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QT n. 14, 13 luglio 2002 Servizi

Quattro anni di centro-sinistra

L’esito di un’esperienza politica: un Trentino più debole e solo. La strategia dell’Ulivo, dalla teoria alla pratica. Le alternative oggi, nella politica e nella società.

E’ stata commentata alcune settimane fa su Repubblica, ad opera di Ilvo Diamanti, un’illuminante ricerca su opinioni e paure degli italiani. Con esiti tutt’altro che scontati. Gli italiani si sentono insicuri, questo il dato dominante e peraltro noto: ma l’insicurezza, attribuita solo in parte e in misura decrescente (questa la novità) all’immigrazione, ha motivazioni che vanno oltre il problema della criminalità. La "sicurezza" non è insidiata tanto dal malfattore albanese, ma dal timore di perdere lavoro, benessere, sicurezza sociale, identità.

Lorenzo Dellai e Luis Durnwalder: furbi accordi elettorali da una parte, senso di superiorità dall’altra.

Ci sentiamo più insicuri quando apprendiamo che dovremo pagare il pronto soccorso, quando ci spiegano che "è ormai finito il tempo del lavoro fisso", che liquidare le pensioni sarà un problema, che "ormai è ora di iniziare a pagarsi le medicine".

Alcune di queste preoccupazioni sono figlie degli attacchi del centro-destra nostrano allo Stato sociale. Ma il problema, non a caso europeo, è molto più ampio e profondo: è il Welfare nel mirino; di più, l’insieme della nostra società con le sue sicurezze, che si teme non più adeguata all’economia globale.

Perché? Dove abbiamo sbagliato? Il cittadino che ha lavorato tutta una vita, perché deve temere per la vecchiaia, le infermità, l’avvenire dei figli?

Queste le domande che ci si pone, in Italia e in Europa. E che generano insicurezze, tensioni, sbandamenti.

Sul piano europeo e mondiale questo è il problema sul tappeto: posto da tanti, tra cui i no-global. La risposta, teoricamente, è già stata data: i mercati, la finanza, la globalizzazione, bisogna governarli, non esserne governati. Cosa facile a dirsi; a farsi invece è tutto da discutere; e da combattere.

Qui però non affrontiamo questo livello del discorso (cui peraltro non ci sentiamo preparati); bensì il livello inferiore, ma non per questo meno importante: quello locale. Su questo tutti concordano: sarà decisivo il livello territoriale, la competitività degli ambiti regionali. E qui arriviamo al Trentino: le sue possibilità, le prospettive. E il nodo della politica.

Il punto di partenza è ampiamente condiviso: il Trentino gode di alcuni punti forti, un ambiente gradevole ed attraente, servizi buoni, coesione sociale, un patrimonio di strutture per l’istruzione e la ricerca, una propensione storica della popolazione ad aggregarsi in cooperative e associazioni. E sulla valorizzazione di questi punti forti, l’area politica-culturale che fa riferimento al centro-sinistra ha abbozzato una prospettiva strategica per uno sviluppo basato su istruzione, ricerca, turismo dolce, alta tecnologia, produzione di qualità. In cui gli investimenti in ambiente e solidarietà sociale sono in primo luogo un bene in sé, ma costituiscono anche il contesto ottimale per uno sviluppo fondato sulla qualità.

Una visione strategica che affiancherebbe il Trentino alle regioni alpine circostanti: permettendogli di trovare al contempo alleati, identità, dimensioni critiche per non essere un punticino nell’Europa; così superando uno dei due punti (del secondo parleremo poi) pesantemente a sfavore: la piccolezza, che può essere un handycap decisivo sul piano dei bacini d’utenza per l’economia, su quello dell’influenza politica, e anche - a cascata - su quello dell’identità culturale.

Più o meno su queste basi, presentate in maniera meno compiuta (il dibattito nel frattempo è andato avanti), quattro anni fa il centro-sinistra vinceva le elezioni provinciali. "Per voltare pagina" e "Simpatia per il futuro" erano gli slogan di Margherita e DS, i partiti vittoriosi: a riprova di come la popolazione sia consapevole della precarietà delle posizioni acquisite, e premi chi propone un ragionevole rinnovamento.

E ora? Di questa strategia, alla prova dei fatti, cosa è rimasto? Il governo provinciale, supportato dalle amministrazioni delle città come dai parlamentari locali, tutti o quasi allineati, come ha tradotto tutto questo in atti concreti?

Qui, a nostro giudizio, sta il punto dolente. Il governo e le forze politiche dell’Ulivo si sono mossi in tutt’altre direzioni. Vediamo.

