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QT n. 11, novembre 2018 Servizi

Casse Rurali: dove finirà la cooperazione?

La riforma che stravolge: Cda e soci non conteranno più niente.

Abbiamo sempre seguito con grande interesse, ed anche simpatia, l’aggregarsi attorno alla trentina Cassa Centrale Banca di uno dei gruppi nazionali di credito cooperativo. “Casse Rurali, Trento batte Roma: è mai possibile?” era il nostro titolo del gennaio dello scorso anno, quando, invece di andare a un gruppo unico romano, stava venendo avanti la prospettiva di un secondo gruppo, nazionale anch’esso, ma con testa a Trento. Cosa che inorgogliva, non tanto per motivi campanilistici, ma perchè la primazia trentina appariva basata su un’efficienza manageriale e industriale riconosciuta in tutto il paese.

Il servizio poi del luglio scorso - “Gruppo Cassa Centrale: senza padrini si decolla” – sottolineava un’ulteriore particolarità della proposta trentina, l’assenza di sponsor politici (come è noto dannosissimi in economia e particolarmente nel settore bancario come la storia recente a iosa dimostra), a sottolineare una partita tutta giocata sul terreno dell’efficienza economica.

C’era anche un ulteriore aspetto che sembrava dover privilegiare la scelta trentina: la mutualità. Teniamo presente che non stiamo parlando di imprese capitalistiche, ma di cooperative. Nella situazione attuale (ormai agli sgoccioli), le Casse Rurali sono gestite da un Consiglio di amministrazione eletto dai soci della cooperativa. E poi le varie Rurali si appoggiano, per i servizi complessi, come il sistema informatico o i prodotti finanziari, a Cassa Centrale, che è una cooperativa anch’essa, di cui le rurali sono socie. Come si vede, il socio è il centro del sistema: in teoria, poi, le cose sono più complesse e vischiose, ma anche in pratica si tratta sempre di un potere diffuso.

Con la riforma che ha obbligato le Banche di credito cooperativo (Bcc) a convergere in una o più capogruppo, si è attuata una drastica centralizzazione; con concreti rischi di mettere in soffitta i principi cooperativi. Per questo l’ipotesi della trentina Cassa Centrale, contrapposta alla romana Iccrea, sembrava più affidabile: volete mettere la cultura del decentramento del Trentino, periferico e che vive di Autonomia, con la cultura centralistica di Roma, imperiale e burocratica?

Invece, alla prova dei fatti, la tentazione del potere centralizzato sembra aver sedotto anche i manager di via Segantini.

I rapporti tra capogruppo e singole Bcc sono infatti stabiliti da un “patto di coesione” che ogni Bcc deve approvare per poter entrare nel gruppo nazionale. DEVE approvare, sottolineiamo: la legge ora stabilisce che nessuna banca cooperativa può operare da sola, l’adesione a uno dei tre gruppi (oltre a Ccb e Iccrea c’è anche quello delle Raffeisen altoatesine) è obbligatoria.

Oltre al patto di coesione, la capogruppo stabilisce anche lo Statuto delle Bcc. Con alcuni vincoli molto stringenti. Anzi, con una posizione della capogruppo assolutamente dominante.

Infatti, se le Bcc sono gestite ancora da un Consiglio di amministrazione eletto dai soci, la capogruppo “ha il diritto di opporsi alla nomina ovvero di nominare direttamente i componenti del Consiglio di amministrazione della società, sino alla maggioranza degli stessi, anche tra non soci”; può inoltre “revocare uno o più componenti del cda già nominati”. Tutto questo nel caso in cui gli amministratori “siano ritenuti dalla capogruppo stessa, anche alternativamente (cioè, basta una di queste condizioni, n.d.r.) inidonei rispetto all’esigenza di assicurare la sana e prudente gestione della società”, ma anche “inadeguati rispetto alle esigenze di unitarietà della governance del gruppo bancario cooperativo”.

Insomma, gli amministratori delle Casse devono essere non solo bravi, capaci e prudenti (e a decidere è la capogruppo), ma anche perfettamente in linea con il pensiero di via Segantini. “Questo non è un patto di coesione, è un patto di dominio” si è- giustamente - commentato.

In questo contesto, dove è finita la cooperazione? Dove è finito il socio? Perché mai un cittadino dovrebbe votare per delle persone che devono essere gradite in altri luoghi, altrimenti vengono cacciate? Le Casse Rurali hanno ancora senso? Senza neanche la parvenza di autonomia, non sono diventate meri sportelli di un gruppo nazionale? A questo punto che differenza c’è fra una Banca di credito cooperativo e una filiale di Unicredit?

