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La cultura alternativa esiste anche in Trentino

Tirature 06. Milano, Il Saggiatore, 2006. Gigi Zoppello, La notte della Sloi. Trento, Obliquamente, 2005. Michela Marelli e Andrea Brunello, Sloi machine. Trento, UCT, 2005.

Sul numero del 2006 dell’annuario letterario/editoriale "Tirature: autori, editori, pubblico" (promosso addirittura dalla Fondazione Arnoldo e Alberto Mondatori - quando si dice "contraddizioni nel campo avverso"!) compare una lunga intervista a Goffredo Fofi, per chi non lo conoscesse un critico cinematografico e letterario che da 40 anni è uno dei padri (forse bisognerebbe dire ora nonni: classe 1937) della cultura sinistrorso-radicale italiana, fondatore di riviste fondamentali come i leggendari Quaderni Piacentini o Linea d’ombra. E come sempre Fofi le spara grosse, ma così grosse che è difficile per chi bazzica librerie, festival, teatri e musei non dargli ragione.

Il ragionamento di Fofi parte dalla letteratura, sull’ambiente della quale trancia subito giudizi senza appello: "I problemi sono i nuovi meccanismi di produzione del libro e il tipo di lettore che è venuto fuori. Da questo punto di vista, il progetto democratico della cultura di massa non ha funzionato, giacché ha prodotto un pubblico d’automi manipolati e istupiditi dai meccanismi del potere e del consumo. La cultura è ormai una branca dello spettacolo, l’arte non conta più. Quello che contano sono gli eventi. Siccome gli scrittori non hanno più nulla da dire, si sono trasformati in intrattenitori. Vanno in pubblico davanti alle folle dei festival. Intrattengono e divertono, con la convinzione di far passare chissà quali grandi messaggi. In realtà, sono solo l’esempio della cultura del divertimento e del non pensiero".

Un po’ più avanti sembra che attenui un attimo la portata delle sue sparate, ma è solo apparenza: "Questo di per sé non sarebbe negativo, se non ci fosse il contesto generale di sfacelo culturale in cui ci troviamo. Non a caso i pochi libri belli pubblicati dall’editoria, grande o piccola che sia, sono subito neutralizzati dal contesto che tutto stritola, appiattisce e annulla. Un contesto dove i libri sono solo merci".

Poi Fofi la mette giù pesante sulla missione dell’arte, sulle maggioranze non più silenziose e sulle minoranze, che devono saper tornare ad una funzione profetica, quasi sciamanica, e sembra di sentir risuonare i versi degli anni ’50 di Allen Gisberg: "Il poeta è un sacerdote/ il dollaro è la misura dell’animo americano".

Ma torniamo alle parole di Fofi: "L’arte – dice nell’intervista - ha solo il dovere di dire quelle cose che non si riescono a dire in tutti gli altri modi, altri modi che purtroppo hanno ormai prevalso… sempre di più l’arte è minoranza, mentre la maggioranza è solo consumo, merce e dominio della banalità. Per questo è tanto difficile trovare la novità che stupisce e sconvolge, aiutandoci a capire meglio i problemi nascosti, le angosce, i dolori e le follie di un’epoca".

Leggendo queste cose dal Trentino, viene il dubbio che Fofi non centri proprio il bersaglio. Infatti, qui da noi, la cultura non è quasi mai una "merce" nel senso letterale, perché i conti dei maggiori editori, dei festival, dei teatri e dei musei, quasi mai tornano secondo una logica puramente mercantile, contabile, dato che interviene spesso (anche se sempre meno spesso) qualche contributo provinciale a riassestare i bilanci. Il "bacino d’utenza" del Trentino, 400.000 abitanti tradizionalmente poco propensi all’acquisto di merci culturali (anche se, nelle zone urbane, sempre più propensi), ha fatto sì che un "sistema culturale" modernamente inteso si sia potuto sviluppare, a partire dagli anni ’80, solo con un intervento pubblico che si è inserito là dove, per l’insufficienza numerica del bacino d’utenza, i conti non potevano tornare. Ma, e qui l’analisi di Fofi può rientrare dalla porta dopo esser stata fatta uscire dalla finesta, questo ha creato attorno agli eventi culturali solo un altro mercato, quello del consenso politico. Qui da noi, oltre ai problemi di mercificazione contro cui Fofi punta il suo indice accusatorio, ce ne sono altri paralleli che riguardano il processo di – chiamiamolo così – assessorializzazione della cultura. Il fatto cioè che oltre a dover rispondere a problemi economico-commerciali, qui da noi la cultura deve anche rispondere alle attese di ritorno in consenso politico (forse basterebbe dire elettorale) di chi ci mette quel "qualcosa in più" che fa sì che i conti tornino.

