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QT n. 16, 30 settembre 2006 Servizi

30 secondi a passo Manghen

Una gita fantozziana. Ossia, un tentativo fallito di turismo di massa.

Domenica 25 giugno la "bolla africana" sdraiata sull’Italia toglie il fiato già a metà mattina e confina il fresco alle alte quote. Proposta dei soliti: a mezzogiorno su un bel prato ai 1.800 metri di passo Lavazè con panini, mortadella, birre e anguria da tener in fresco nel laghetto? Okay!

Saranno 70 chilometri sprecati: sul vasto pianoro e fino a passo Oclini, tra prati riservati all’alpeggio, altri con tanto di "privato" ed i pochi rimanenti già presidiati con plaid, tovaglie e tavolini, il fresco è già stato tutto privatizzato!

Passo Manghen

Controproposta: all’una ai duemila metri di passo Manghen? Altro okay! Giù a Molina di Fiemme, 33 gradi, e su dalla parte opposta per la val Cadino verso il passo: diciassette chilometri di strada erta e stretta, appena sufficiente per una macchina.

Il traffico ridotto viene univocamente equiparato a posto assicurato, magari un praticello con alberi e ruscelletto... In realtà, l’orogenesi locale non ha messo in conto spazi per simili soste per cui, tornante dopo tornante, non resta che andare avanti: si è mai vista una montagna di soli crozi? L’incontro con le poche auto in discesa dal Manghen impone ai guidatori, per proseguire, acrobazie col volante, ripiegamento dei retrovisori e reciproche indicazioni con le mani. Questo incrociarsi al millimetro, se prolungato, genera spesso imbarazzi: mentre i guidatori, infatti, manovrano concentratissimi, per i passeggeri è occasione per un balletto di rapidi sguardi: c’è chi guarda per vedere se è guardato o cosa gli stanno guardando, chi allunga un’occhiata generica, chi impone la propria indifferenza grattandosi il mento e chi scruta tutto con la coda dell’occhio. In ogni caso, ringraziamenti ed un dubbio: ma col caldo giù in valle, "quelli lì" non staranno sbagliando direzione?

Dubbio subito screditato da un magnifico panorama di cime - Monte Croce 2490 e Brustolini 2.108 - di fitte abetaie, grandi chiazze rosa di rododendro e gialle di botton d’oro, di ruscelli e cascate del Cadino, il rio di fondovalle.

L’altitudine abbassa il termometro e fa aumentare a bordo strada i cicloamatori, in genere sulla quarantina, in pausa, i più accasciati sul manubrio, altri a terra: scambio di sguardi l’un l’altro, rispettivamente, beffardi e di compatimento. Di fatto, la salita del Manghen, un mito del Giro d’Italia, è nel Baedeker di ogni cicloturista e pare, nella loro considerazione, valga perfino il rischio di un infarto!

La salita prosegue in un tunnel di abeti tra cui il sole filtra a stento. Siamo sui 1.800 e l’aria, finalmente, pare fresca e fina. Sui prati circostanti, qui e là, mucche e capre come in un quadro di Segantini. Un’attrazione da dépliant per i turisti che s’intrufolano tra loro, le fotografano e si fanno fotografare, toccano, accarezzano, le spiegano ai propri bambini. Qualcuno, urbanizzato da troppe generazioni, mette un piede dove non dovrebbe, ma invece che ad imprecazioni si lascia andare ad un ghigno.

Alcuni chilometri ed auto in coda a passo d’uomo. Un quarto d’ora, cinque curve e trecento metri per intravederne il motivo: un brulichio di macchine, roulotte, moto, bici e pedoni ingorga, in un tutt’uno, strada e piazzale davanti al ristorante Manghen Hütte. Speculare la coda sull’altra corsia.

Il desiderio di un qualsiasi qualcosa di fresco si volatilizza per l’impossibilità di trovar posto all’auto, nemmeno nell’ampio parcheggio di servizio, stipato come piazzale Zuffo a San Giuseppe. Sui sentieri che si diramano dal ristorante verso alcuni cocuzzoli lì attorno, la gente si muove in colonna, proprio come le auto sulla strada.