Abbiamo cercato di rivolgere queste domande ai presidenti di alcune Casse rurali. Nessuna risposta. Il che già la dice lunga.

Marina Mattarei

Abbiamo allora investito del tema la presidente della Federazione Cooperative, Marina Mattarei.

Siamo reduci dalla prima delle assemblee per l’approvazione dello Statuto, quella della Rurale di Rovereto. Quello Statuto, come ha detto nella sua introduzione il presidente Geremia Gios, è una scelta obbligata...”.

Per la CR di Rovereto senz’altro. Aveva un piede nella fossa, sono stati i soldi del sistema a salvarla, non può avere velleità di autonomia. Piuttosto, è un caso che la prima assemblea sia quella di Rovereto?

Forse non è un caso. Comunque la possibilità dell’intervento della Capogruppo dipende dallo stato di salute delle Rurali; secondo il sistema risk based, se sono solide nessuno ha niente da ridire, se sono in crisi è chiaro che, dal momento che è il sistema che dovrà ripianare il dissesto, è opportuno che si intervenga sulla governance, anche per prevenire i danni invece che per ripararli”.

Questo è il senso del testo della legge nazionale. Poi gli statuti di cui si chiede ora l’accettazione, sono molto più stringenti, anche per le Bcc in buona salute.

Questa è una lettura che ci può stare. Sta di fatto che questi statuti hanno avuto l’avallo della Bce e della Banca d’Italia”.

Non sono organi che hanno la cooperazione come obiettivo.

“A Firenze c’è stata il convegno organizzato dall’Associazione Articolo 2, cui ho presenziato, che poneva sul piatto questi temi. Alberto Bagnai (presidente della Commissione Affari e Finanze del Senato, una delle voci economiche di riferimento della Lega, n.d.r.) l’ha detto chiaramente. Era da alcuni anni che occorreva una riforma tendente al sostegno e controllo reciproci, ma il mondo del credito cooperativo è rimasto immobile, e ora di fronte all’attuale riforma, la maggioranza degli istituti concorda. A questo punto le sollevazioni sulla linea d’arrivo non possono essere efficaci. E non credo che abbia fatto cose positive chi ha lavorato per far saltare l’impianto. Altra cosa invece é cercare delle migliorie; si lavorerà per questo, anche la Federazione trentina, pur apprezzando il ruolo che ha saputo prendersi Trento”.

Forse ha giocato un ruolo il percorso con cui si è arrivati alla riforma. Partita dall’esigenza di mettere in sicurezza la tenuta del sistema bancario, si sono messe nelle stesso calderone Banche Popolari e di Credito Cooperativo. Ma mentre le prime avevano esempi eclatanti di malagestione (due esempi su tutti: Vicenza e Banca Etruria), le seconde non hanno vissuto più problemi del resto del mondo bancario italiano. In Trentino Folgaria e Rovereto erano nei guai, ma il sistema è riuscito a rimediare.

Il movimento cooperativo è riuscito a definire una distinzione dalle Popolari, ma non ha saputo proporre una sua riforma, comunque indispensabile. Ha subito quindi quella governativa (erano i tempi di Renzi), improntata alla cultura oggi dominante, per cui grande è bello, ed è inevitabile.

Che ci fosse l’esigenza di riformare il credito cooperativo è indubbio, ma questo non era l’unico modello possibile – ci dice Rosaria Sarpedone della Fisac Cgil - Altri ce ne sono, in Germania, Austria, Spagna, con più aderenza al territorio e autonomia degli istituti. Invece qui il legislatore è andato per un’altra strada, ma d’altra parte nel movimento non c’è stato grande dibattito. Si è riusciti ad elevare la percentuale del capitale sociale della capogruppo in mano alle Bcc dal 51 al 60% (il resto è dei privati), si sono introdotti dei meccanismi di consultazione però non vincolanti, ma l’impianto è rimasto, il treno ormai è partito”.

Quale sarà l’identità di una Cassa dentro il gruppo?

L’identità non sarà più della Bcc ma della capogruppo: loghi, politiche di comunicazione, approccio ai clienti saranno quelli della capogruppo, o di concerto con la capogruppo per le Casse più virtuose. Cambierà il loro dna”.