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QT n. 2, febbraio 2014 L’editoriale

Rossi si dà una mossa

L’assessore Carlo Daldoss ha sganciato una piccola bomba: una riforma vera delle Comunità di Valle. E proprio perché si configura come una riforma, e non un maquillage, cambia equilibri e piccoli poteri che si consolidavano; e quindi trova resistenze.

In che consiste la proposta di Daldoss? Sfrondando dai tecnicismi, possiamo dire che si ripudiano i tre livelli istituzionali (Comuni, Comunità, Provincia) e si torna a due, Comuni e Provincia. Il terzo livello, denominato prima Comprensori e poi, rafforzato dall’elezione diretta, Comunità di Valle, non ha mai funzionato, perché tre livelli sono troppi, destinati a pestarsi i piedi; il che significa conflitti di competenze e rimpalli, più burocrazia, e lentezza decisionale. Forse il progetto Comunità aveva un retropensiero non ignobile: superare la frammentazione dei 217 Comuni, assumendone le competenze e componendole in un quadro razionale. Ma questo progetto, o furbata, finiva con l’approdare ai logici due livelli e i Comuni, mangiata la foglia, si sono messi di traverso, restii a cedere competenze, così come lo è stata la Pat. Risultato: dei tre livelli, sono state proprio le Comunità ad annaspare. E quindi, oggi che in tutta Italia si spinge verso una semplificazione delle istituzioni, che mette in discussione le Province, non poteva certo la Provincia di Trento, peraltro su altri aspetti contestata, pretendere di mantenere una così ridondante articolazione istituzionale.

Giorni fa, a una cena tra amici, parlando della ventilata abolizione delle circoscrizioni, un consigliere comunale venne a dire: “Più rappresentanti ci sono, meglio è”; gli altri, che con la politica nulla hanno a spartire, replicavano con una risata e amichevolmente gli battevano le mani sulle spalle: lascia perdere, è meglio.

Il progetto di Daldoss non torna però ai 217 Comuni. Prevede un percorso per incentivare le unioni prima e le fusioni poi dei Comuni. Torna in pratica al progetto riformatore del ‘97 dell’assessore Bondi, affossato sia dalla crisi della Giunta, sia dalla rivolta dei sindaci capitanati da Dellai. Oggi, visto dove è approdato il disegno di Dellai, è opportuno che si riprenda quel progetto, che i tempi hanno dimostrato più sobrio e razionale.

Proprio per questo la riforma di Daldoss ha trovato degli oppositori. Nell’Upt, il partito di Dellai. Per un motivo identitario, le Comunità erano una riforma voluta da Dellai, e varata dall’assessore Gilmozzi, oggi uomo di punta dell’Upt in Giunta; e affossare le Comunità significa delegittimarne il padre e il padrino. Ma c’è anche un motivo sociale: l’Upt, tramite l’alleanza tra Dellai e il boss giudicariese nonché consigliere provinciale Amistadi, aveva promosso una dilatazione della politica. Più posti, più soldi, consiglieri circoscrizionali non più volontari ma remunerati e naturalmente il nuovo apparato delle Comunità di Valle. Dietro la costruzione barocca che parte dalle circoscrizioni e arriva alla Regione, c’è un ceto di consiglieri, presidenti, assistenti, consulenti (ognuna delle Comunità redige un suo Piano Urbanistico, con tanto di studi che partono dalla realtà nazionale, a quella provinciale, a quella di vallata...) che di semplificazioni non vogliono sentir parlare, e che hanno nel dellaismo e nell’Upt il proprio punto di riferimento.

Poi c’è il Pd. Che storicamente aveva contrastato i tre livelli, e lavorato, soprattutto con Bondi, per promuovere le aggregazioni tra Comuni. Ma l’abbraccio subalterno con Dellai, e una confusa azione attraverso gli assessori Pinter e Bressanini avevano rilegittimato il terzo livello. E infine l’ultima posizione, “riformare le Comunità”, che vuol dire tutto e niente. Di fronte al protagonismo di Daldoss e del Patt il Pd, disabituato a discutere di come si governa (vedi “Il concorso di bellezza”) si trincera dietro un’opposizione di metodo (“Se ne doveva discutere collegialmente”) o peggio, a supporto del ceto politico incistatosi nelle Comunità. Di fronte a una vera riforma, non sa che fare, e per non sbagliare, frena.

Ma anche su un altro tema istituzionale si registra uno schema analogo. Rossi sta tessendo un proficuo rapporto col nuovo presidente bolzanino Arno Kompatscher che, abbandonate le velleità isolazioniste e iper-autonomiste di Durnwalder, ha capito che per difendere l’Autonomia bolzanina è meglio fare massa critica con Trento. Di fronte a questa novità, il Pd trentino, che fa? Attizza una rissa per un posto da assessore regionale, che in realtà è uno strapuntino dalle modeste prebende e nullo potere.

Insomma anche qui è il Patt di Rossi che prende in mano l’iniziativa riformatrice, e il Pd che si perde nelle miserie.

Probabilmente è presto per tirare conclusioni. Registriamo comunque con favore come Rossi, che aveva iniziato con vistose incertezze, e che comunque è tuttora succube di passati errori (a iniziare dal Not e dal suo project financing) stia dando segnali di voler superare alcuni degli aspetti più discutibili del dellaismo. Il Pd dovrà stare attento: sembra non aver capito che la sconfitta alle primarie è stata frutto della sua afasia politica. Se non inverte cultura e comportamenti, e torna ad essere forza riformatrice, è facile prevedere altre sconfitte.