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Brasile: il futuro di Lula

Bruna Peyrot

La campagna elettorale è per ora meno calda di quella del 2002, che alla stessa epoca vedeva le strade delle città principali invase dai cosiddetti "blocchi stradali", striscioni e militanti che inneggiano con gioia al proprio candidato. Ma in 4 anni molte cose sono passate, specie la lunga storia dell’anno scorso delle "mensalão", mensilità pagate dal PT (Partido dos trabalhadores) ad alleati e non della base parlamentare per far passare le proposte di legge del Governo Lula. E’ stata una crisi etica non da poco, che ha costretto Lula a destituire mezza direzione del partito, compreso il mitico ministro della Casa Civil, José Dirceu, responsabile della sua vittoria, ottenuta con un’abile tessitura di alleanze.

Il PT, il partito fondato da Lula e dai movimenti sociali trent’anni fa, simbolo del Brasile democratico, si è trovato e si trova in una difficile situazione, metà al governo e metà in cerca della sua anima. Come si comporteranno nell’attuale campagna elettorale il PT delle migliaia di militanti di base? Perché è la militanza a essersi trasformata in questi anni: un po’ come in tutti i partiti, non solo di sinistra, del mondo, ha dovuto confrontarsi con stili di vita non più assorbiti solo dal credo politico e la politica è diventata sempre più strumento tecnico più che tensione ideale verso un mondo nuovo che non si sa più immaginare.

Sulla stampa nazionale sono in molti a parlare di un’opinione pubblica scioccata dal fatto che il PT abbia usato i metodi che aveva denunciato nella gestione della cosa pubblica da chi lo aveva preceduto al governo, tanto che al 13° Incontro nazionale del PT (aprile 2006) una delle indicazioni agli iscritti è stata l’impegno a sostenere l’anima sana della militanza, perché la spoliticizzazione non cominci proprio al suo interno.

Lula ha bisogno del PT per essere eletto, ma questo lo identifica con un partito certo solido, ma provato, che non gli garantirà la maggioranza al Congresso. Non vi è dubbio che vincerà, forse anche al primo turno. Il problema è come governerà dopo.

Intanto si percepiscono alcuni segni di tendenza. Il primo è che Lula stesso afferma di voler più alleati nel governo, il che significa meno gente del PT e più gente del partito di coalizione PMDB, che in Brasile detiene la presenza più vasta di sindaci e governatori. La confermata presenza come suo vice di José Alencar (lo stesso del suo primo governo) gli assicura l’appoggio della "Chiesa Universale" alla quale Alencar è affiliato, ma ciò significa una mediazione su tematiche sociali non proprio di apertura (aborto, gay, droga). Per la prima volta nella storia, inoltre, il presidente della Fiesp (Federazione degli industriali di São Paulo), lo stesso che nel 1989 aveva dichiarato che se avesse vinto Lula ci sarebbe stato un esodo di massa degli impresari brasiliani, pur non schierandosi per ora apertamente a suo favore, ammette che l’economia è stabile e non si associa al candidato del PSDB Geraldo Alkmin rappresentante del centro destra più tradizionale. Se a questo si aggiunge che il settore bancario ha avuto molti guadagni durante il governo Lula per i nuovi prestiti della classe medio bassa aiutata dalla politica del microcredito, possiamo capire che il nuovo governo Lula proseguirà la gestione economica in modo moderato. Anzi, il fondatore della banca Itaù, una delle principali del Brasile, vede Lula e Alkmin entrambi conservatori.

In ogni caso, è probabile che Lula vincerà, perché la salute, l’educazione e anche molti stipendi sono migliorati. La "Bolsa Familía", pur con molti problemi di gestione, è stata data a quasi 9 milioni di persone, mentre a 2 è stata portata la luce elettrica. Il salario minimo è stato aumentato e il lavoro minorile messo sotto controllo, quindi la gente oggettivamente un poco meglio sta.

I più poveri sono con lui perché credono ancora nel suo mito. Ma forse il cittadino medio non capisce fino in fondo la difficoltà di governare con una coalizione che aveva eletto solo il 30% dei parlamentari. Molti pensano che il presidente abbia un potere infinito e non sono più disposti a firmare un assegno in bianco al secondo mandato. Sembrano chiedere ora a Lula di dimostrare ciò che dice di essere: non più, come nelle passate campagne, la forza dell’esperienza contrapposta al lustro intellettuale e una traiettoria di vita dalla parte dei poveri, ma la coerenza vera con tale percorso.