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QT n. 11, 30 maggio 1998 Cover story

In Italia gli universitari studiano troppo

Nel resto d'Europa si studia di meno e ci si laurea prima. Perché? Con quali vantaggi? L'esperienza degli studenti trentini all'estero, degli stranieri a Trento, il parere dei professori. Intanto a Roma, il Ministero ha scelto una linea drastica...

Gli studenti universitari italiani studiano troppo? A chi è esterno al mondo universitario sembra una domanda paradossale: eppure se la pongono gli studenti, che attraverso soprattutto il programma di scambio "Erasmus" vengono in contatto con le altre realtà europee; se la pongono i professori (magari nella variante "Diamo una preparazione più elevata "); se la pone anche - e forse soprattutto - il Ministero, che ha deciso di obbligare i vari atenei a ridurre gli anni di permanenza degli studenti all'università (vedi articolo successivo).

Ma allora, è proprio vero che gli studenti italiani studiano di più dei loro colleghi europei? E oltre alla quantità, qual è la qualità dello studio? Per discutere di questi temi abbiamo riunito alcuni studenti: trentini che hanno studiato all'estero e stranieri attualmente a Trento. Di seguito il dibattito, con la partecipazione di Maria Luisa (Economia politica, esperienza Erasmus ad Ànversa, Belgio) Silvia (Giursprudenza, studia ad Innsbruck), Andrea (ingegnere, studente Erasmus a Nottingham, Inghilterra), Chiara (Sociologia, esperienza Erasmus a Parigi) Gregory (di Marsiglia, studente Erasmus a Trento di Economia e Commercio), Iker (di San Sebastian, Spagna, studente Erasmus a Giurisprudenza), Gòtz (di Colonia, studia Giurisprudenza), Johannes (di Augsburg, studia Economia e Commercio).

Maria Luisa: Concordo con la domanda, in Belgio si studia di meno e la mia esperienza è stata molto chiara in proposito: quasi tutti gli studenti belgi si laureano a 21-22 anni, un'età a cui noi siamo a metà strada. E loro studiano di meno perché studiano in modo diverso: classi molto meno numerose, insegnanti che ti seguono da vicino, argomenti connessi cori l'attualità. Lo studente è indubbiamente facilitato (non esiste la tesi, per superare alcuni esami è sufficiente la frequenza ai corsi): il risultato finale è che le nozioni sono meno approfondite, ma il panorama di quello che impari è più chiaro.

Andrea: Tra università italiana e inglese, la differenza è abissale. La preparazione che danno i primi tre anni di università inglese (che si traducono nel 'first degree ' equiparato alla nostra laurea) è poco più di quella delle nostre scuole superiori. Per questo, per entrare nel mercato del lavoro, è giocoforza aumentare la preparazione frequentando, dopo il primo livello di studi ( 'first degree ') quello successivo (il 'master').

Gregory: il fatto è che nei sistemi anglosassoni, in Inghilterra ma anche negli Usa, il livello di preparazione è spostato in avanti. Perché, per avere professionalità, non serve solo lo studio, ma anche l'esperienza. Parcheggiare cinque, sei, sette anni all'Università, non ha senso. Ha senso invece avere una prima preparazione, iniziare a lavorare, e in seguito specializzarsi, approfondire, integrando così studio teorico ed esperienza pratica.

Silvia: Pur essendo di Trento, studio ad Innsbruck e ne sono pienamente soddisfatta. Soprattutto per il metodo di insegnamento, chiaramente finalizzato alla conoscenza pratica: nella mia facoltà, Legge, si studia la teoria giuridica, ma alla luce dei casi concreti.

Chiara: La mia esperienza è stata forse particolare: ho soggiornato in una città culturalmente straordinaria conte Parigi, ma frequentando una facoltà poverella. Nella mia università, Paris VII, le facoltà scientifiche erano molto prestigiose, ma la mia, Sociologia, era dequalificata, rispetto a Trento e rispetto alle altre facoltà francesi. Infatti nei pochi corsi, dai programmi ridotti, gli studenti erano quasi tutti Erasmus, mentre i francesi studiavano altrove.

