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QT n. 4, aprile 2018 L’editoriale

Perché?

Questa a nostro avviso è la grande, ansiosa domanda espressa da queste elezioni

Questa a nostro avviso è la grande, ansiosa domanda espressa da queste elezioni. Perché non posso più avere un lavoro sicuro? Perché non possiamo più permetterci un vero stato sociale? Perché i giovani a 25 anni, dopo un lungo ciclo di formazione, devono lavorare in un call center? E perché non potranno avere una pensione decente?

Le prediche dei soloni del liberismo sono diventate realtà: più lavoro precario, meno stato sociale. Il tutto presentato come “riforme”, che però peggiorano le condizioni di vita. Ormai è diventato senso comune: i figli vivranno peggio dei padri. Che è l’esatto contrario del paradigma che ha spinto in avanti la società in questi decenni: avanti, verso un domani un po’ migliore, per tutti. Invece no, contrordine: non potete più permettervi questo, non potete più permettervi quest’altro; e sono cose basilari: il lavoro, la salute, il futuro dei figli. E allora, appunto, la domanda: perché?

C’è stata una guerra? Un cataclisma ecologico? Un’apocalisse sanitaria? Niente di tutto questo. Anzi, la società produce sempre più beni, sempre più ricchezza. Che però si concentra in poche mani, in una crescita continua di ingiustizie. Ormai non si è più alla deprecata (dai liberisti) “invidia verso i ricchi”, ma alla rabbia per essere diventati poveri o al timore di diventarlo, e senza alcun demerito, solo perché il sistema ormai gira così.

E allora la risposta è chiara, dura: è il sistema che non va. A me non va più bene. Non ci sto più.

E così, logicamente vincono i partiti “anti-sistema”. Quelli che venivano sbeffeggiati proprio perché rifiutavano le compatibilità date, perché volevano rovesciare quel tavolo a cui io vengo sistematicamente spennato.

Allora appare chiaro l’errore macroscopico, colossale, di chi – come Matteo Renzi – ha continuato a proporre le storie di (pochi) vincenti, e a deridere i (molti) perdenti. Se io non ce la faccio a inventarmi una start up – perché non ho gli appoggi, le conoscenze, le capacità, la fortuna – perché dovrei rassegnarmi a una vita da miserabile? Anche ammesso, e non concesso, che nella giostra del successo siano sempre i migliori a venire premiati, perché invece i modesti devono venire schiacciati? Non ce la fai ad essere una partita Iva vincente? Avrai una vita da precario, una copertura sanitaria via via peggiore, una pensione ridicola. Non vivi in un quartiere centrale? Ti togliamo il servizio postale. Non puoi permetterti l’Alta Velocità? Avrai treni luridi, insicuri, fuori orario.

La sinistra era nata proprio per rappresentare gli interessi e la dignità del lato sinistro, quello debole. Anche lui ha i suoi diritti, anche lui è essenziale. Non solo i forti, i belli, gli intelligenti, i ricchi. Ma a rappresentare i poveri, gli umili, oggi la sinistra si vergogna. E questi non la votano più.

Certo, le alternative sono grezze, e anche grevi. D’altronde, cambiare un sistema nazionale e sovranazionale consolidato attorno a principi, ideologie ed istituzioni escludenti non può essere cosa facile.

Ma questo, in fondo, è un altro, vastissimo, tema (intorno a cui peraltro, non sta certo discutendo la politica, e meno che mai le consunte crisalidi dei partiti di sinistra).

Per intanto il primo, basilare passo dovrebbe essere non meravigliarsi se, di fronte a un establishment che di fatto persegue il peggioramento della vita delle persone, queste dicono di no.