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Welfare: dopo il referendum

Mirko Carotta

In seguito all’articolo apparso sul vostro giornale a firma Andrea Grosselli (170.000 fra il Sì e il No), ritengo opportuno aggiungere qualche considerazione nell’auspicio che il confronto possa continuare.

Si è concluso il referendum tra lavoratori e pensionati sul Protocollo sul welfare del 23 luglio 2007 con un pronunciamento favorevole complessivo nell’intero Paese dell’82%, con il No al 53% dei lavoratori metalmeccanici, con il 75% di Sì in Trentino all’interno del quale 51% nel pubblico impiego, 61% nei metalmeccanici, 65% commercio, 83% nei bancari, 91% sempre di Sì nei pensionati.

Si è trattato di una consultazione importante, dove un lavoratore/pensionato/cittadino poteva votare segretamente dichiarandosi favorevole o contrario dopo un’assemblea dove però ufficialmente potevano esser esposte le ragioni del Sì, laddove le assemblee sono state fatte in seggi territoriali appositamente allestiti.

Ad ognuno la valutazione ritenuta opportuna. Questo solo per ricordare che dove invece nelle assemblee le ragioni del Sì o del No sono state esposte, le percentuali sono risultate del tutto diverse: sono prevalsi a volte i favorevoli, a volte i contrari (nelle grandi fabbriche) e a volte c’è stata una equivalenza di espressioni.

Nell’aridità dei numeri rimarrà nella "storia" comunque un pronunciamento fortemente prevalente sui favorevoli.

Ma allora perché oggi c’è un gran dibattere sul Protocollo, sugli aspetti negativi, sulle difficoltà a tradurre in legge in un collegato alla finanziaria il Protocollo?

E’ evidente che le sofferenze, o meglio le "riserve" per come definite da Epifani nella lettera inviata a Prodi con la quale dichiarava la sottoscrizione del Protocollo appunto con riserve, che è bene ricordare consistevano nelle insufficienti scelte sulla lotta alla precarietà, la defiscalizzazione degli straordinari e la previdenza dei lavoratori agricoli, hanno pesato e pesano ancora.

Su queste e su altre (scalone non abolito, coefficienti che abbassano i valori economici delle pensioni contributive) c’è stato un esplicitarsi del dissenso anche in termini di voti.

Bene mettere a fuoco che il programma dell’Unione esplicita la lotta alla precarietà, dichiara il superamento dello scalone e anche su questi elementi dopo 5 anni di berlusconismo si son vinte le elezioni. Ma di più.

CGIL CISL UIL si presentarono con una piattaforma che recitava di "eliminare le distorsioni" della legge Maroni, chiaramente esplicitava che "CGIL CISL UIL dicono no alla modifica dei coefficienti di trasformazione delle pensioni, in quanto tale modifica si configurerebbe come socialmente insostenibile", che bisognava "portare a compimento la normativa relativa ai lavori usuranti" e di affermare la "centralità della lotta alla precarietà del lavoro".

Su queste ragioni la sinistra sindacale ha manifestato a Roma il 20 ottobre chiedendo che il Parlamento dia corso attraverso una legge alle modifiche migliorative apportate dal Governo a partire da quelle relative ai lavoratori precari. Non è un caso che sia la Confindustria a scagliarsi contro.

Nell’interesse del mondo che le organizzazioni sindacali rappresentano, e cioè quello del lavoro dipendente, crediamo che il Protocollo sia opportuno tradurlo in legge in maniera più favorevole di come è stato sottoscritto attraverso una firma sulla quale ha pesato anche il ricatto sottoposto alle organizzazioni sindacali, in primis la CGIL, di divenire in presenza di un mancato accordo il soggetto responsabile della caduta del governo.

Mirko Carotta, Coordinatore LavoroSocietà, Area programmatica CGIL del Trentino