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QT n. 9, settembre 2018 L’editoriale

Quello che spaventa

Tutti gli indicatori ci dicono che il Trentino va a gonfie vele, come mai manca la fiducia?

Non c’è giorno in cui qualche istituto di statistica non ci fornisca qualche dato confortante, almeno per il Trentino: più Pil, più export, più turisti; meno delitti, meno disoccupati, meno (dato che sembra molto importante) immigrati. Insomma, dovremmo essere contenti. Fiduciosi. Ugo Rossi “ha fatto bene”, come dicono i politici del centro-sinistra. E anche – perché no? – Matteo Renzi, pur con quel suo carattere da sbruffone.

Invece no. Quel che manca è proprio la fiducia. Come mai?

A nostro avviso si incrociano due motivi. Il primo è il timore per il futuro. In questi anni il liberismo, la globalizzazione, hanno trasferito le risorse dai semplici cittadini ai ricchi, dal lavoro alla finanza, dall’Occidente ai paesi emergenti. Ottima cosa quest’ultima (anche perché un mondo disuguale non fa bene a nessuno), ma intanto risoltasi in un’ulteriore perdita di reddito e sicurezze per le classi medio-basse.

A questo dobbiamo aggiungere l’inattendibilità delle prospettive di lavoro (per cui molti giovani dopo anni di studi si trovano super specializzati in competenze nel frattempo superate), le continue riduzioni del welfare, ventilate o attuate, gli aumenti nelle differenze sociali; e per converso una cultura del consumismo ormai del tutto egemone, per cui sono i capi firmati e i gadget elettronici a stabilire il tuo status, anzi la tua identità. L’italiano, il trentino, forse non sta peggio; ma di sicuro si vive peggio.

C’è poi l’insicurezza. Quella strombazzata, dovuta alla microcriminalità straniera (anche se si tratta di una mera sostituzione di profili sociali: al posto del droghino pusher abbiamo lo spacciatore tunisino, probabilmente molto più razionale e quindi molto meno pericoloso). Ma anche quella più generale, globale: quale è oggi, quale sarà domani il posto dell’Italia, nell’Europa arrancante e comunque percepita come matrigna, nel mondo di Trump, di Putin, di Xi Jinping? Quale il posto del Trentino in un’Italia che ci rinfaccia i tanti soldi facili del recente passato?

Questi interrogativi su una navigazione incerta ed oggettivamente perigliosa sono resi più acuti dalla scarsa fiducia nei timonieri. Abbiamo avuto massime autorità colluse con la mafia, corruttrici di giudici o più semplicemente piacioni, o bulli di periferia. Oppure dedite soprattutto a farsi la guerra l’un l’altro. In Trentino le vicende di questi mesi (ne scriviamo da pagina 8 in poi) testimoniano di un personale politico precipitato a livelli desolanti. E così i giovani capaci non si dedicano certo alla politica; anche perché ne verrebbero subito estromessi dai caporioni timorosi di essere scalzati. Ma per converso gli stessi giovani disprezzano un ceto politico siffatto. E ne temono l’evidente incapacità nell’affrontare i problemi del paese.

È un gatto che si morde la coda.

Di fronte ai grandi epocali problemi di cui parlavamo, occorrerebbe un impetuoso rinnovamento nelle idee e negli uomini. E questo in effetti, a livello nazionale è stato il senso del voto del 4 marzo. Risoltosi male, a nostro avviso, con la fiducia a uomini e partiti peggiori dei precedenti, che aggraveranno i problemi e ne creeranno di nuovi.

Bisognerà cambiare ancora (e si spera, non per tornare indietro, alle precedenti burocrazie). E occorrerà cambiare pure in Trentino, anche se (o forse proprio perché) le nomenklature si oppongono e si opporranno.