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QT n. 8, 20 aprile 2002 Servizi

Moni Ovadia e la tragedia mediorientale

L'ebreo Moni Ovadia e la tragedia mediorientale.

Dopo il recente spettacolo allo Zandonai di Rovereto, (Moni Ovadia e il crepuscolo delle madri) abbiamo intervistato Moni Ovadia. Nato nel 1946 a Plovdiv, in Bulgaria, da una famiglia ebrea, Ovadia è un uomo di spettacolo che più volte ha messo in scena, con grande passione e umanità, la cultura yiddish e la stessa Shoah. Ma è soprattutto un uomo di cultura. A lui abbiamo posto alcune domande sulla situazione odierna di Israele e sul conflitto in atto.

Moni Ovadia.

Nel suo testo "L’ebreo che ride" lei scrive: "Gli ebrei ‘regrediti’ hanno superato di gran lunga gli ebrei ‘ubiqui’..." Le pare che questa affermazione possa esprimere l’attuale drammatica fase del conflitto?

"Io credo che gli ebrei per lo shock dello sterminio siano regrediti ad una chiusura ombelicale. Questo è assolutamente comprensibile dopo tutto quello che è successo, però secondo me questa è una fase di contrazione, perché è stata quasi completamente persa la parte universalistica. L’ebraismo è un bradisismo permanente di particolarismi e universalismi. La parte universalista - l’immagine profetica, la giustizia sociale, il riscatto di tutta l’umanità - è diventata quasi non visibile: e per me questa è regressione.

Quanto agli arabi, hanno molte responsabilità, prima di tutto avrebbero dovuto riconoscere lo stato di Israele da molto tempo: oggi (24 marzo, n.d.r. ) il principe saudita Abdullah fa una proposta che doveva fare da molti anni. Va bene, gli arabi hanno i loro problemi, la loro cultura, il buono e il cattivo come tutti.

Quello che di Israele non riesco a capire - pur con tutte le ragioni derivate dai problemi di sicurezza - è l’accanimento maniacale a non volersi ritirare dai territori. Meglio uno Stato più piccolo, e poi riprendere il proprio cammino. Io dico che se il destino degli ebrei deve essere una piccola patria, modello americano, con la finta ortodossia con le chiappe al caldo, non valeva la pena di farsi massacrare per quattromila anni, ma trovare un accomodamento prima; allora noi abbiamo patito tanto perché abbiamo il nostro compito, che è quello di portare la Torah nel mondo, e la Torah vuol dire fratellanza universale. Ecco perché parlo di regressione.

Dopodiché la politica mediorientale è un’altra questione. Io per le mie posizioni ho ricevuto insulti roventi dal mondo ebraico, addirittura l’accusa di antisemita, e dagli estremisti rossi, sedicenti rossi, ho ricevuto invece le accuse contrarie. Guardi che strano! Io sono un uomo che - badi - posso fare molti errori, sbagliare i miei piani, ma nessuno mi paga per dire quello che dico, non ho santi in paradiso. È’ curioso ricevere le accuse opposte dai due fronti: questo mi fa sospettare di essere nel giusto.

Gli ebrei sono molto infragiliti, lo sterminio è stato uno shock spaventoso: un terzo del popolo ebraico, un milione di bambini. Quando certi pontificano sugli ebrei farebbero bene a pensarci due o tre volte. Per questo io accetto dai palestinesi molte cose, dagli occidentali nessuna. Gli occidentali devono star zitti, compresa la sinistra. Zitti, oppure parlare con molta modestia. Trovo veramente intollerabile voler pontificare".

E che pensa della politica di Sharon?

"Sharon è un militarista, un uomo maniacalmente ottuso che getta benzina sul fuoco. Ma che si voglia paragonare il comportamento dello Stato di Israele al nazismo è assurdo. Siamo di fronte a un puro conflitto territoriale, non c’è odio razziale. Ci sono migliaia di palestinesi con passaporti israeliani che vivono in Israele; non dico che non abbiano dei problemi, ma nessuno li deporta, nessuno li mette nelle camere a gas: il nazismo è stato un’altra cosa.

E il fatto che la politica di Sharon sia condannabile, anche aspramente, è un altro discorso.

Israele è un paese in cui, in pieno stato di belligeranza, ci sono ufficiali che si rifiutano di andare a combattere, ma nessuno li ammazza. Israele è un paese democratico, l’ebraismo è democratico. Purtroppo con un piccolo gruppo di fanatici, come li hanno tutti gli altri paesi: li hanno anche i cristiani, anche gli arabi e gli induisti: sono una vera piaga per gli esseri umani. Dopodiché io però credo che nella terra santa si debba vivere da stranieri, questo sta scritto nella Torah".

Per l’ebreo dunque la propria terra si trova sempre in un altrove?

"Sì, secondo me l’ebreo deve star sempre in un altrove, anche quando sta nella cosiddetta terra promessa. Non è una terra da possedere in senso nazionalista, ma da abitare come stranieri, cioè sapendo di esser stranieri a se stessi. Quindi senza alcun delirio nazionalistico, guai! È’ idolatria".

Questa è una lettura ortodossa?

"Assolutamente; infatti io sono una persona che reputa l’esistenza dello Stato di Israele una cosa di cui non si può discutere, perché mi sembra un dato di fatto fondamentale, soprattutto dopo quello che è avvenuto. Però, detto questo, esiste un grado dell’ortodossia che è lontanissimo dal fanatismo. Dire che gli ortodossi sono fanatici è una stupidaggine: ci sono quelli moderati, ci sono quelli addirittura estremisti di sinistra. A me piace l’ebraismo nella sua molteplicità, io odio i pasdaran di tutte le religioni".