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QT n. 19, 9 novembre 2002 Servizi

Un conto è vincere, un altro è convincere

I sondaggi premiano Dellai, ma l’esperienza di governo del centro-sinistra conquista a malapena la sufficienza. Perché?

Che lettura dare del sondaggio pubblicato all’inizio di ottobre dal quotidiano l’Adige?

Oltre il 40 per cento degli elettori si dice già pienamente convinto, ad un anno dalle elezioni, di volere Dellai come presidente della Provincia anche nella prossima legislatura. Se non si tenesse conto degli indecisi, la percentuale salirebbe addirittura al 60 per cento. Si tratta di un consenso così ampio da aver messo immediatamente a tacere, nel centro-sinistra, ogni contestazione sulla scelta del leader e finanche ogni tentativo di sottoporre Dellai ad una verifica interna.

E’ ben vero che queste percentuali potrebbero cambiare, e anche di molto, se si fosse in presenza di una candidatura alternativa, che non c’era quando il sondaggio è stato commissionato e che ancor oggi è del tutto aleatoria. Tuttavia, il 60 per cento di gradimento costituisce una base di partenza solidissima per affrontare la lunga marcia verso l’elezione diretta del presidente della Provincia, nel novembre del prossimo anno.

Eppure, nonostante un tale successo di consensi, Dellai e la sua giunta sono promossi dall’opinione pubblica - stando sempre ai risultati del sondaggio - con una risicatissima sufficienza. In pagella prendono appena un "sei meno". Come si spiega questa apparente contraddizione?

A nostro giudizio, l’opinione pubblica ha percepito che questa Giunta ha saputo gestire in maniera dignitosa l’ordinaria amministrazione. Nelle impellenze quotidiane, imprenditori, sindacati, sindaci e associazioni devono ammettere che il Trentino, pur tra alti e bassi, funziona. Inoltre, questa Giunta di centro-sinistra è formata, quanto meno nelle sue figure di vertice, da persone perbene, politicamente moderate, dai toni educati e pacati, che sanno tenere discorsi pubblici di qualità senza incorrere in figuracce. Tutto questo è già molto, se raffrontato col periodo precedente, quello dell’apoteosi del provincialismo ruspante dei vari Tretter e Fedel.

Oltre tutto, va detto che la Casa delle Libertà non è stata in grado, in questi anni, di rappresentare agli occhi dell’opinione pubblica una credibile alternativa di governo. I consiglieri provinciali del centro-destra si sono distinti soprattutto per aver praticato un ostruzionismo irresponsabile su ogni provvedimento, un comportamento percepito come dannoso anche dai loro stessi elettori. Spesso hanno alzato la bandiera del nazionalismo, cadendo nell’errore di confondere l’opposizione a Dellai con la guerra all’autonomia del Trentino, allontanandosi così dal sentire profondo dell’opinione pubblica provinciale. Le battaglie contro gli immigrati, condotte con toni spesso razzisti, hanno fatto loro alienare le simpatie di quell’elettorato tradizionalmente più vicino al centro-destra, come i piccoli imprenditori, che del lavoro degli immigrati hanno assolutamente bisogno. Sul piano della proposta, il centro-destra non è stato in grado di avanzare quasi nulla di significativo, nulla che fosse capace di intercettare le speranze di cambiamento e di modernizzazione di questa provincia, ed ha piuttosto indugiato sulla demagogia e sul populismo, peraltro facilmente smascherabili: ad esempio, anziché denunciare la logica clientelare con la quale si può leggere la politica dei contributi a pioggia di Mamma Provincia alle imprese private, il centrodestra ha tentato, senza riuscirci, di intercettare quel consenso proponendo più contributi, senza spiegarne né l’efficacia né la sostenibilità.

Infine, se è vero che il centro-sinistra trentino è apparso spesso diviso e litigioso al proprio interno, lo spettacolo offerto dal centro-destra su questo versante è stato, ove possibile, ancor più inverecondo: nel centro-sinistra gli scontri interni hanno quanto meno avuto una parvenza politica, nel centro-destra sono apparsi come dettati soltanto da rivalità e rancori personali.

Il sondaggio ha rivelato che la logica del bipolarismo è ormai entrata nel sentire comune della stragrande maggioranza degli elettori: non v’è dunque da sorprendersi se, in presenza di queste due alternative, Dellai ed il centro-sinistra raccolgono consensi a man bassa.

Eppure, il voto in pagella, per questi primi quattro anni di governo, è deludente. E’ un po’ come se il favore per il centro-sinistra sia dettato da una logica - pur responsabile - del meno peggio, che non dall’entusiasmo per un governo che ha convinto. Cosa è mancato?

A nostro parere, la Giunta Dellai non è riuscita ad offrire l’impressione di saper guidare il Trentino verso il futuro. In questa legislatura non si è respirato quel clima di cambiamento e di modernizzazione che aveva caratterizzato, per fare due esempi, il periodo della Giunta Andreotti-Alessandrini della scorsa legislatura o quello di Romano Prodi a Palazzo Chigi. Salvo quella riguardante il sistema elettorale (peraltro quasi imposta da Roma), le riforme fissate nel programma elettorale del 1998 sono rimaste ferme al palo. E se da un lato è vero che la paralisi legislativa del Consiglio provinciale non ha aiutato, dall’altro lato è vero anche che questa maggioranza provinciale non si è dimostrata sufficientemente unita, convinta e decisa nel marciare sulla strada del cambiamento.

