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QT n. 10, 21 maggio 2005 Cover story

La casa è ancora un diritto?

La trasformazione dell’Itea in Spa: le - condivisibili - premesse, e gli approdi, discutibili quando non allarmanti. Una riforma che non affronta i nodi veri (le aree e il contrasto alla rendita) e rischia di aumentare l’insicurezza sociale.

Riteniamo che le foto di queste pagine documentino con chiarezza lo sconcerto, l’ansia, la paura del futuro che stanno vivendo gli inquilini (novemila!) delle case popolari. La manifestazione di fine aprile davanti alla sede della Provincia, pur se non vastissima (alcune centinaia di persone), rappresentava un timore e una rabbia sociale che non vedevamo da anni.

Gli inquilini Itea durante la manifestazione del 29 aprile scorso.

A nostro avviso fanno male quegli esponenti politici che minimizzano la questione riducendola a frutto della propaganda di arruffapopoli o, peggio, come disagio di una porzione marginale della popolazione. Ed hanno fatto male i sindacati a rispondere tardi e con sbandate paurose.

La questione Itea, ossia il diritto alla casa, è importante di per sé; ed è inoltre il primo banco di prova di come si intendono affrontare, in un periodo di risorse calanti, i nuovi disagi sociali, senza alimentare timori e far perdere sicurezze. In una parola, senza attentare alla coesione sociale.

Volantino elettorale della Margherita di Riva del Garda,

Di quanto la posta sia delicata, ce lo dimostra la stessa Margherita, che a Piazza Dante promuove la contestatissima riforma; e a Riva, in campagna elettorale (vedi volantino qui riprodotto) si sbraccia con inattendibili ma perentorie rassicurazioni. E peraltro, come diciamo nell’articolo successivo, proprio i risultati elettorali, ad una lettura attenta, ci indicano il serpeggiare di insicurezze sociali che sarebbe disastroso sottovalutare.

Vediamola quindi questa riforma dell’Itea, con trasformazione in spa, che tanto allarme sta suscitando. Parte da una premessa assolutamente condivisibile: nella situazione attuale la politica pubblica della casa è profondamente inadeguata, e al suo interno l’Istituto per l’Edilizia Abitativa deve ridefinire obiettivi e modalità di intervento.

Ricordiamo come in Trentino (come del resto in Italia, ma con più risorse, quindi con più efficacia) la politica della casa abbia teso soprattutto a creare nuovi proprietari, attraverso sostegni pubblici agli acquisti dei privati. Questo ha portato a un’amplissima maggioranza delle case di proprietà (72%, che sale a 74% in provincia). Ma ad una parallela esiguità dell’edilizia pubblica: 5% in Italia, tra il 7 e l’8% in Trentino, contro il 15% della media europea. E chi non è abbastanza povero per le case pubbliche, ma non abbastanza ricco per comperarsi la casa, che fa? Si arrangia, è la cosiddetta "area grigia" che va in affitto.

In questi ultimi anni le cose sono peggiorate. Gli immobili visti come beni rifugio (magari da lasciare sfitti), la nuova mobilità sociale (trasferimenti, immigrazione) e familiare (single, divorziati) hanno incrementato la domanda di alloggi, e conseguentemente i loro prezzi (non calmierati, come altrove in Europa, proprio dall’edilizia pubblica, da noi troppo poco incisiva, quando non ridotta addirittura a sostegno del mercato, attraverso gli acquisti dell’invenduto).

Risultato? L’area grigia fatica a pagare affitti sempre più alti, e per di più si allarga, meno persone possono accedere all’acquisto.

Contemporaneamente, e qui ci riferiamo in particolare al Trentino, l’Itea risponde abbastanza bene ai bisogni dell’"area nera": 600 alloggi all’anno, contro 900 domande, e i 300 che restano fuori rientrano l’anno successivo. "Ma è un’area sempre più nera: per ottenere l’alloggio bisogna avere 30 punti in graduatoria, bisogna cioè versare in situazione di particolare gravità sociale - afferma Antonio Rapanà, della Cgil - Con il che è cambiata la finalità dell’Istituto: una volta dava una casa ai lavoratori, ora questi si devono arrangiare".

