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Le sacerdotesse del Museo

Il problema del Mart non è il precariato, ma la solitudine delle giovani manager. Almeno secondo l’Adige...

Il nuovo l’Adige di Pierangelo Giovanetti si è recentemente occupato dei problemi delle giovani sacerdotesse devote al laico tempio del dio Mart, sorridenti e maledettamente sole. Vogliamo anche noi commentare le cronache che ci parlano di queste dee fatate di nostra signora Arte: non si può rimanere insensibili al richiamo flautato dell’insostenibile frivolezza dell’essere.

Corso Bettini, Rovereto. Si fa notte presto, di questi tempi. Tempi bui, oscuri, decadenti, perfino barbaramente malinconici. Ma è proprio in tempi come questi che le poche luci che brillano lastricano la futura strada della gioia. Luci provenienti dal puro cuore di Mart dove, raccolte in ossequiosa fedeltà al tempio, si trovano le nostre giovani, luminose, rampanti, ardite lavoratrici, nobile esempio di temprata ed orgogliosa razza italica. Sono le manager del Mart, le dame di corte di nostra regina Gabriella Belli, le sirene che hanno affascinato nientemeno che Lina Sotis, nobile firma del Corsera, che ha dedicato loro un articolo in delicata salsa barocca sul Magazine del prestigioso quotidiano italiano. E che la nostra Silvia Bruno ha riportato anche sull’Adige.

“A Rovereto non si trovano uomini” recita venerdì 3 novembre il titolo di pagina 34. Il “problema” del gioiellino museale sembra consistere nella solitudine a cui sono costrette loro malgrado le donne in carriera di corso Bettini, audaci nell’abbandonare i propri luoghi natii ed i propri affetti per dedicarsi anima e corpo al lavoro al Mart, ma incappate, una volta giunte qui, in scapoli indigeni troppo giovani o in maturi autoctoni già accasati. Dio non voglia che nella città lagarina siano mancati improvvisamente gli adulti liberi e consenzienti!

Forse per questo il 4 novembre il quotidiano di Giovanetti ritorna sull’argomento offrendo al lettore tabelle scientificamente inoppugnabili che ci ricordano che i maschi roveretani celibi di età compresa tra i 30 e i 39 anni sono ben 558. Spazio anche alle orgogliose lagarine doc, che si divertono a dire tutto e il contrario di tutto, perfino che di uomini che siano uomini nemmeno l’ombra. Con buona pace delle ancelle di Mart e dei loro cuori addolorati.

Ma perché dare spazio alle lodi di Lina Sotis al Museo (“pulito, lindo, luminoso, denuncia subito con il suo candore la forte impronta femminile che c’è dietro”) e alla sua indagine sociologica sulle solitudini affettive delle donne in carriera? Gusto d’appendice dell’Adige? Può darsi.

Ma mi si consenta un azzardo. Facciamo un piccolo passo indietro. Il gigante Mart era stato protagonista, la settimana precedente, di una polemica sollevata dalla delegata sindacale della cooperativa Cla operante all’interno del museo, la quale denunciava l’assenza di spogliatoi a norma di legge e di bagni riservati ai lavoratori del front office, oltre che la presenza di uno spogliatoio adibito in modo inadeguato a sala mensa. Contemporaneamente la Cgil sollevava il grave problema della precarietà contrattuale di quasi la metà del personale del museo. Entrambe le questioni erano state affrontate da l’Adige, dando loro spazio all’interno della cronaca di Rovereto (come se il precariato fosse solo una questione locale del Mart…).

Tuttavia, dopo il 29 ottobre, la notizia è sparita anche dalla sezione locale, lasciando il suo posto, il 3 e il 4 novembre, alla forbita indagine di cronaca rosa.

Forse che con la raffinata e sorridente disquisizione estetico-sociologica di Lina Sotis si sia voluto ossequiosamente ripulire in fretta e furia il paffuto volto del gigante buono Mart, inzaccherato dall’untuosa onda precaria dei nostri anni, quella insomma che ti lascia col culo per terra senza tutele?

A pensar male si fa peccato, però…