Quest'esperienza pone in discussione l'organizzazione e le finalità di Erasmus (vedi pagina successiva). Comunque questo primo giro di opinioni apre un problema: l'autonomia concessa di recente alle varie università italiane porterà anche da noi ad una progressiva differenziazione tra facoltà impegnative e facoltà facili. E di conseguenza la stessa laurea avrà un peso diverso a seconda della sede dove sarà stata conseguita.

Gregory: In Francia esistono due sistemi universitari paralleli: uno tradizionale, le Universités, e uno d'eccellenza, leHautesÉcoles, che hanno costi molto alti (io all'École du Commerce pago sui 20 milioni all'anno), ma sono di livello decisamente superiore, articolate in un biennio generale, molto selettivo, e un triennio di specializzazione in cui lo studio è legato all'esperienza. Di qui anche i miei appunti all'Università di Trento: uno studio troppo teorico e la distanza tra studenti e docenti, con il prof che finita la lezione se ne va.

Professori supponenti quindi. E secondo te, sono preparati?

Gregory: A Trento ho deciso di seguire due corsi che mi interessavano; e ne sono rimasto soddisfatto.

Iker: Ritorniamo al professore italiano che fa la lezione e subito dopo se ne va: questa per me è la caratteristica più negativa; anche perché se poi per caso parla con te, ha sempre ragione lui: si crede un semidio. In questo c'è una responsabilità anche degli studenti, che mettono il docente su un piedistallo, tenendo con lui un atteggiamento remissivo, talora servile. In Spagna e 'è un rapporto più amichevole, ci si può dare del tu, gli orari di ricevimento sono sacri (qui sono una burletta), oltre le lezioni teoriche si fanno le esercitazioni, e quelle sono svolte su un livello più paritario. Oltre a questo, l'altra differenza che salta agli occhi, è il carico di lavoro: non e 'è dubbio, gli italiani studiano di più degli spagnoli.

Gòtz: ...anche dei tedeschi, per quello. O meglio, gli studenti italiani dedicano allo studio più tempo. Ma è uno studio più dottrinale. In Germania invece i primi tre anni di preparazione generale sono più facili, lo studio duro viene dopo, nei seguenti anni di specializzazione che portano agli esami di Stato. E ritengo giusto che sia così: perché nei primi anni il giovane, che va a vivere fuori casa, deve crescere, cominciare a lavorare, raggiungere l'autonomia; mentre se sei gravato da esami pesanti come in Italia, rimani in famiglia e non hai tempo e possibilità di formarti.

Iker: Non sono d'accordo su quest'ultimo punto: anche in Spagna gli studenti non lavorano, ma questo è un elemento di rafforzamento dei vincoli famigliarì, è un motivo di riconoscenza tra le generazioni. E quindi è grandemente positivo.

Su questo punto si accende un'animata discussione di cui riportiamo solo un flash conclusivo.

Johannes: Beh, mi sembra sia emersa la particolarità della visione mediterranea della società e della famiglia. Io preferisco diventare autonomo presto, a vent'anni piuttosto che a trenta; e credo sia giusto conoscere subito il lavoro e il valore del denaro. Vorrei aggiungere un elemento al discorso sull'Università in Germania: alcune facoltà, come Economia, hanno un 'impostazione diversa da quella, prevalente, di cui ha parlato Gòtz: da noi non c'è un triennio d'approccio, più facile, la selezione avviene subito.

Dagli studenti stranieri sono qui emerse solo i rilievi critici verso la nostra Università. E i lati positivi?

Gotz: Innanzitutto le facilitazioni per sostenere gli esami: il numero di appelli, la possibilità di ripeterli. E poi a Trento alcuni servizi, come la mensa...

Johannes: ...epoi come viene trattato lo studente Erasmus, sia in facoltà che fuori: siamo accolti, inseriti nella vita della città...

Andrea: ...il che è completamente diverso da quello che accade allo studente straniero in Inghilterra: lì, dopo un anno, era ancora difficile che ti salutassero. Ma nonostante questo, è stata un 'esperienza molto positiva; dovrebbe essere obbligatoria per tutti gli studenti europei.