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“Il mito dell’università”

Graziano Riccadonna, “Il mito dell’Università. Gli studenti trentini e le origini dell’Università di Trento”. Curcu e Genovese, Trento, 1999.

Luciano Baroni

Il mito universitario trentino, se di mito possiamo parlare e non piuttosto di un sogno elitario, affonda le sue lontane radici nel mecenatismo cinquecentesco dei Madruzzo e nelle tenaci resistenze che la Magnifica Comunità delle corporazioni artigiane oppone al cardinale Cristoforo Madruzzo sino a farlo recedere dal progetto di istituire nella città uno "Studium generale" per la diffusione della cultura, o meglio del "credo" religioso.

Dopo due secoli di silenzio gravati dai postumi d’una severa controriforma, quel mito rispunta in epoca illuministica, forse anche grazie alla suggestione della sede universitaria leopoldina di Innsbruck, ma la creazione a Trento di una cattedra di diritto, pur se illustrata da studiosi come Pilati e Barbacovi, non sopravvive a un quarantennio di attività, e la cattedra si spegne quasi per demotivazione agli albori dell’Ottocento.

E’ alla fine di questo secolo che il mito rinasce, stavolta non più sotto il segno di vertici amministrativi e confessionali, ma dalla spinta d’un movimento studentesco anch’esso elitario perché ristretto ai figli della borghesia fiorita sull’onda della rivoluzione industriale, nutrito però dai fermenti irredentistici che ne faranno un veicolo di agitazione e di lotta politica sino allo scoppio della grande guerra.

La parte più vivace ed interessante dell’impegnativo e minuzioso saggio di Graziano Riccadonna riguarda proprio i primi vent’anni d’una vicenda, quella della Associazione degli studenti universitari trentini, che ha come culla e teatro la città di Innsbruck e la sua Università e come esito militare e cruento il primo conflitto mondiale.

Ne risulta un quadro estremamente composito che dentro i confini dell’imperialregio dominio, oltre la diatriba tra le rivendicazioni trentine e quelle di Trieste, abbraccia anche la distinzione e la contrapposizione tra la matrice cattolica dei Degasperi e dei Chiocchetti e quella liberal-socialisteggiante dei Canestrini e dei Battisti, mentre fuori dai confini del territorio "sudtirolese" illumina i rapporti di studiosi, docenti e studenti con le università italiane di Padova e di Bologna, di Firenze e di Torino.

Di quella Associazione, che celebra il suo primo congresso a Pergine nel 1894, diventa organo di stampa e propaganda l’"Annuario degli studenti trentini". Fatto editare dapprima a Torino nel 1894 e proprio dall’allora giovanissimo Cesare Battisti, quindi a Milano, dopo l’arresto della diffusione dovuto alla censura austriaca e la vacanza forzata degli anni del conflitto, riapparirà, ma solo per pochi anni, nel primo dopoguerra. E lo stesso Battisti, che in quel conflitto sarebbe divenuto martire e simbolo, aveva suggerito il motto dantesco dell’Associazione che campeggiava sul vessillo stile liberty disegnato dal pittore Luigi Bonazza nel 1912: "Libertà vo’ cercando ch’è sì cara".

Era lo sbocco logico, pensato e perseguito, d’una lotta studentesca che, partita dalla richiesta di aprire una sezione italiana e trentina nell’Università di Innsbruck, puntava in realtà a sollecitare e ad affiancare il movimento d’una prossima liberazione dal dominio austro-ungarico.

La ricchezza dell’iconografia e della documentazione dai giornali d’epoca di parte austriaca e italo-trentina, dagli atti dei convegni e dagli archivi delle due parti, e la puntigliosità della ricerca storiografica, oltre a una cronaca che arriva sino all’epilogo dei giorni nostri con la nascita dell’attuale Ateneo di Trento, fanno del saggio di Riccadonna uno strumento prezioso per chi voglia ripercorrere non solo le vicissitudini d’un mito culturale ma anche il profilo d’una piccola storia dei ceti emergenti in terra trentina tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del ventennio fascista.

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