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QT n. 20, 11 novembre 2000 Cover story

I contributi alla tortura

Grazie al personale impegno di Dellai viene istituito il roccolo provinciale: incentivata e finanziata dalla Provincia una pratica di caccia particolarmente barbara e antisportiva. Ancora una volta imposto il volere delle lobby (qui quella dei cacciatori); contro ogni logica, ragione, orientamento della pubblica opinione. I come e i perché di questo episodio. E le possibili conseguenze

La Provincia promuove e finanzia la tortura di animaletti. Senza alcuna finalità che non sia quella di permettere a qualche migliaio di cacciatori di esercitarsi in un comodo tiro al bersaglio su uccellini. Questo lo scandaloso risultato cui è approdata in questi giorni la Giunta provinciale grazie al personale, insistito impegno del presidente Dellai.

Un merlo, una specie di uccellini prossimi ospiti del roccolo della Provincia Autonoma.

Si è infatti deciso di attivare un “roccolo” della Pat, ossia un impianto di cattura di uccellini vivi, da cedere, a prezzo politico, ai cacciatori che ne facciano richiesta. Nella comune accezione la parola “roccolo” si associa all’antica pratica dell’uccellagione, da tempo in disuso in tutta Europa, per gli ingenti danni (autentiche stragi) inflitti alla fauna, incommensurabili rispetto alla modestia dei bisogni alimentari così soddisfatti, soprattutto nella società attuale. Non solo: la Pat istituisce il roccolo per rifornire di animali vivi (quelli sopravvissuti alle letali dinamiche della cattura) i cacciatori, che poi li addestreranno - cioè tortureranno - per farne animali da richiamo. Il tutto per praticare un tipo di caccia che ha poco a che vedere con lo sport (ci si apposta in un capanno ad attendere l’arrivo degli uccelli richiamati) e nulla con la conoscenza ecologica del territorio.

Sulla barbarie dei roccoli e delle pratiche di “addestramento” dei richiami, trattiamo nell’articolo "Ma sol per passion". Qui vediamo come si è giunti a questa incredibile decisione.

La pratica della caccia da richiamo è un’attività solo italiana. Può essere esercitata solo grazie ad una deroga dalle normative europee. E’ peraltro nota l’ostilità dell’opinione pubblica europea, tradottasi anni fa anche in boicottaggi sul piano turistico. Ora abbiamo che la Provincia di Trento (“l’Italia come la vorremmo”) non solo non scoraggia questa pratica (non in uso per esempio nella vicina Provincia di Bolzano), ma addirittura decide di incentivarla, fornendo strutture e sovvenzioni. Si fa propugnatore di ciò lo stesso presidente Dellai, che interviene pesantemente in prima persona nel Comitato Faunistico per sostenere questa scelta (vedi la testimonianza "Ero un moderato, grazie a Dellai ora sono un estremista").

Le motivazioni addotte sono sostanzialmente tre, tutte insostenibili. Anzi, proprio queste motivazioni rivelano l’abisso di incultura che sta dietro il provvedimento. “Non facciamo altro che dar seguito a un preciso articolo della legge provinciale sulla caccia” - ha sostenuto Dellai nel Comitato Faunistico; il punto è che la legge prevede molteplici interventi, e che Dellai decide di attuare non quelli a tutela della fauna (come le oasi faunistiche), ma proprio quello che la fauna la danneggia.

“E’ previsto dalla legge nazionale” - argomenta ancora Dellai; ma anche qui della legge nazionale non vengono recepite le norme ecologiche (come il divieto di caccia nei Parchi, disatteso solo in Trentino grazie alle potestà della mitica Autonomia), bensì quelle più discutibili, che ci allontanano da sensibilità e standard ecologici europei. Insomma Dellai pratica nella legislazione una sorta di “shopping del peggio” (come abbiamo già visto in altri casi): fra le varie normative e all’interno di esse, si cercano e si applicano i passaggi meno garantisti per il territorio.