La contraddizione è emersa fortissima sulla questione ambientale: Jumela, PiRuBi, inceneritore sono tutte questioni ultra-note ai nostri lettori. Il punto unificante, che qui ci interessa sottolineare, è come in tutte queste questioni, al di là della propaganda e anche di alcuni slogan masochisti del mondo ambientalista, non ci sia in realtà stato un conflitto tra ambiente e sviluppo, o ambiente ed economia: le iniziative di cui sopra non hanno nulla di economico (nella Jumela si danno contributi a una società decotta, la PiRuBi è un’autostrada in sicuro passivo, l’inceneritore è il metodo di smaltimento rifiuti più arretrato e costoso oltre che inquinante). Se sono state fortemente sostenute è per il motivo contrario: incapaci di camminare sulle proprie gambe, hanno cercato un rapporto privilegiato con la politica. E lo hanno agevolmente trovato.

Il che configura un quadro molto più grave: il centro-sinistra non orienta l’economia secondo la visione strategica di cui sopra, al contrario indirizza la propria politica per favorire le lobby economiche più arretrate. Così si rinuncia a un turismo più moderno, in sintonia con le nuove domande, per accontentare alcune clientele in Fassa; si sposa il modello territoriale del Nord-Est (terza corsia dell’A22, maxi-interporto a Trento) per le lobby della PiRuBi, si vuole imporre il costosissimo maxi-inceneritore per l’ASM di Brescia e via così (il ridicolo aeroporto, ecc).

Attenzione, questa non è neanche una consapevole scelta del pur discutibilissimo modello Nord-Est, in contrapposizione con quello alpino (vedi Trentino senza rotta): nel Veneto, lo sviluppo pur caotico e tumultuoso (e proprio per questo precario, aggiungiamo) avviene selezionando i più forti. Qui invece si favoriscono i deboli, coloro che proprio per l’inconsistenza dei loro progetti ricercano la sponda politica.

C’è poi un altro aspetto: i carrozzoni parapubblici. Trento-Malè, Trentino Energia, Informatica Trentina, Infostrutture…: sono feudi in cui vengono nominati solo fedelissimi del presidente Dellai. Una sorta di potere personale, inedito per il Trentino. Con effetti perversi sull’insieme della strategia di governo.

Prendiamo Sit-Trentino Energia, società privata, a capitale pubblico, in mano a uomini di assoluta fiducia del presidente: per favorirla si orienta la partita dei rifiuti verso la soluzione più onerosa per il pubblico, meno sicura per la salute del cittadino, ma più remunerativa per la società. Oppure Informatica Trentina, da anni sospesa nel limbo di una prossima privatizzazione, ostacolata dalle opposizioni perché destinata ad essere preda della società Delta-Sequenza, di Diego Schelfi, amicissimo del presidente. O Infostrutture, a tutt’oggi non operativa (nel tumultuoso settore Internet-telefonia) e quindi travolta dalla concorrenza, perché ostaggio dei giochi di potere sulle nomine. Ecco dunque tutto il settore della tecnologia avanzata che sconta mancanza di dinamicità in quanto condizionato dall’ingombrante presenza di questi mastodonti pubblici, riserva di caccia personale del presidente, tanto grandi quanto assistiti e immobili.

Il che porta a ulteriori considerazioni su un altro dei pilastri della (supposta) strategia del centro-sinistra: l’istruzione e la ricerca. E’ un fronte sempre citato dai volonterosi estimatori della Giunta, che in effetti non ha fatto mancare i fondi a università e istituti di ricerca; e complessivamente risultati ce ne sono stati.

Solo che in questo non si vede alcuna novità né caratterizzazione: anche le giunte Andreotti, o Bazzanella, o Malossini, stanziavano generosi fondi nel settore (e forse così farebbe una Malossini 2 sostenuta dal centro-destra). Quindi, in assenza di ulteriori interventi caratterizzanti (che non siano gli acquisti di edifici - naturalmente da costruttori ammanicati come il solito Tosolini - per improbabili "poli tecnologici"); o di svolte in situazioni in difficoltà (come l’Istituto Agrario di San Michele, colpevolmente lasciato languire nel suo recente declino); e in presenza invece dei suddetti interventi nei carrozzoni pseudo-tecnologici, non ci sembra di poter accreditare questa giunta di un interesse strategico per istruzione e ricerca.

A questo va aggiunto il nullismo sul fronte delle riforme istituzionali (a costo zero nell’immediato, e invece un grande investimento per l’operatività del sistema Trentino): bloccata dalle lobby comprensoriali, in larga misura interne alla maggioranza, la legge su decentramento e riordino dei Comuni; neanche in fase di proposta la riforma della Regione, ente di cui sarà tanto se sarà solo inutile, e non scandaloso; in dolorosa e a questo punto improbabile fase di gestazione il nuovo Pup.

Nei rapporti con i vicini alpini: accordi furbescamente elettorali con la SVP, che ormai nutre un esplicito senso di superiorità nei confronti del vicino inaffidabile, inconcludente e pasticcione; con gli altri, a iniziare da Innsbruck, sporadiche passerelle. La mancanza di una strategia complessiva nel merito dei problemi (ambiente, trasporti, economia) si somma a un disinteresse verso una vera politica sovraregionale. Il Trentino è diventato un po’ più solo.

