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Un generoso errore

Referendum, uno strumento delicato, una sconfitta annunciata

Confesso che negli ultimi giorni avevo finito per crederci. Se ne parlava anche negli incontri occasionali, con le persone più diverse, specialmente donne. I temi in questione parevano adeguatamente dominati dagli interlocutori, che conversavano con proprietà di linguaggio e disinvoltura anche degli aspetti più intricati dei quesiti referendari. Persino la perplessità da alcuni manifestata sull’ipotesi eterologa, perplessità per me francamente incomprensibile, era indice di una riflessione, di una maturata anche se opinabile consapevolezza. Insomma, mi ero illuso che forse il quorum si sarebbe raggiunto.

Ma il corpo elettorale è un iceberg. Con quante persone avrò parlato nell’ultima settimana? Venti, trenta, cinquanta persone. Molte di queste sapevano come io la pensavo e forse preferivano assecondarmi piuttosto che contraddirmi. Un campione insigniflcante, e anche non sincero. La percezione che avevo avuto era inganrevole, appunto illusoria. La parte sommersa dell’iceberg-corpo elettorale è insondabile. Ed infatti il risultato ha convalidato ciò che avevo temuto all’inizio: promuovere il referendum sulla legge 40 era stato un errore. Un’intenzione generosa, ma sbagliata.

Eppure dovevamo saperlo. L’esperienza storica ce lo aveva insegnato. La regola è che di norma il referendum lo perde la parte che lo promuove. Le eccezioni sono rarissime; e non solo perché non si raggiunge il quorum. Pensate ai referendum sul divorzio e sull’aborto: il quorum in quei casi fu largamente superato, ma Democrazia Cristiana e Chiesa che li avevano promossi soccombettero a maggioranze corali. Anche in Francia, anche in Olanda, i due recenti referendum confermativi del trattato costituzionale europeo hanno dato torto ai governi che il trattato avevano approvato e che, per scrupolo democratico, hanno voluto che su di esso si pronunciasse anche il popolo sovrano.

Le spiegazioni contingenti dei singoli insuccessi sono ben note e numerose. Per il nostro di questi giorni, alla indifferenza per così dire endemica ed abituale di una quota rilevante del corpo elettorale, si è sommata la difficoltè di prendere posizione dinanzi alla complessità dei quesiti proposti. La prima condizione per poter dare una risposta è capire la domanda. Se la domanda è astrusa, troppo tecnica, implicante nozioni scientifiche sofisticate; se fa intravedere anche inquietanti interrogativi etici, dilemmi di non agevole soluzione... se la domanda è tutto questo, è più che naturale, potendolo, sottrarvisi. Tanto più quando riguarda problemi che, in fin dei conti, non hanno alcuna attinenza con la vita di gran parte degli elettori. Divorzio ed aborto infatti erano esperienze vissute da grandi quantità di persone. La procreazione assistita è fenomeno non irrilevante, ma che coinvolge una minoranza assai limitata di persone. Su questo terreno, già di per sé ben predisposto, l’esortazione dei cardinali e dei parroci è stata un gioco da bambini.

Ma vi sono ragioni meno contingenti per diffidare del referendum. Bisogna guardarsi dalla facile retorica democraticistíca che comunemente avvolge l’istituto. Si fa presto a dire che il popolo è sovrano, che quindi ogni forma di democrazia diretta è preferibile alla democrazia rappresentativa. Sono, queste, affermazioni che contengono un indiscutibile principio di verità, ma che vanno considerate con un irrinunciabile spirito critico.

Le esperienze di democrazia assembleare o di processi fatti dal popolo suscitano molte perplessità circa la loro efficienza. E le perplessita aumentano quando ci riferiamo a comunità più vaste, fino a raggiungere le dimensioni di uno Stato. In tali comunità i problemi sono così complessi che le loro soluzioni esigono conoscenza, attitudine a considerarli come problemi comuni, esperienza pratica, elaborazione di progetti e programmi a scadenza differita, capacità di cogliere le connessioni e ripercussioni fra i vari settori della realtà. lnsomma presuppongono una cittadinanza attiva ed organizzata, nel cui seno le idee e gli orientamenti si confrontino e giungano a consapevoli maturazioni. Gli strumenti della democrazia di una società di massa sono i partiti, diffusi sul territorio e partecipati dai cittadini. Dove sono ora da noi partiti con queste caratteristiche?

Una democrazia senza partiti che fungano da officine ideali è basata su una cittadinanza passiva, che nella ipotesi meno grave resta in balia degli istrioni che controllano i mezzi di comunicazione di massa. Nella peggiore, cade preda del demagogo populista. La democrazia diretta del referendum in queste condizioni è gravida di rischi incalcolabili.