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QT n. 22, 21 dicembre 2002 Servizi

Una mostra per l’identità del museo

Il percorso della mostra inaugurale del Mart: attraverso i suoi quadri e l’arte di un secolo.

Ci sarà un momento per guardarsi e godersi questa vasta mostra "Le stanze dell’arte. Figure e immagini del XX secolo", che durerà fino al 13 aprile 2003, fuori dal clima di comprensibile euforia collettiva dei primissimi giorni, clima da varo di un bastimento straordinario sul quale vogliamo salire tutti, subito. Ma intanto proviamo a dire già oggi alcune impressioni.

Giorgio Morandi, “Natura morta” (1953-4).

Chiamata al compito di valorizzare le raccolte del Mart, ma al tempo stesso di cucire una traversata senza troppe fratture attraverso l’arte del secolo, la mostra ci offre un percorso dotato di ben precisi accenti. Nonostante la vastità, evita di inoltrarsi lì dove non può, proponendosi come uno dei percorsi possibili. In altre parole, come il tentativo di affrontare il tema cruciale dell’identità culturale del Mart, partendo dalla considerazione che le raccolte del museo derivano in parte (è il caso del lascito di Fortunato Depero) dal territorio di appartenenza, e per un’altra parte da altri luoghi. "L’identità culturale - scrive Gabriella Belli - che deriva da una collezione permanente può avere un duplice effetto: consolida la tradizione se appartiene al luogo stesso dove il museo opera, investe invece di cambiamenti del territorio, aprendo nuove possibilità di ridefinizione del ruolo culturale e della sua stessa identità, se proviene dall’esterno".

Mart, il giorno dell'inaugurazione.

Ciò che la mostra sembra voler dimostrare, al riguardo, è da una lato che queste due direzioni possono e debbono interagire, dall’altro che la collezione permanente del Mart, nel suo complesso, va messa in relazione, posta a confronto col più vasto patrimonio artistico.

Su tali premesse, appare naturale il rilievo dedicato ai futurismi, al plurale: la sezione forse più approfondita del percorso, articolata in ben nove piste di indagine. Depero viene contestualizzato, in rapporto ai futuristi delle origini (Balla, Boccioni, Carrà), ma poi alle ricerche, meno conosciute, dei futuristi russi (Exter, Goncharova e gli altri), e a quelle di Picasso e soprattutto di Léger.

Poi si trattava di mettere a fuoco le tendenze in qualche modo di reazione ai miti futuristi della velocità, della macchina, del geometrico, e in particolare il contesto in cui collocare un cantore del "candore arcaico" - come qui viene chiamato - nato dalle nostre parti, quel Tullio Garbari che si vede qui affiancato ai più grandi delle ricerche primitiviste, affascinati dalla semplicità delle origini: Rousseau il Doganiere, Campigli, Severini, lo stesso Carrà (sua l’opera "Le figlie di Lot" pervenuta come prezioso, recente deposito al Mart), per non dire di Picasso, Brancusi, Klee, ma anche delle consonanze con un pittore d’oltreoceano come Diego Rivera. Queste stanze lasciano un segno forte nella nostra memoria, non meno dei percorsi della metafisica e del mito mediterraneo cui sono dedicate le stanze contigue (con pezzi da novanta come De Chirico e Matisse, per dire) su su fino agli altri, meno lievi, "ritorni all’ordine".

Arriviamo, così, a Melotti, un grande di cui il Mart possiede (proprie o in deposito) numerose opere di primissimo livello, dove è interessante il rapporto, suggerito nel percorso, da un lato con lo spirito "musicale" che ispirava anche Kandinsky, dall’altro con il silenzio, il lirismo della successiva stanza di Morandi.

Tuttavia, è chiaro che non si trattava di creare un conte- sto solo a certi campioni dell’arte della nostra terra, ma di stabilire un più vasto quadro di relazioni per opere possedute dal Mart, che qui possiamo riscoprire o scoprire per la prima volta: ovviamente le statue in gesso di Melotti (i Sette Savi), l’eccezionale raccolta dei Morandi (dal 1928 al 1960) della Collezione Giovanardi che non finisce di stupirci, ma anche il fondo Feininger (sia proprietà che deposito) e, per la seconda parte del secolo, un ragguardevole complesso di opere, che non avevano fin qui uno spazio per essere esposte, talora di grande impatto come l’igloo di Merz (1983); il "Senza titolo" di Kounellis del ’91, parete di lastre in ferro che trasmette, come nota Lea Vergine, una misura classica, cioè armonia, a dispetto della povertà dei materiali; l’imponente feltro di Robert Morris (1996) (deposito, Collezione Ileana Sonnabend); l’ellisse di porfido realizzata da Long per la mostra di Trento del 2000.

Tra la prima e la seconda metà del secolo, ma soprattutto dai Sessanta, nasce e si propaga un cambio radicale del linguaggio artistico (Pop, New dada, Nouveau Réalisme, Arte Povera...) che attinge alle rivoluzioni delle avanguardie ma produce una trasformazione su larga scala degli stessi mezzi espressivi. Ne abbiamo percezione immediata anche nell’allestimento della mostra, con una convincente dimostrazione della possibilità di questi spazi di essere modulati e adattati ai nuovi linguaggi.

Carlo Carrà, “Le figlie di Loth” (1919).

Molti dei maggiori nomi dell’arte degli ultimi 40 anni - rinunciamo all’elenco - sono qui degnamente rappresentati, su su fino alle tendenze americane degli anni ’80 e ’90, con opere proprie e depositate.

Fare l’inventario di quello che manca e che dovrebbe esserci, sarà necessario. Ma qui va invece soprattutto sottolineato il fatto positivo - strategicamente positivo - che la mostra attesta: il grado di credibilità che il Mart è riuscito a ottenere sul piano internazionale presso chi detiene le opere. Un fatto che, a questo punto, diventa quasi più importante del patrimonio suo proprio, dimostrato non solo dalla presenza, già adesso, di alcune preziose collezioni in deposito lungo (Giovanardi, Panza di Biumo, Fondazione di Francoforte, Ileana Sonnabend), ma si sostanzia in una articolata serie di forme di prestito di più o meno lungo periodo da parte di eredi, fondazioni, collezionisti privati (così è per opere di Feininger, Melotti, Kandinsky, Vedova, e molti altri) e prestiti da musei di mezzo mondo arrivati al nuovo Mart per questa mostra inaugurale. E’, di per sè, un "patrimonio", destinato ad autoincrementarsi. A questo punto, il vero settore di investimento strategico del Mart - di cui si nota la consapevolezza nel numero e nella qualità degli esperti coinvolti per la redazione del catalogo - è quello delle risorse umane.