzi di sussistenza, ma è in atto una tendenza, vissuta con angoscia, verso una crescente vulnerabilità sociale. Il lavoro che qualitativamente peggiora, la precarietà che porta difficoltà economiche, il tutto accentuato da una certa disgregazione dei legami sociali e familiari".

"La povertà in quanto tale non è un problema significativo e Trento è una città sostanzialmente equilibrata - conferma Zaninotto - ma ci sono comunque situazioni critiche: il rapporto dei giovani con le nuove forme, instabili, di lavoro; la situazione delle donne di una certa età, separate, che rischiano di precipitare nella povertà; il problema, spesso molto acuto, della casa".

La giunta Pacher, caratterizzata culturalmente, a iniziare proprio dal sindaco, dal considerare la coesione sociale come un bene primario, fonte di benessere anche economico, come ha agito?

"C’è stata un’indubbia attenzione. Però, di fronte all’evolvere dei problemi, alle novità, ci sono stati ritardi e approcci superati - risponde Rapanà.

Il primo problema, sottolineato in questi giorni anche dall’Ordine degli Architetti, è quello della casa. "Quando gli immigrati, come le famiglie trentine monoreddito, spendono il 70% delle entrate per la casa, spesso di fortuna, c’è qualcosa che non va. L’Itea è evidentemente insufficiente: così la famiglia, costretta ad accedere al mercato degli affitti, è condannata a un’esistenza difficile. In Trentino, come in tutta Italia, manca una politica abitativa, si è solo favorito l’acquisto. Il che ha sistemato una quota rilevante di popolazione, ma pone gli altri in situazioni spesso drammatiche".

Prima responsabile è indubbiamente la Provincia, che ha concepito l’Itea come sostegno alle imprese edili (e ai prezzi, impazziti, del mercato, comperando chiavi in mano gli appartamenti invenduti). La Pat intende cambiare compito dell’Itea: vedremo. Ma neppure il Comune di Trento ha elaborato alcuna politica in merito, a iniziare da quella delle aree.

Più positive invece le politiche di integrazione, anche se ampiamente incrementabili. "Occorre puntare sulla creazione di occasioni di socialità, e quindi di legami sociali - afferma Rapanà - Ad esempio, i giovani, per i quali vanno creati spazi di aggregazione di cui siano protagonisti. E gli immigrati: favorendo la possibilità di un mantenimento/integrazione della loro cultura, perché altrimenti crescono persone non con due culture, ma con nessuna. Come fare? Mettendo a disposizione aule, formatori, animatori culturali e linguistici".

Infine un punto su cui tutti concordano: il voto amministrativo per gli immigrati.

L’urbanistica

E’ il cuore delle competenze di un Comune, determina bellezza urbana e qualità della vita; come pure gli arricchimenti dei proprietari fondiari. La giunta Pacher si è caratterizzata per la politica del rilancio: in gravi difficoltà per i contrasti tra sinistra e Margherita sul lavoro dei 3 saggi (consulenti del Prg invisi agli immobiliaristi) ne è uscita mettendo i 3 in disparte (Trento in riva al fiume? Difficile…), ed affidandosi a grandi nomi dell’architettura mondiale, che forti dell’indubbio prestigio, lanciassero grandi proposte. Ne sono uscite nuove idee, un arricchimento culturale. Ma secondo noi la Giunta e il Consiglio comunale non sono stati, almeno finora, all’altezza della situazione, incapaci di gestire idee, progetti, interessi.

Sergio Dellanna, architetto.

"E’ stato positivo aprire le discussioni sulle grandi scelte, finalmente sul fondovalle, sul cuore della città, dopo l’attenzione alla collina e ai sobborghi – ci dice Dellanna - Però i passi in avanti veri sono stati pochi: a parte l’ex-Michelin, dove si sta arrivando a una definizione, non entusiasmante, le scelte sono da operare. Sull’interramento della ferrovia, che probabilmente è un azzardo, un discorso prematuro; e si dovrà passare da un Prg incentrato su di esso, a uno che ne salvaguardi la possibilità. Su Trento Nord, dove il progetto di Gregotti (scatoloni con centri commerciali al chiuso ndr) confligge con il piano commerciale del Comune (vie commerciali pedonali aperte ndr) che invece punta a sfruttare come elemento di vivibilità urbana la vivacità del commercio."

"Sulla Michelin non posso non esprimere una delusione: non ci sarà né l’ipotizzata Città della Scienza, importante anche da un punto di vista economico e simbolico, né l’affaccio al fiume che si aspettavano i cittadini – afferma Monari – In quanto all’interramento bisogna essere cauti: non vorrei che si rischiasse di spostare l’asse degli interventi, facendo mancare finanziamenti alle politiche sociali."

Di diverso avviso il direttore di Confindustria Ramus: "Noi guardiamo con grande interesse a questi disegni; e ci siamo fatti coinvolgere fino in fondo nell’area Michelin, partecipando al capitale sociale. Nutriamo anche aspettative sulla nuova area industriale che – finalmente – è stata individuata a Ravina. Sarebbe bene individuare nuove aree per un ulteriore polo tecnologico per il terziario innovativo: sono aziende ainnovative, ed è bene raggrupparle in una medesima area."

Il discorso di Ravina porta alla situazione di Trento Sud.

"Che sta succedendo? Quale è la nuova configurazione della città dalle caserme a Mattarello? – si chiede Dellanna – Con l’espansione dell’area industriale a Ravina, il nuovo casello dell’A22, la tangenziale, il destino vago dell’area Crosina-Sartori, la nuova Cantina Sociale, il ventilato spostamento della residenza a fianco della Dorigoni… Sono tutte dinamiche in atto, senza che vi sia alcun progetto complessivo."

"Un ingolfamento di proposte e progetti ha portato a un allentamento del controllo democratico: mentre si discute della Trento del 2030, avanzano fatti che stravolgono la Trento del 2005 – denuncia Micheli – Tutto questo disporre di lembi importanti di città fuori da ogni programmazione, mette in discussione la capacità politica del Comune di gestire il proprio territorio. Cosa si aspetta? Che Trento Sud diventi come Trento Nord?"

Appunto. Mentre peraltro si registrano tutta una serie di interventi, anche piccoli, che riportano vivibilità (vedi quelli su Via Veneto, Via Perini, Corso Buonarroti, all’insegna della limitazione del traffico e del recupero dell’ambiente urbano); mentre con il piano del commercio si vuole utilizzare la vitalità dei negozi – ossia l‘economia – per accrescere vivacità e fruibilità della città; tuttavia per altri versi spesso la situazione sembra uscire dal controllo, non troppo fermo, della Giunta. Lasciare che le situazioni degradino, per intervenire poi a recuperarle, non ci sembra una grande politica.