Ho parlato di "cultura asessorile" (una volta c’era la cultura di corte, ora quella d’assessorato), ma naturalmente ci sono anche altri soggetti "paganti" nel campo culturale trentino, come per esempio gli istituti bancari. Ma credo che possiamo fare di ogni erba un fascio, perché anche nel caso di enti erogatori formalmente autonomi dai vari assessorati - provinciali o comunali - quello che entra in gioco è sempre lo stesso ceto politico provinciale, ampiamente presente negli organismi che decidono la politica dei contributi. Insomma qui da noi i mercati che si muovono attorno alla cultura sono due invece di uno – quello economico e quello del consenso politico - ma questo non fa altro che aggravare, o almeno lascia irrisolto, il problema dell’autonomia artistico-culturale. La possibilità cioè, per artisti ed intellettuali vari, di cercare "la cosa giusta" senza doversi preoccupare di altre logiche che quelle specifiche della ricerca scientifica e della verità artistica.

Goffredo Fofi

Il vecchio militante Goffredo Fofi, pur se un po’ demoralizzato (così sembrerebbe dall’intervista), non rinuncia comunque ad indicare vie alternative per una cultura critica, capace di mettere in moto davvero una sua specifica forma di conoscenza: "La mia speranza – dichiara nell’intervista – è nella piccola editoria. Un’editoria necessariamente minoritaria e marginale, che sappia cercare opere originali, magari sbagliando, ma sempre evitando d’inseguire i gusti del pubblico di massa. Purtroppo anche l’editoria, grande o piccola che sia, di solito non sopporta chi è minoritario…E invece oggi, in questo contesto dominato dai disastri della cultura di massa, la minoranza ha un valore in sé. Il problema delle minoranze è che devono agguerrirsi contro le maggioranze, anche a costo di ritirarsi nelle catacombe e tornare ai samizdat".

Mi è venuta in mente questa intervista, letta qualche mese fa, assistendo alla presentazione-reading del volumetto di Gigi Zoppello "La notte della SLOI", giovedì 8, presso la libreria Blulibri di Rovereto, che con i suoi blu-incontri sta diventando il prezioso salotto letterario della città della quercia, aperto anche a libri che, come questo, non si possono leggere senza pensare.

Il testo è indubbiamente uno di quelli che ci aiutano "a capire meglio i problemi nascosti, le angosce, i dolori e le follie di un’epoca". Racconta una tragedia rimossa della città di Trento, ma non solo, visto che la prima volta che ha smosso i suoi veleni, con l’alluvione del 1966, questi sono finiti non si sa dove, mescolandosi silenziosamente alle acque impazzite. E’ la storia della SLOI – fabbrica di piombo tetraetile, allora necessario antidetonante delle benzine - che, approdata a Trento nel 1938 in previsione delle esigenze della guerra che era già nell’aria, per 40 anni, giorno dopo giorno, ha silenziosamente avvelenato lavoratori, abitanti delle zone limitrofe, acque di passaggio nelle rogge sottostanti ed infine, massicciamente, tutto il terreno della zona a nord di Trento, facendone una bomba ambientale che a tutt’oggi nessuno sa come disinnescare. Fino a che nel 1978 un incidente non mise a rischio l’intera città, che finalmente si scosse, facendo chiudere la fabbrica. E rimuovendola dalla coscienza. Rimuovendo la terribile pericolosità dell’inquinamento del terreno delle zone di Trento-nord con sostanze fortissimamente cancerogene.

La continuazione della storia la possiamo seguire ora nelle pagine di cronaca, dove compaiono i tira-molla fra l’amministrazione civica, i medici, i magistrati, ed i padroni del terreno, che ora premono per poterci costruire sopra come se niente fosse, visto che appunto nessuno sa ancora come disinquinarli. Ma come antidoto alla rimozione dalla coscienza, abbiamo adesso questo prezioso libretto, nato – guarda caso – da una committenza "sociale" del tutto particolare. Nasce infatti dall’incontro del giornalista Zoppello, che ha vissuto questa storia - iniziata il giorno del suo esame di maturità - prima come cittadino di Trento e poi anche professionalmente come giornalista, con il gruppo studentesco che occupa la ex-SLOI nel settembre 2005 per una azione di denuncia. Invece di tirarne fuori una sola ricostruzione giornalistica, Zoppello prova per l’occasione ad usare "alla Fofi" la letteratura/realtà come tecnica per "dire quelle cose che non si riescono a dire in tutti gli altri modi", riuscendoci perfettamente. Nella narrazione vengono montate anche parti di documenti scientifici e relazioni amministrative, ma mescolate ai ricordi personali, alle storie di vita ed alla ricostruzione di quello "spirito del tempo" che ha permesso 40 anni di rimozione, che è la vera cosa indicibile di questa storia: più volte la narrazione si rivolge direttamente al lettore invitandolo a dimenticare il presente, e provare ad immaginarsi un tempo in cui non c’erano i telefonini, i computer, nulla si sapeva ancora del buco nell’ozono, e poco del recente disastro di Seveso.

E’ interessante notare anche come, sulla tragedia della SLOI, nell’inerzia delle istituzioni e nella rimozione dell’opinione pubblica trentina, si siano ritrovati la letteratura, con questo libretto di Zoppello, ma anche il teatro, con lo spettacolo “Sloi Machine" di Andrea Brunello, prodotto guarda caso dalla CGIL (altro caso di committenza sociale), che ha girato nella stagione 2005-2006 tutto il Trentino ed il cui testo è stato pubblicato da UCT, ed è dunque anche a disposizione di ogni lettore.