Questo il bilancio di quattro anni di governo di centrosinistra. Annullata la strategia, la politica è ridotta a poca cosa. Qualche singolo provvedimento positivo di questo o quell’assessore non fa un governo; peraltro soprattutto impegnato in un continuo rincorrere di clientele, lobby, poltrone. E così il Trentino ha perso un’altra legislatura: dopo quelle del presidente corrotto e ricettatore, del Bazzanulla, del presidente "sughero" Andreotti. La lunga transizione post-democristiana non finisce mai.

Quali sono oggi le alternative?

Nel sistema pur rozzamente bipolare come il nostro, l’alternativa dovrebbe essere il centro-destra. Ma ahimé, pur con tutta la buona volontà, non si vede in quel campo alcun disegno compiuto. La costante è l’avversione verso le istanze ambientaliste (a parte gli esponenti storici di AN, genuinamente ambientalisti) in nome di qualsiasi cosa, anche se assistito, si proclami "per lo sviluppo": Jumela, PiRuBi, Interporto, aeroporto (inceneritore no, quello è troppo anche per loro). Ma tutto questo, che potrebbe essere una consapevole seppur rozza acquisizione del modello Nord Est, mal si sposa con la battaglia contro le privatizzazioni (Informatica Trentina e Apt), con quella a favore dei carrozzoni comprensoriali, e mille altre questioni in cui sembra esserci una sola linea: siamo contro Dellai perché, nei rapporti con le lobby, vogliamo sostituirci a lui.

L’altra alternativa è nello stesso centro-sinistra; al cui interno da tempo è maturato il disagio prima, l’opposizione poi, verso un governo che vaga in una direzione che nulla ha a che spartire con le ispirazioni originali. Si cerca così di dar vita - attorno all’associazione "Costruire Comunità" - all’Ulivo dei cittadini, contrapposto all’Ulivo dei segretari dedito alle spartizioni delle poltrone. Con l’idea che per vincere, ma soprattutto per dare al Trentino un governo all’altezza della situazione, occorra innanzitutto fare piazza pulita della burocracsia (L'Ulivo dei cittadini contro l'Ulivo dei segretari).

"Costruire Comunità" è radicatissima nell’ambientalismo e può rappresentare una fetta consistente della sinistra. Può anche aggregare parti significative del mondo popolare, sia quelle più idealiste che quelle squisitamente democristiane, allergiche al pragmatismo affarista e/o alla concentrazione di poteri del dellaismo.

Però finora "Costruire Comunità" non ha affrontato quello che secondo noi è il nodo vero: come orientare la politica economica.

E qui ritorniamo alla società trentina, che in questi anni, anche sul fronte economico-sociale, ha conseguito risultati interessanti: pensiamo alla concertazione a tre (sindacati, imprese, istituzioni), all’individuazione attraverso i Patti dello Sviluppo di un percorso di modernizzazione dell’economia locale. Anche qui, in massima parte solo teoria: alla prova dei fatti i Patti territoriali sono stati quasi tutti strumenti lobbistici per far passare operazioni dirompenti e assistite.

E allora veniamo, dopo le ridotte dimensioni, al secondo punto di debolezza del Trentino: il suo basarsi, in tanti settori, su un’imprenditoria adusa a un assistenzialismo economico ormai condannato dalle regole europee, dalla competizione globale, dalla contrazione delle risorse pubbliche.

Quanto ampi sono questi settori? Non sappiamo. Di sicuro pesano, proprio per la loro connaturata contiguità con il potere politico. Non è un caso che, al di là dei generici bla bla su "competitività" e "gusto del rischio" negli anniversari confindustriali, il mondo imprenditoriale organizzato sia omertoso; di più, si senta rappresentante anche della propria parte assistita.

Un esempio? Il mancato dibattito sulle privatizzazioni. Il fatto che si ritenga pacifico che il Trentino debba, per mantenere autonomia e identità, violare le leggi europee sugli appalti, mantenere vecchi e nuovi impianti societari parapubblici (vedi Autostrada ed ente per l’Energia). Con un consenso generale e aprioristico sulla coincidenza Autonomia uguale carrozzone; invece di quello Autonomia uguale contesto di regole e condizioni favorevoli entro cui agiscono le imprese.

In questo quadro il piccolo Trentino può solo indebolirsi. E perdere benessere e identità.

La popolazione, magari confusamente, questo lo percepisce. Richiede progetti e cambiamento. Le si propongono nuove formule e nuove scatole: Casa dei Trentini, Unità dei Riformisti, Sinistra Conciliare, Associazione di Iniziativa Civica. Vedremo se ci sarà chi questo immenso vuoto è in grado di riempirlo.