Attenzione: è a parte (ne parliamo specificamente nell’articolo Stranieri in Trentino) la questione immigrati, che accedono a una graduatoria separata "e possono inoltrare domanda solo dopo tre anni di residenza: una serie di ostacoli inaccettabili - commenta Rapanà - Ora io mi rendo conto dei pericoli di contrapposizione, di guerra tra poveri, su un bene scarso come la casa. Ma proprio questo sottolinea l’inadeguatezza dell’attuale politica".

E’ in questa situazione che la Giunta Dellai (assessore competente Marta Dalmaso) presenta un disegno di legge per trasformare l’Itea in società per azioni..

Prima di vedere in concreto la riforma, diamo atto al presidente della Giunta del coraggio di affrontare le situazioni prima che diventino emergenza. Nessuno lo obbligava a riformare un istituto che si barcamena: prendere di petto la situazione, rischiando lo scontento, è un merito.

Vediamo ora la logica di questa riforma ideata, dal punto di vista tecnico, dal prof. Gianfranco Cerea, già responsabile (ampiamente remunerato e altrettanto contestato) del progetto della previdenza regionale e della sua discussa gestione (noi, da inguaribili moralisti, fummo tra quelli che storsero il naso quando il professore, per la sua carica al vertice di Pensplan, si autoassegnò uno stipendio di un paio di centinaia di milioni: "Ma all’ente ne ho fatti guadagnare molti di più" - ci rispose, ed erano gli anni della finanza grassa. Non ci risulta che abbia restituito alcunché, né che si sia ridotto lo stipendio quando, negli ultimi anni di magra, l’istituto ha perso miliardi).

I punti della riforma sono: nuovo sistema di calcolo dei canoni; più mobilità negli alloggi; "valorizzazione" del patrimonio, cioè utilizzo della "finanza innovativa". Il tutto dovrebbe permettere all’Itea di avere la disponibilità di più appartamenti, pur in presenza di minori, o addirittura nulli, esborsi da parte della Provincia.

Sono state queste premesse che hanno fatto scattare fra gli inquilini l’allarme rosso: "Non è che adesso le nuove case Itea le dobbiamo pagare noi?"

Vediamo i vari punti.

I canoni. Oggi l’inquilino paga una percentuale (crescente in base al reddito) di un cosidetto "canone oggettivo", legato cioè al valore dell’appartamento. Con la riforma il canone non è più legato al valore dell’appartamento, ma al reddito dell’inquilino (determinato secondo modalità più realistiche), di cui è una percentuale considerata "sostenibile" (e quindi progressiva).

Il nuovo metodo è in teoria più razionale; anzi, decisamente comunista (secondo il principio "a ciascuno secondo i suoi bisogni, da ciascuno secondo le sue possibilità"); non solo: prevede che, in caso di incrementi di reddito (o decrementi di carico familiare, cose molto frequenti) l’inquilino paghi progressivamente di più (il che è giusto) fino a quote superiori, anche di molto, ai prezzi di mercato (il che è molto discutibile).

Il punto non è tanto il meccanismo, bensì le quantità: che percentuale del reddito è da considerarsi "sostenibile"? "Le tabelle di Cerea ipotizzano, per due persone con reddito lordo di 26.936 euro, un canone di 7.954 euro annui - risponde Rapanà - Aggiungendo le spese condominiali, è metà del reddito netto che se ne va nella casa: la coppia dovrebbe vivere con 10.000 euro all’anno. E’ questa la sostenibilità?"

Il fatto è che, nelle premesse della riforma, si ipotizza di passare dagli attuali 9 milioni di canoni (insufficienti a coprire le spese di manutenzione, poco più alte, 10 milioni) a ben 40 milioni. "Queste premesse, di fatto, non sono state ritirate" - aggiunge Rapanà. E la riforma affida la determinazione della percentuale di reddito ritenuta sostenibile al regolamento: ma questo è il cuore della riforma, il nodo politico; dove l’Istituto reperisce i fondi, a quali bisogni, a quali strati della popolazione deve andare incontro.

