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QT n. 8, 18 aprile 1998 Servizi

L’inizio della fine della crisi politica trentina.

Sbarramento del 5%: ancora lontanissimi da quanto è necessario; ma adesso si può essere ottimisti.

L'impressione immediata è che il peggio sia passato. L'approvazione della miniriforma elettorale, con l'introduzione di uno sbarramento che lascerà fuori dal Consiglio provinciale i partiti che hanno meno del 5%, è un cambiamento piccolissimo, quasi impercettibile. Le alleanze di governo continueranno a formarsi dopo le elezioni e a prescindere dal loro risultato. Gli elettori trentini continueranno ad essere cittadini di serie B, non potendo godere del diritto di scegliersi chi li governa, come invece fanno sotto Borghetto e in tutte le democrazie moderne. A parlare di democrazia dell'alternanza, che è realtà in tutta Europa, in tutti i paesi occidentali e in tutto il resto d'Italia, si viene ancora derisi, presi per pazzi visionali.

Eppure, l'approvazione della soglia del 5% rappresenta un fatto simbolico importante. E' l'inversione della rotta. Un Trentino avvitato su se stesso, caduto in un circolo vizioso che lo stava portando sempre più a fondo, ha con immane fatica compiuto un piccolo ma importantissimo passo nella direzione giusta. La speranza, ora, è che il circolo vizioso si trasformi in virtuoso, che l'introduzione della soglia ci consegni un Consiglio un pochino migliore dell'attuale, che grazie a ciò esso riesca a fare un po' di più di quanto ha fatto questo (magari approvando una riforma elettorale vera, che introduca i principi della democrazia dell'alternanza), e così via. Anzi, volendo vedere il bicchiere mezzo pieno, potremmo addirittura dire che oggi in Trentino abbiamo una cosa che gli altri ancora non hanno: la riduzione della frammentazione.

Non è una sciocchezza. Tutte le riforme elettorali approvate dal 1993 (anno dei referendum di Segni) ad oggi, hanno infatti la grave lacuna di essere un colabrodo sul piano della frammentazione dei partiti. Il maggioritario non c'entra: il colpevole è la sua versione "ciociara". Per quanto riguarda il parlamento, votando con tre schede, tre sistemi distinti, scorporo, recupero proporzionale, collegamenti e via complicando, se da un lato abbiamo consegnato all'Italia una certa stabilità di governo, dall'altro il numero dei partiti è schizzato all'insù fino a raggiungere l'impressionante numero di quaranta e oltre, dagli iniziali otto - dieci dell'era della proporzionale. Nelle Regioni ordinarie, la famigerata legge Tatarella ha sì ridato autorevolezza alle Regioni, ma ha lasciato le giunte in balia dei ricatti e dei ribaltoni di Consigli spappolati in mille - rivoli.

La legge dei "Comuni (e delle province delle Regioni ordinarie), infine, ha blindato i governi comunali, attribuito un enorme potere, ai sindaci, consentito uno straordinario ricambio della classe dirigente degli enti locali, fatto risorgere dalle macerie del malgoverno città come Napoli e Roma, ma tutto questo al considerevole prezzo dell'umiliazione dei Consigli comunali che, eletti ancora col proporzionale, sono stati privati, oltre che di competenze, anche di qualsiasi straccio di legittimità, soprattutto se messi al confronto col sindaco eletto direttamente.

In una democrazia nella quale la "Lista Beautiful" prende quasi la metà dei voti del Pds, com'è successo a Roma alle ultime elezioni comunali, c'è senz'altro qualcosa di inceppato, che non funziona come dovrebbe. Un sistema che poggia interamente sul consenso personale dei leader eletti direttamente, e nel quale i partiti sono deboli e delegittimati, assomiglia più al peronismo o a qualche caotico paese dell'Est, piuttosto che alle forti e consolidate democrazie anglosassoni. E come non bastasse tutto questo, oggi la dilagante frammentazione dei partiti comincia addirittura a mettere in pericolo le stesse conquiste del maggioritario.

Un esempio su tutti è il cosiddetto accordo di casa Letta, quello che ha consentito di salvare il lavoro della Bicamerale al prezzo di rendere più proporzionale la legge sull'elezione del Parlamento.

In Trentino, invece, se da un lato siamo ancora alla Prima Repubblica, se il problema della governabilità è ancora tutto da risolvere, se il bipolarismo è ancora un sogno, dall'altro lato con la soglia del 5% abbiamo segnato un importantissimo punto di non ritorno contro la tendenza alla frammentazione dei .partiti. Quando, nella prossima legislatura, si dovrà modificare nuovamente la legge elettorale per garantire la necessaria stabilità alle giunte (che questa miniriforma non è ancora in grado di assicurare), non si potrà che partire da qui, dal risultato raggiunto oggi. Tornare indietro sarà vietato. Oggi, l'unico grosso rimpianto è sapere che, ai tempi di Wanda Chiodi assessore, siamo arrivati a un soffio dallo "strike", dall'avere una rifor-ma che avrebbe dato al Trentino un sistema dell'alternanza riducendo al contempo la frammentazio-ne dei partiti. Fosse stata approvata quella, di riforma, ci saremmo risparmiati altri cinque anni di transizione, nella migliore delle ipotesi. Se, al contrario, quella pro-spettiva si accartocciò su se stes-sa, non è stato solo per colpa del Patt, ma anche, sebbene in misura inferiore, per colpa di una sinistra troppo intenta a salvare i propri ce-spugli per poter rispettare essa stessa quel programma in nome del quale mise fine alla giunta Ulivo - Abete.

Ed invece, con la soglia del 5 per cento approvata, i cespugli sono stati comunque "serviti", il merito della mini riforma (al di là di come sono andate realmente le cose vedi la scheda) andrà al Patt e alla Lega e a novembre si voterà anco-ra con un meccanismo che relegherà la sinistra ai margini della poli-tica provinciale. Speriamo almeno che la sinistra abbia imparato la lezione.