Sulla politica economica si va avanti sugli stessi binari del passato, quelli degli aiuti diretti alle imprese che, se possono aiutare le singole aziende, si rivelano dannosi per il sistema economico complessivo, tanto che ormai anche gli stessi imprenditori cominciano a rendersene finalmente conto. La riforma istituzionale, finalizzata a cancellare l’enorme spreco di risorse pubbliche di quegli inutili carrozzoni che sono ormai diventati i Comprensori, ma soprattutto per creare quegli ambiti di valle che potrebbero rappresentare una valida alternativa al centralismo provinciale, è rimasta ferma nelle secche della Commissione legislativa, nonostante quella riforma sia ritenuta da oltre dieci anni indispensabile ed improcrastinabile per mettere fine al triste spettacolo dei sindaci col cappello in mano. Sulla scuola, la sanità e l’assistenza, fatto salvo il tentativo di anticipare la (peraltro discutibile) riforma Moratti, non si sono visti segnali di grande innovazione. La riforma del Piano urbanistico è stata rinviata a data da destinarsi, visto che dopo quattro anni non si è ancora riusciti a condurre in porto neppure la più modesta variante. Per quanto riguarda appalti, energia ed Autobrennero, questa Giunta non sembra avere tra le mani una risposta convincente per affrontare i vincoli fissati dalle normative europee. Sulla riforma dello Statuto di autonomia, necessaria per porre fine all’indecoroso spettacolo dell’ente regionale e per rilanciare la collaborazione fra Trento e Bolzano, si è deciso che è meglio lasciar perdere ed aspettare tempi migliori. Anche le grandi questioni che hanno diviso l’opinione pubblica e rischiato di spaccare il governo, come la Pi.Ru.Bi. e l’aeroporto di Mattarello (o anche la proliferazione dissennata degli impianti di risalita), si sono rivelate poco più che controproducenti esercizi teorici. Più in generale, il Trentino appare ancora una provincia poco dinamica, con scarsa concorrenza tra le imprese e troppo legata all’assistenzialismo pubblico, e questa Giunta non ha saputo più di tanto indicare una strada credibile e condivisa per superare queste difficoltà.

Un po’ alla volta, vuoi per necessità, vuoi per scarso impeto riformatore, la coalizione ha dirottato la propria originaria natura: dall’idea secondo cui l’autonomia è un’occasione preziosa per anticipare i cambiamenti e per porsi all’avanguardia rispetto alle altre regioni, si è ripiegato sull’idea che essa serva per sottrarsi alle spinte modernizzatrici che arrivano dall’esterno, dall’integrazione europea e dai processi di globalizzazione economica.

Pensiamo a quale fu il clima della campagna elettorale del 1998: proprio la Margherita di Dellai, in contrapposizione con la stagione di governo del Patt, si era presentata agli elettori come la forza della modernizzazione, dell’apertura, del dinamismo, suscitando speranze di cambiamento e raccogliendo vasti consensi proprio nei settori più avanzati dell’elettorato. Oggi, quasi a sancire il ripiegamento su una linea politica più modesta, conservatrice e tradizionalista, si dà vita alla Casa dei trentini (nomen/omen), che sin dal nome richiama l’idea che il Trentino si debba unire in una sorta di partito di appartenenza per difendersi dalle minacce esterne.

Perché si è giunti a questo esito? La nostra opinione è che in questa legislatura sia mancato il ruolo della sinistra. Chi conosce Dellai sa infatti che il riformismo non fa parte della sua cultura politica, non lo appassiona, non ne sente la preoccupazione. E’ senz’altro abilissimo ad intercettare gli umori dell’opinione pubblica, a costruire alleanze, ad inventare sempre nuove e vincenti formule politiche, ma sul piano del governo dimostra tutti i suoi limiti. E’ inutile quindi attendersi che sia Dellai, di sua iniziativa, a farsi portatore di una politica riformatrice (ma chissà).

E chi se non la sinistra, i Ds, avrebbe potuto svolgere questo compito, essere davvero il motore dell’Ulivo? Ed invece, la sinistra in questa legislatura, anziché apparire come la forza più moderna della coalizione, quella capace di trainarla verso le riforme e di spronarla costantemente al cambiamento (come era stato nella scorsa legislatura nella Giunta Andreotti-Alessandrini), è apparsa per lo più come una forza nostalgica, appiattita su posizioni di nicchia, che sta al governo più per presidiare il proprio elettorato e per smorzare la linea di Dellai che non per contribuirvi con le proprie idee. E a questo esito si è arrivati un po’ per la linea politica rappresentata dalla compagine consiliare dei Ds, un po’ per la mancanza di coraggio nel portare avanti, nella contrattazione in seno alla coalizione, la linea riformista.

Tramontata la possibilità di aggirare il filtro dei partiti creando un rapporto diretto tra il centro-sinistra ed i cittadini (ad esempio con le primarie), e scartata l’ipotesi di un’avventura solitaria che condannerebbe chiunque a non contare nulla all’opposizione, non resta che sperare che all’interno del centro-sinistra rinasca un soggetto che trascini la coalizione verso le istanze di cambiamento.

Altrimenti, anche la prossima legislatura si rivelerà uguale a questa. Con un centro-sinistra capace di vincere, ma non di convincere.