Collegata al canone è la mobilità degli alloggi. Oggi una famiglia, quando accede ad un alloggio Itea, vi si radica, e nei fatti, attraverso vari espedienti, vi resta anche se cambiano le condizioni familiari o di reddito, pagando canoni più elevati, ma sempre inferiori a quelli di mercato. La riforma vuole avere la disponibilità di questi alloggi: come abbiamo visto, essa prevede canoni che vadano oltre il mercato, per indurre gli inquilini abbienti ad andarsene; e in ogni caso applica un contratto di 4 anni, rinnovabile per altri 4; dopo di che si entra nel limbo. "E invece dovrebbe essere chiaro che l’alloggio rimane per serie indefinite di 4 anni, finché lo stato di bisogno permane; non si può scherzare su questo - afferma Rapanà - E più in generale, il discorso della mobilità: non esistono solo i soldi, esistono altri valori cui la politica dovrebbe tenere, come le relazioni sociali, l’essere parte di una comunità".

In effetti non si capisce: se una famiglia intende rimanere in un quartiere, e paga all’Itea il salato e remunerativo affitto di mercato, perché mai l’ente pubblico dovrebbe mandarla via? I discorsi sulla comunità, lo stare assieme, ecc., sono solo storielle per le elezioni?

Tutto quanto poi confluisce nel punto fondante, e più oscuro, della riforma. L’Itea dovrebbe diventare Spa per "valorizzarsi": utilizzare cioè il valore degli immobili (500 milioni) come leva finanziaria, per poter effettuare gli investimenti, cioè poter costruire ancora (e venire incontro ai bisogni dell’"area grigia"). Gli esperti che abbiamo consultato storcono il naso: quando si prendono capitali in prestito, bisogna poi restituirli, gli investimenti devono essere redditizi, devono cioè ridare indietro (elementare, Watson!) l’intero capitale, maggiorato degli interessi. Ora è chiaro che questi soldi possono venire solo dagli affitti: per cui, se gli affitti attuali coprono a malapena i costi di manutenzione, per poter ricostituire il capitale investito devono essere di molto maggiorati.

Ed ecco che si torna a bomba, al quadruplicamento degli affitti, negato dai volantini elettorali della Margherita, ma previsto da Cerea.

Ecco quindi spiegata la paura, la rabbia degli inquilini. Contro cui è stata anche orchestrata una campagna a base di voci di assegnatari Itea furbacchioni, magari con la Ferrari in garage.

Silvano Largher del comitato spontaneo, mentre parla agli inquilini manifestanti davanti alla sede della Provincia.

"Precisiamo: nelle case Itea ci sono diverse tipologie di inquilini: a iniziare da quelli che l’appartamento lo hanno riscattato e la dichiarazione dei redditi non la presentano più; oltre alla Ferrari possono anche avere, se vogliono, la Porsche - risponde Silvano Largher, esponente del Comitato spontaneo - Poi è vero, ci sono situazioni fittizie. Noi diciamo di rafforzare l’ufficio controlli, ma questa legge finirà non con l’occuparsi della minoranza che non è in regola, ma col colpire la gente onesta che legittimamente occupa un alloggio".

Quello che viene contestato è poi il nuovo meccanismo di pagamento del canone: l’Itea non chiede più un canone ridotto, bensì pieno; è poi la Provincia che versa all’inquilino un "contributo di solidarietà". Il termine stesso, che evoca l’assistenza, ha fatto andare in bestia gli inquilini, ed è stata cambiato in "canone integrativo", ma anche la stessa idea di fondo, che l’inquilino debba aspettare il contributo provinciale, evoca fosche prospettive: e quando la Provincia non ha stanziamenti?

"Il fatto è che si sta passando dal diritto alla casa al diritto al sussidio - commenta Largher - E’ lo stravolgimento del concetto di edilizia popolare, la cancellazione di cento anni di storia".

Anche perché la riforma prevede un’integrazione del canone generalizzata, cioè concessa a tutti coloro che versano in determinate condizioni, indifferentemente dal fatto che abitino un alloggio pubblico o siano in affitto dal privato.

