La violenza e la speranza
“Le nuvole di Amleto”
Arrivato a Pergine il 19 ottobre dopo aver calcato i più importanti teatri italiani, “Le nuvole di Amleto”, l'ultimo lavoro dell'Odin Teatret vuole celebrare i 60 anni di storia della premiata carriera del suo creatore Eugenio Barba, tra i padri del teatro sperimentale mondiale. E fa un certo effetto che sia proprio lui (89enne che dimostra 20 anni in meno) ad accompagnare gli spettatori ai propri posti, in un teatro trasformato, con il pubblico diviso in due ali ai lati del palco e al centro la rappresentazione in 21 quadri ispirata alla tragedia di Shakespeare.
Anche un mito dell'avanguardia come Eugenio Barba si confronta dunque con uno dei classici più rappresentati, declinando a modo suo il dolore per la perdita del padre, il desiderio di vendetta del re di Danimarca che chiede ad Amleto di uccidere il fratello Claudio e la madre, di cui è diventato amante.
Scrive Barba che all'epoca i nomi di Hamnet e Hamlet erano equivalenti e che nello scrivere la tragedia nel 1601 Shakespeare sovrapponeva alla figura del protagonista suo figlio Hamnet morto a undici anni e rifletteva sull'eredità che i genitori lasciano ai figli. Un dolore che attraversa tutto lo spettacolo, nel quale gli attori recitano in diverse lingue, suonano, danzano, ma soprattutto urlano, gemono, singhiozzano, rappresentando le note sequenze della vicenda shakespeariana con una fisicità potente e disturbante.

Ecco che all'inizio al centro della scena vediamo la culla con la sagoma di un bambino inanimato; appare poi il fantasma del re assassinato (Else Marie Laukvik) che chiede vendetta scosso da tremendi strali. È poi la volta di Amleto e Ofelia che si muovono leggeri al ritmo dei loro violini, mentre lo zio Claudio e la madre Gertrude (Rina e Ulrik Skeel) si lasciano andare ad una sfrenata lussuria.
Lega i vari quadri, la figura del drammaturgo, una convincente Julia Varley, con il viso dipinto di azzurro come il colore del suo mantello riccamente ricamato, che narra i passaggi della tragedia e che regge un libro-mondo, con le pagine interne a specchio, mostrato al pubblico che vi si riflette. Un invito a riconoscerci noi stessi, allora come ora in preda alla meschinità, alla vendetta, alla violenza?
Amleto (Jakob Nielsen) si finge pazzo e medita vendetta, mentre Ofelia (Antonia Cloaza), schiacciata dal peso del suo amore infranto, impazzisce davvero, ma è la voce di Shakespeare a dare un senso a quello che in apparenza non ne ha: “Amleto è pazzo! - afferma - No, il mondo è pazzo!” e sui due schermi ai lati della scena buia iniziano a scorrere immagini di bambini guerrieri, che imbracciano kalashnikov, a mani alzate nel ghetto di Varsavia.
La violenza - è il messaggio di Eugenio Barba - si ripete nel tempo, alimentata dal sentimento di odio che i padri tramandano ai figli.
“Qual è l'eredità che abbiamo ricevuto dai nostri padri e che trasmetteremo ai nostri figli? - si chiede in alcune note a margine il drammaturgo – Cosa succederebbe ad Amleto se, come Antigone, affermasse: non sono nato per condividere l'odio, ma l'amore?”. Così, nonostante Amleto sia stato esortato dal padre attraverso il passaggio della corona e del coltello a vendicarlo, affronta in una lotta corpo a corpo lo zio Claudio, ma alla fine rinuncia alla vendetta.
L'ultimo quadro della rappresentazione vede le due coppie: Amleto che raggiunge Ofelia nello spazio circoscritto da un cordone circolare, in una sorta di alone sacro, mentre dall'altro lato del palco giacciono immobili anche Claudio e Gertrude, raggelati dall'epilogo di una vicenda che vede tutti sconfitti. Infine Shakespeare/Varley stringe tra le braccia il suo bambino, mentre sugli schermi appaiono le nuvole azzurre dentro agli occhi di una scultura classica.
Una concessione al colore dopo il buio, dopo tanto dolore raggrumato nei corpi statici, anch'essi statue di un passato che lascia spazio alla speranza.