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QT n. 21, 25 novembre 2000 Monitor

Dal bandoneon con amore

Applausi. Sala gremita. Nell’aria il suono inconfondibile del bandoneon, che avvolge il pubblico con le sue note struggenti: un successo. C’era forse da aspettarselo da Olivier Manoury, un musicista affascinante per chi ama vivere la vita in un giro di tango. L’11 novembre, la notte a Palazzo Geremia è parsa più intima anche a chi, come noi, ha seguito metà del concerto fuori dal "Falconetto" e ha scoperto con piacere che una ventina di persone, incurante del tutto esaurito, è rimasta in piedi nel guardaroba o seduta sui gradini per sognare con la musica.

Ne ha fatta di strada il bandoneon da quando nacque sulle rive del Reno nel 1846, ma finora l’Italia ha avuto poche occasioni per apprezzarne il suono deciso, dolce, pulito. Il programma, poi, era di tutto rispetto: Gardel, Piazzolla, Monk, oltre a Cobian e De Caro, due vecchie glorie del Novecento. Difficile dire quale brano abbia offerto le emozioni più intense, e il segreto è nel dialogo amoroso fra le dita di Manoury e il suo strumento: ogni nota porta avanti un suo discorso e lo sviluppa; nota dominante, la passione, come vuole la migliore tradizione latina.

"Volver" (Gardel), "La casita de mis viejos" (Cobian) e "Loca Bohemia" (De Caro) sono brani di struggente bellezza dove le note s’inseguono calme, s’accendono, si sovrappongono, si perdono; se l’attacco è spesso diretto, il finale è una sofferta dissolvenza. Poi, Piazzolla, che rapisce la sala con "Loving" e "Fear", tratti entrambi da "Tango Sensations". Anche qui lo slancio s’alterna alla cornice della malinconia, lasciando al dolore l’ultima parola. Dopo la pausa la seconda parte, dedicata a Thelonious, c’introduce nell’atmosfera "misteriosa e quasi crepuscolare" di "Monk’s Mood": accordi lunghi e lenti in un impulso che tenta più volte d’emergere. Segue unpezzo curioso - "Pannonica", nome scientifico d’una farfalla - leggiadro e volubile come una danza a mezz’aria.

La musica muta ormai di continuo: furtiva e discreta in "Round about Midnight", accattivante e maliziosa di "Evidence". Le note spezzano gli accordi, in sordina, a tratti gridati sotto una complice luna piena: un invito ad ascoltare e a guardare. Quindi, Manoury ci strega con una serenata, perché "Ruby My Dear" è una carezza che seduce lo strumento.

Due veri gioielli gli ultimi brani: "Straight, No Chaser" e "Ugly Beauty". In entrambi, grande affiatamento fra Manoury e il contrabbasso d’uno strepitoso Stefano Bianchini; nel secondo pezzo l’organizzatore del festival Dini Ciacci improvvisa un trio jazzistico al piano, volutamente indeciso fra fluidità e secchezza delle note.

I trilli coinvolgenti del bandoneon, i continui scambi di volume tra gli strumenti sono forse alcuni dei più bei ricordi di questo memorabile concerto. Nei suoni prolungati, monocordi, nelle fughe, nei crescendo è rinato davanti a noi il sogno della musica argentina.

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