In linea di principio la cosa è ineccepibile: a parità di situazione, parità di trattamento; e in Germania è uno strumento largamente utilizzato. Ma lì la rendita immobiliare è meno opprimente, mentre da noi i contributi agli affitti si tradurrebbero in un aumento degli stessi, in un ennesimo travaso dalle casse pubbliche alle tasche dei redditieri, come puntualmente succede a Bolzano.

E gli inquilini temono che ancora una volta a rimetterci siano loro. Afferma Largher: "La Dalmaso, se ha 50 milioni annui per la casa, intende distribuirli anche su chi, in lista d’attesa, vive in alloggi privati. ‘Oltre ai 9.000 inquilini Itea ci sono i 6.000 in lista d’attesa’ - ci dice. Vuole che siamo noi a pagargli l’affitto". Ecco quindi che la lista d’attesa dell’Itea non diventa un problema della fiscalità generale, dei 470.000 abitanti della provincia, ma dei 9.000 affittuari Itea.

E’ in questo contesto che negli inquilini è maturata la profonda avversione alla "privatizzazione", ossia al passaggio dell’Itea a Spa. "Noi non ci fidiamo. Non abbiamo capito: perché la fanno? - insiste Largher.

"Abbiamo avuto un confronto con la Cgil nazionale e lombarda (dove è già operante un’analoga riforma, n.d.r.) e con il Sunia, e abbiamo attivato consulenze di docenti universitari. - risponde Rapanà - Le conclusioni sono unanimi: se il capitale della Spa rimane in mano pubblica (e su questo abbiamo chiesto garanzie legislative) la politica abitativa continua ad essere elaborata dall’ente pubblico, la Spa è solo uno strumento operativo".

La si farebbe per la maggior agilità di intervento ("Anche se in queste scelte si sconta una regressione ideologica, per cui il pubblico è sempre lento, e il privato efficiente"), per la possibilità di reperire finanziamenti, per una chiarezza nella contabilizzazione.

Chiariamo quest’ultimo punto, molto rilevante. All’Itea oggi si chiedono interventi economicamente sballati ma socialmente utili: ad esempio, recuperare in un paese un vecchio caseificio, o costruire, oltre agli alloggi, tutta l’urbanizzazione secondaria, dal campo di calcio alla scuola, al verde; alla Spa questo non lo si potrà più chiedere; o se lo si chiede, lo si dovrà contabilizzare e pagare a parte.

Si può quindi andare verso una maggior chiarezza; oppure verso la rinuncia alla parte sociale dell’intervento pubblico. Tendenza, quest’ultima, amaramente già in atto. Quando l’Itea continua a comperare gli invenduti degli speculatori, anche quando sono alloggi affastellati in un condominiaccio come il mitico "mostro" roveretano di viale Trento, alla sua funzione urbanistica, di architettura sociale (oltre che di calmieratore dei prezzi) ha già rinunciato.

E questo è il punto più rilevante, clamorosamente ignorato dalla "riforma": l’urbanistica. "Il problema di questi anni è che i Comuni non forniscono aree per l’edilizia pubblica - accusa Rapanà - E la riforma su questo non dice niente. Come non dice niente sugli strumenti per affrontare l’area grigia, che poi sarebbero la finalità della riforma stessa".

E allora? Come finirà? Nel sindacato, vista la riforma, si sono confrontate due linee: buttiamo il fascicolo nel fuoco e scendiamo in piazza con i Comitati; andiamo a vedere il gioco di Dellai, per chiarire se l’obiettivo è davvero ampliare all’area grigia le politiche abitative, o invece è ridimensionare l’intervento pubblico.

Ha prevalso la seconda linea, che ha posto una serie di condizioni (controllo pubblico della Spa; determinazione certa delle risorse che la Pat intende investire nella casa; fissazione di una serie di garanzie nella legge stessa, da non demandare quindi alla variabilità dei regolamenti).

Queste condizioni sono poi state presentate al governo provinciale, che nicchia. E al suo interno ai Ds, che hanno assicurato che sull’argomento si impegneranno.

Intanto gli inquilini sono nel panico. Al punto che anche dei settantenni, per sfuggire all’oscuro domani della Spa, chiedono a gran voce il riscatto dell’appartamento; il che è un non senso per loro, e un non senso - come tutti i riscatti - per la politica abitativa.

Forse si è fatta troppa confusione.