Trentino: la scomparsa dei riformatori
La sinistra è il pugile suonato della politica trentina, che tutti prendono a sberle. In realtà sconta il tramonto dell'ipotesi riformatrice: Dellai ha riscritto l'agenda politica, di riformare il Trentino non parla più nessuno.
Era stato impudente Carlo Andreotti del Patt, al congresso del suo partito: "Sì, potremmo allearci con Dellai. Purchè si decida a rompere il cordone ombelicale con la sinistra." Impudente perché proprio lui era stato eletto pochi giorni prima presidente della Regione con i voti della sinistra, subentrando alla dimissionaria diessina Cogo; e perché nella scorsa legislatura era stato a capo di una giunta provinciale di centro-sinistra; e perché ancora nei contrasti nel suo partito più di una volta si era caratterizzato come propugnatore di un’alleanza a sinistra… e l’elenco potrebbe continuare. Insomma come mai Andreotti, che dei rapporti con la sinistra è stato – sia pur a corrente alternata – propugnatore, e in ogni caso beneficiario (come lo è tuttora), come mai si mette a pretendere la rottura con i comunisti, i massimalisti, l’Impero del Male?
Appurato che Andreotti non è il solo, ma costituisce il caso più eclatante e anche un po’ grottesco, si potrebbe riformulare la domanda: come mai tutti prendono a ceffoni la sinistra? Quando qualche personaggio vuole un po’ di visibilità, dall’assessore del fantomatico partito delle Genziane, al neo-segretario dello Sdi, tutti non trovano di meglio che lanciare anatemi alla sinistra, ossia rifilare qualche sberla al pugile suonato, i Ds, che tanto è innocuo e la notizia sui giornali è assicurata.
Una scenetta da filodrammatica, un po’ triste, un po’ ridicola. Che potrebbe essere liquidata come uno degli episodi del teatrino della politica; o come ultimo risultato della perdita di dignità dei Ds, da quando hanno deciso di accettare tutto, pur di rimanere attaccati alle poltrone, o – come dicono loro - di "non danneggiare la coalizione per non lasciare spazio a questa destra".
In realtà il problema è molto più grave, e va oltre lo stato di salute di questo o quel partito.
Il fatto è che si è consumata la dinamica iniziata con la debacle della Jumela. Quando la sinistra, non avendo la convinzione necessaria a imprimere al governo provinciale la strada del cambiamento, ha pensato di poter salvare l’anima e i voti frenando la marcia dei partner. Non riusciamo a far passare gli orientamenti per un turismo sostenibile? Allora almeno blocchiamo la Jumela. Non si trasferisce il trasporto merci dalla gomma alla rotaia? Impediamo la PiRuBi. Non passa la riforma istituzionale, che dovrebbe dare nuova centralità alle valli, e limitare gli spostamenti verso Trento? Ci opponiamo al proliferare dell’asfalto.
Intendiamoci, tutte queste opposizioni sono sacrosante. Ma chi è al governo non deve frenare, deve proporre una politica positiva. Se gli alleati non la condividono, e si orientano in tutt’altra direzione, non si deve votare contro e boicottare, si deve uscire.
Altrimenti hanno buon gioco coloro che ti accusano di essere la palla al piede, il freno dello sviluppo ecc.
Da questa dinamica è uscita a pezzi non tanto la credibilità di alcuni partiti, ma il progetto stesso di ammodernare il Trentino nei confronti della società del 2000. Le elezioni del ’98 sono state vinte da Dellai con lo slogan "Vota Margherita, per voltare pagina" e dai Ds con un po’ più ingenuo "Ds, la simpatia per il futuro". Poi però Dellai ha praticato una politica rigorosamente dorotea: non più l’utilizzo degli ultimi miliardi dell’Autonomia per impostare una società più moderna e competitiva, bensì la perpetuazione dei metodi clientelari basati sulla generosa elargizione dei contributi. E così è andato avanti il solito turismo delle società impiantiste in crisi ma foraggiate con nuovi contributi; si è bloccata la riforma istituzionale e finanziati invece gli appetiti dei ras di valle; si è umiliata la centralità dell’istruzione negando persino la necessità del relativo assessorato; si è ridotta la tensione verso l’innovazione tecnologica al finanziamento di carrozzoni in cui piazzare come boiardi gli uomini di fiducia del presidente.
Il risultato è un Trentino che arranca. Un esempio le telecomunicazioni, in cui la relativa società parapubblica locale – Infostrutture – annaspa, ed è costretta a lamentarsi perché la consorella altoatesina – Brennercom – si mette ad operare anche a Trento; e Dellai allora scrive una lettera di protesta a Durnwalder, che gli risponde "il mercato è mercato". E’ il Trentino dei carrozzoni e delle clientele che inizia a non reggere il passo.
"Governare non è asfaltare" si diceva. Ma oggi l’unica partita positiva del governo, è solo l’asfaltare. E gli altri obiettivi – la scuola, l’innovazione, l’ammodernamento istituzionale, la fine della politica dei contributi – non esistono più. Dellai ha riscritto l’agenda politica: le cose che contano sono "le istanze dei territori", ossia opere pubbliche e contributi gestiti dai potentati locali.
La sinistra si è adeguata. Non ha il coraggio di dire che questa è una strada radicalmente sbagliata: flebilmente precisa, qualche volta frena. Sostanzialmente è inutile. "Elemento di freno, palla al piede".
Ma a questo punto si è anche persa la consapevolezza delle necessità vere del Trentino. Gli obiettivi del ’98, non solo non sono stati attuati, sono stati rimossi. Se e come il Trentino debba attrezzarsi, sembra non interessi nessuno (se non per sostenere nuove opere pubbliche inutili, in perdita, e magari anche nocive, come la PiRuBi, l’aeroporto o l’inceneritore).
I riformatori sono scomparsi: Dellai, riscritte le priorità, ha virato verso un programma di esplicita conservazione; la sinistra, quando non si lecca le sempre nuove ferite, discute della Casa dei Trentini e analoghi kamasutra partitocratici. Le forze politiche, in quanto agenzie culturali, hanno fatto deragliare il dibattito sul cambiamento del Trentino.
Nella società civile il solo sindacato ha tenuto aperta la prospettiva del cambiamento, impegnandosi a fondo, con la Provincia e le associazioni imprenditoriali, nella scrittura dei Patti Territoriali. Ma poi il governo provinciale ha trasformato i Patti in strumenti di pressione delle lobby di valle; gli imprenditori hanno pensato bene di raccogliere quello che si può in termini di opere pubbliche; e il sindacato è rimasto solo. Nemmeno dall’Università – troppo foraggiata? – arriva alcuno stimolo.
E così abbiamo un Trentino immobile. E inconsapevole: con il harakiri della sinistra, di una spinta riformatrice sembra non esserci più bisogno. "Governare è asfaltare".