“Lo facciamo noi il roccolo, perchè così riduciamo i danni e gli illeciti” - è l’ultima motivazione. Cioè il roccolo provinciale verrebbe gestito con criteri meno barbari di quelli privati. Ma il discorso (che peraltro non prende minimamente in considerazione il tremendo momento dell’addestramento del richiamo) è politicamente ed eticamente aberrante: sarebbe come dire che per evitare gli abusi nell’ambito della prostituzione, la Pat provvedesse direttamente lei a rifornire i clienti - a prezzo politico - di ragazze “prelevate” con maggiori garanzie. Anzi, siccome in entrambi i casi - prostituzione e caccia con il richiamo - la maggior parte degli abusi avviene nel periodo dell’addestramento, con questa logica sarebbe opportuno estendere l’intervento istituzionale della Pat anche a questa fase. Prezzo politico, dicevamo: infatti l’uccellino verrà ceduto per un costo di Lire 30.000 ognuno, contro le 200.000-300.000 del prezzo sul mercato legale, e di 50.000-60.000 sul mercato nero.

Il perché di tutto questo è facile a individuarsi: il potere elettorale della lobby dei cacciatori. Sempre nell'articolo "Ero un moderato, grazie a Dellai ora sono un estremista" viene sottolineato il costante comportamento di Dellai nel Comitato Faunistico: sempre, pesantemente a favore di tutte le rivendicazioni dei cacciatori. E viene riportato lo smarrimento degli ambientalisti di fronte a un presidente che, contro ogni logica istituzionale, si fa pervicacemente portatore dei discutibili interessi di una lobby.

Il dato più grave della vicenda è infatti la sua emblematicità di un metodo di governo. I cacciatori sono una piccola minoranza (settemila persone), che per di più rappresentano una cultura ormai decisamente minoritaria: è ormai diffuso, a livello di leggi e di sensibilità comuni, il concetto base per cui gli animali selvatici non sono proprietà dei cacciatori, predestinati alla loro ricreazione, bensì un bene dell’ambiente e quindi della collettività.

Di questi principi Dellai non si cura: la sua azione è stata ed è tesa a soddisfare tutte le richieste dei cacciatori, anche quelle più arretrate. Né si cura - e questo è il punto più grave - della pubblica opinione. “Noi siamo maggioranza, abbiamo tanti iscritti quanti i cacciatori, e rappresentiamo la cultura della gran parte della popolazione” - reclamano gli ambientalisti.

Il Presidente Lorenzo Dellai, in versione uccello da richiamo.

Invano. Infatti anche qui scatta lo stesso meccanismo visto nella Jumela: le ragioni contano zero, non conta l’opinione pubblica, contano le lobby elettorali. Secondo una ben precisa visione politica: che segmenta i cittadini in tanti gruppi clientelari, da accontentare singolarmente. Per cui l’opinione del cittadino, la visione generale, non importa, il suo voto lo si recupera con il favore: il piccolo azionista della società Buffaure, salvata grazie allo scempio della Val Jumela, sarà probabilmente contrario ai roccoli, ma chi se ne frega, il suo voto lo si è già assicurato.

Ne discende uno stravolgimento della democrazia. E una politica volta al peggio: più il favore è discutibile, più la riconoscenza sarà doverosa.

E così si calpesta lo stesso tessuto di idee, la comunanza di interessi, che forma una comunità. “Ma cosa stiamo qui a discutere, a perdere tempo a portare ragioni che nessuno ascolta? - commentavano alcuni ambientalisti sfibrati dall’inutilità dei Comitati Faunistici - La prossima volta, andiamo a bruciare un roccolo, che è meglio!”

Franco de Battaglia, commentando sull’Alto Adige questa deriva, ammoniva sullo stravolgimento dell’idea stessa di comunità che porta questo strazio delle idee, questo prevalere degli interessi più ottusi.

“E’ stato un altro schiaffo alla sinistra” - commentava la diessina Wanda Chiodi dopo l’approvazione della delibera sul roccolo.

Secondo noi si sbagliava: gli schiaffi, più o meno meritati, assestati a questo o quel consigliere, a questa o quella parte politica, sono irrilevanti. Quello che conta è la distruzione della cultura di una comunità che con assoluta irresponsabilità questa Giunta provinciale sta portando avanti.