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Perché il Tar ha bocciato la PiRuBi

Dagli anni ‘70 del secolo scorso il progetto autostradale di congiungere Trento con Vicenza e con Rovigo è sempre stato avversato per la sua inutilità e per la portata devastante sul paesaggio e sull’ambiente. Trent’anni fa gli stessi sostenitori politici di questa infrastruttura (Piccoli, Rumor e Bisaglia), di fronte alle motivazioni dei numerosi oppositori, rinunciavano alla realizzazione, con l’eccezione di un breve tratto di 36,4 km., da Torri di Quartesolo a Piovene Rocchette (Vicenza).

Nel 2001 la società titolare della concessione riesumava la proposta, per il tronco di prolungamento verso la provincia di Rovigo, ma il Ministero per i Beni Culturali esprimeva valutazioni contrarie che venivano recepite dalla Commissione VIA statale con un parere interlocutorio negativo, tanto che la società concessionaria (Autostrada Brescia-Verona-Vicenza-Padova SPA) ritirava il progetto.

Mentre proseguiva e tuttora prosegue lo scontro politico in Trentino circa il completamento Piovene Rocchette-Trento, nel luglio 2002, mutata la composizione della Commissione VIA statale, con un atto del Governo Berlusconi che sarà annullato dal TAR Lazio (con sentenze confermate dal Consiglio di Stato), la concessionaria della A-31, presentava un’altra proposta contenente poche modifiche e lo stesso tracciato dell’anno precedente.

A seguito del deposito del progetto si rinnovavano le opposizioni, a cominciare da quelle delle competenti Soprintendenze e della Direzione generale per il paesaggio del Ministero per i Beni culturali. Tuttavia la Commissione Statale VIA, nel dicembre 2002, esprimeva parere di compatibilità ambientale dell’opera incorrendo in una serie impressionante di violazioni delle regole procedurali.

Dato il contrasto di posizioni tra la Commissione VIA e i Beni Culturali, la questione veniva avocata al Consiglio dei Ministri e il Governo si pronunciava con una deliberazione priva di motivazione che veniva seguita da un DPCM del 16.5.2003 che pronunciava la compatibilità ambientale con prescrizioni, consentendo al Ministero delle Infrastrutture di autorizzare (sia pure illegittimamente per vizio procedurale) la realizzazione del tratto Vicenza-Rovigo.

Contro gli atti del Presidente del Consiglio e del Ministro furono depositati al TAR del Veneto dei ricorsi per conto di numerosi privati titolari di aziende agricole e allevamenti, proprietari di ville venete, associazioni ambientalistiche, ecc. Con sentenza del 12.5.2005 n. 2234/05, chiara e ampiamente motivata, il TAR del Veneto accoglieva sei motivi di impugnazione e annullava i provvedimenti impugnati.

In merito alla vicenda il TAR osserva anzitutto che "la difesa della Società autostradale affaccia l’idea che la scelta di realizzare l’opera sia in definitiva scelta politica... nei confronti della quale non è data possibilità di contrasto e di reale tutela giudiziale". Ma "la volontà espressa dall’organo di vertice chiamato a comporre gli opposti interessi non è confortata da considerazioni in ordine all’indispensabilità o utilità dell’opera. Non si evincono né dagli scritti difensivi, né dagli atti, dati e considerazioni circa l’urgente necessità di realizzare il collegamento in questione. In sostanza è mancata un’adeguata comparazione dei contrastanti interessi connessi alla realizzazione dell’opera: da un lato le motivazioni che hanno spinto all’approvazione della stessa e dall’altra le opposizioni, soprattutto di ordine ambientale che hanno determinato anche la posizione contraria del Ministero dei Beni Culturali.

"Il Consiglio - si legge nel verbale di seduta - preso atto delle dichiarazioni rese dai Ministri Matteoli e Urbani, delibera che debba avere corso il completamento del tratto autostradale A31". Il TAR puntualmente osserva che,"stante il tenore delle osservazioni critiche, occorreva un minimum di motivazione diretta a superare le stesse. Invece non è stata indicata una qualche giustificazione della scelta finale. Nel successivo DPCM si afferma che ‘la necessità di realizzare l’opera sia prevalente rispetto agli svantaggi di carattere paesaggistico’ . Ma la pura affermazione della necessità di realizzare l’opera si pone come un’asserzione pressoché arbitraria..., che non dà conto del perché della affermata prevalenza di un interesse sull’altro."

