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QT n. 3, marzo 2017 Servizi

Il pestaggio nella cava

Da mesi Hu Xupai cercava di recuperare i soldi che il datore di lavoro gli doveva; aveva lavorato per la stessa ditta anche nel 2013, quest'anno però le cose si erano messe male. Mesi di lavoro nero, una promessa di assunzione che a quanto gli è stato fatto capire non è stata possibile, arretrati salariali per circa 12.000 euro, calcolati su lavoro a cottimo puro come operaio cubettista. Alcuni acconti nell'autunno, poi più nulla.

Finalmente il 2 dicembre il datore di lavoro, che lui conosce come Padu, gli dà appuntamento a Pergine alle 10 del mattino. Padu però non si presenta all'appuntamento e, chiamato al cellulare, rinvia l'incontro a mezzogiorno. Ancora una volta niente, l'appuntamento è rinviato al pomeriggio, ma Padu non risponde più al cellulare per dire a che ora e dove. L'operaio ha bisogno dei suoi soldi e, sapendo che il titolare risiede a Pergine, lo cerca girando per la cittadina. Lo incontra finalmente verso le 14 ma non riceve i suoi soldi: Padu lo invita a presentarsi sul cantiere a Lases.

Qui, nella zona Dossi-Grotta, c'è un'area artigianale con cantieri di varie ditte, tra le quali anche la Balkan Porfidi e Costruzioni, che prima di trasferirsi qui operava a Camparta nella cava della Odorizzi Porfidi amministrata dall'ex consigliere provinciale Tiziano Odorizzi. Erano tre le ditte artigiane che operavano a Camparta: la Balkan con titolare macedone, una con titolare marocchino ed una con titolare cinese. Alle loro dipendenze avevano una decina di operai ciascuna, tutti extracomunitari. L'operaio cinese si avvia così a piedi verso Lases; è una giornata grigia e verso sera comincia a piovigginare. Giunge al cantiere che è ormai buio, sono passate da poco le 18, ma non trova nessuno; attende un po' e poi si avvicina alle postazioni di lavoro, ignorando di essere probabilmente caduto in una trappola, quindi colmo di rabbia si avvicina a una macchina cubettatrice e con una pinza che aveva in tasca taglia il filo elettrico di alimentazione.

A questo punto scatta l'agguato, anche se gli aggressori affermano di essere giunti in cantiere allertati da una fototrappola installata in seguito ad episodi di danneggiamento. Compaiono infatti due macedoni da lui conosciuti come Arafat e Cenan, il primo punta verso di lui una torcia e una pistola a tamburo e subito dopo inizia una selvaggia aggressione. Calci, pugni, forse un bastone, è difficile capire per l'operaio con cosa lo colpiscono, sicuramente la torcia e poi un morso su una gamba da parte di Cenan, quindi sente una punta metallica trafiggergli il polpaccio, poi più niente, uno svenimento quasi provvidenziale a togliergli per un momento il dolore.

Si badi che non stiamo leggendo la pagina di un giallo, ma le ricostruzioni dei fatti, sia pure secondo le due versioni, contenute nelle motivazioni della sentenza di condanna di Arafat Mustafa, Selman Hasani e Bardul Durmishi, la cui versione, ritenuta inattendibile dal giudice, sostiene che il cinese si è scagliato contro di loro “brandendo una sega” e che le lesioni riportate dallo stesso siano state causate da uno scivolone in seguito al quale cade “rovinosamente al suolo”. Non solo: secondo loro il cinese, una volta bloccato, “iniziava a sbattere da solo il volto per terra” e proprio per evitare gesti autolesionistici sono stati costretti a legargli le mani. Di fatto il povero Xupai viene risvegliato con una secchiata d'acqua e si ritrova legato all'interno del container sul piazzale di lavorazione. Le sue condizioni non gli consentono una cognizione esatta del tempo; passano pochi minuti ed entra Padu, accompagnato dal genero. Padu è Bardul Durmishi, socio assieme alla moglie, alla figlia e ad Hasani, della Balkan, mentre Mustafa è il marito della titolare della Mustafa Stone Project, che lavora in condominio sotto lo stesso capannone della Balkan; questo è il risultato di 20 anni di esternalizzazioni.

Padu si avvicina e sferra una pedata in faccia al cinese rompendogli gli incisivi superiori; non contento, inizia a pestarlo con pugni e sberle sul volto già tumefatto, finché il cinese perde di nuovo i sensi. Un'altra secchiata d'acqua lo risveglia e poco dopo giungono sul posto due carabinieri che, pur descrivendo la persona “visibilmente bagnata, seduta su una sedia, che presentava una vistosa ecchimosi ad uno zigomo, il labbro tagliato e con le mani legate con una corda ma ancora cosciente”, scrive il giudice nella sentenza, “lo trasferivano - con dubbia scelta di opportunità, viste le condizioni del ferito - con la loro auto presso la Stazione CC di Albiano”.

Perché i carabinieri non chiamano l'ambulanza in cantiere? Com'è possibile che non si siano resi conto delle condizioni del ferito, che giungerà al pronto soccorso solo verso le 22, dopo l'intervento del medico rianimatore presso la caserma di Albiano? Al Santa Chiara gli verranno diagnosticate “l'avulsione degli incisivi superiori con traumi in più distretti corporei” costituiti da: “vasto ematoma al volto coinvolgente l'orbita e lo zigomo sx, ematoma al fianco ed emibacino dx, omero distale-gomito dx deformati, ferita lacera in sede tibiale media gamba destra”.

Fatto sta che i Carabinieri, “allertati dal loro comandante alle 20 e 29, sono giunti nel piazzale alle 20 e 40 circa” e quindi l'operaio cinese ha subito una “privazione di libertà” che è durata “almeno un'ora e mezza”, il che giustifica a detta del giudice l'accusa di sequestro di persona.

Rimangono però alcuni interrogativi per quanto riguarda i Carabinieri di Albiano, il cui comandante ha dichiarato di essere stato avvisato di quanto stava succedendo da una telefonata, verso le 20, da parte di Franco Bertuzzi, titolare assieme al fratello Rosario (all'epoca dei fatti vicesindaco di Albiano e noto imprenditore del porfido) della Avi e Fontana, ditta concessionaria operante a Lona Lases. Come evidenziato anche da Domenico Sartori in uno dei suoi approfondimenti in merito alla vicenda sul quotidiano L'Adige, Bertuzzi ha dichiarato tra l'altro di aver ricevuto in proposito una telefonata da Mustafa, ma dai tabulati risultano vari sms ed alcuni contatti telefonici in cui è sempre Bertuzzi che chiama Arafat.

Perché? Come mai, infine, il comandante invia i due carabinieri solo mezz'ora dopo essere stato informato da Bertuzzi e non l'appuntato che risultava di turno in caserma quel giorno? Tutte domande che attendono ancora una risposta.