Già da tali considerazioni emerge una mancanza di volontà di approfondimento da parte degli organi coinvolti nel procedimento. Sintomatica di questa scarsa considerazione alla riflessione analitica è pure la patologica accelerazione che traspare nell’iter del procedimento di VIA con l’intento di concluderlo in tempi stretti, in modo spesso sbrigativo. E questo modo di procedere ha consentito ai ricorrenti, come era naturale, di formulare fondate censure di "lapalissiana evidenza" (così nella sentenza) relative a vizi di eccesso di potere e di violazione delle normative attinenti al procedimento di VIA statale.

L’anomala fretta traspare, ad esempio, nella seduta della Commissione Statale VIA del 19.12.2002 durante la quale veniva espresso parere positivo di compatibilità ambientale, mentre il parere negativo sull’opera assunto dal Ministero per i Beni Culturali non veniva neppure esaminato. Un parere così importante doveva invece essere esaminato e valutato con la dovuta attenzione, e questa esigenza di approfondimento aveva indotto taluni componenti della commissione a richiedere un rinvio e, in seguito al rigetto di tale istanza, molti commissari (quasi un terzo) si erano poi astenuti con la motivazione di non essere stati posti nelle condizioni di vagliare la documentazione, e di avere comunque colto significative carenze istruttorie.

In conclusione meritano di essere brevemente ricordati gli altri motivi di impugnazione ritenuti fondati dal Tribunale. Col primo si è individuata una violazione della normativa che disciplina le pronunce di compatibilità ambientale statale. In sostanza la pronuncia doveva essere complessiva e cioè avvenire non esclusivamente in relazione al tronco autostradale più volte menzionato, ma con riguardo all’intero tracciato dell’autostrada Rovigo -Vicenza-Trento.

Altra violazione riguarda il DPCM 27.12.1988, il quale prevede che le osservazioni presentate nel corso del procedimento di VIA debbano essere "considerate" nell’atto definitivo. Orbene una tale valutazione nel DPCM 16.5.2003 è assente.

Un ultimo accenno va fatto al motivo di impugnazione per vizi dedotti in via autonoma riguardanti il DM 277/2004 del Ministero delle Infrastrutture e l’atto ad esso presupposto cioè le determinazioni assunte dalla Conferenza dei servizi. In sintesi, la normativa di riferimento per le opere pubbliche di interesse nazionale prevede che lo Stato, d’intesa con la Regione interessata, deve accertare la conformità dell’opera agli strumenti urbanistici e qualora questo esame dia esito negativo, deve essere convocata una conferenza dei servizi cui partecipano oltre alla Regione, i Comuni interessati e le altre amministrazioni dello Stato chiamate a dare pareri e autorizzazioni. Nel caso in cui la decisone di approvare i progetti sia stata adottata all’unanimità dalla conferenza di servizi, essa sostituisce tutti i provvedimenti concessori o autorizzatori statali o regionali; in caso contrario, occorre avviare una procedura differente, in cui alla proposta del Ministro segue la deliberazione del Consiglio dei Ministri e, sentita la commissione interparlamentare per le questioni regionali, il conclusivo decreto del Presidente della Repubblica. Il TAR evidenzia che la differenza tra le due sequenze procedimentali non è di mera forma: il fatto che doveva essere sentita la Commissione parlamentare (portando così in sede politica la questione), poteva indurre gli organi competenti a rimeditare attentamente sulla reale opportunità di realizzare un’opera così contestata.

In ultima analisi il percorso dell’Amministrazione si è connotato per carenze motivazionali gravi, assunte sulla base di istruttorie sommarie e di scorciatoie su questioni di estrema importanza e delicatezza e che non ammettono quindi soluzioni sbrigative o impreparazioni.