Beh, non diamoci troppo pensiero, il passo è due tornanti sopra e su sarà ancora più fresco!

Altri dieci minuti in colonna, una leggera curva ed ecco, a meno di cento metri, il segnale di Passo Manghen, 2042 metri: spazio piano minimo, nessuna struttura ricettiva, niente alberi, sui prati scoscesi e sassosi l’erba appare ingiallita e dai finestrini, anziché fresco, entra aria arroventata da motori e lamiere. Qualsiasi superficie utilizzabile è lastricata di veicoli e persone, si tratti di un piccolo avvallamento, di un sasso piatto o di una piazzola per il doppio transito. Il via-vai di auto, gli zig zag di ciclisti e moto, i pedoni in ogni direzione, odore di grigliata, cani al guinzaglio ed il grande sfoggio di ombelichi e torsi nudi rimandano al déjà-vu di un viale Ceccarini di qualche località balneare a Ferragosto.

Improvvisamente una brusca frenata e tutti fermi: 4-5 auto avanti, un fuoristrada sta manovrando di traverso alla carreggiata in un arrogante tentativo di andarsene.

Marcia indietro, sterzata, marcia avanti, rabbioso colpo di clacson, contro sterzata e sgomma via. Ancora a bocca aperta per la buona sorte, l’automobilista bloccato di brutto quasi gli fa una riverenza e lesto ne occupa il posto. Peccato, quattro macchine avanti e sarebbe toccato a noi!

Sparsa sui pendii attorno al passo, la più varia umanità: genitori impegnati a riprendere, con videocamere hi-tech, figli nel free-climbing di un masso; signore occupate, a mezza costa, a spalmarsi l’un l’altra creme e spray antisole; tifosi - è tempo di mondiali in Germania - indaffarati sotto un ombrellone ad orientare un’antenna TV; dall’alto di un sasso una ragazza in bikini gesticola, cellulare all’orecchio, dando indicazioni a qualcuno intrappolato nella calca del tornante sotto, per indicargli il modo di raggiungerla. Menzione per una signora con scarpette rosa, braghe da montagna, braccialetti a polsi e caviglie, occhiali alla Lina Wertmüller e cappello da serata mondana.

Le auto, una a ridosso all’altra su due colonne, avanzano e si fermano all’unisono con guidatori e passeggeri ad occhieggiare in ogni dove per scovare il loro posto al fresco. Ancora pochi metri, una trentina di secondi, forse quaranta, certo non un minuto, e la percezione di essere in discesa rende a tutti lampante la fregatura: il fresco del passo è già alle spalle!

Senza possibilità di sosta, la strada verso la Valsugana si snoda dentro un vasto squarcio nella montagna rivestito di abeti, prati, alcune stalle, qualche baita e turisti ovunque sia fisicamente possibile. Ne incrociamo uno diretto a piedi al passo.

Passerebbe per un camminatore se non fosse per l’abbigliamento da città: si tratta semplicemente di un automobilista rassegnato, dopo 3-4 transiti a vuoto sul passo, a parcheggiare più in basso. Curva dopo curva, dai finestrini entra aria sempre più calda finché, nella conca di una Telve deserta, riecco i 35 gradi lasciati al mattino in città. Nessuno azzarda altre proposte, meglio dar fiato al climatizzatore e via per Trento.

Consuntivo della giornata: 24 litri di gasolio trasformati in 800 di ossido di carbonio sparsi per quattro valli, la mortadella immangiabile per il caldo, l’anguria ammaccata a suon di curve, le birre da rimettere in frigo e, addosso, un’avvolgente sensazione di caccia fantozziana al fresco.

Pensiero finale: fanno turismo 3–4 ettari di escursionisti a bivacco attorno a passo Manghen? Certo che no! Più opportuno limitarli con pedaggi ai passi, accessi contingentati o obbligo di usare i pulmini delle APT? Un turismo elitario per chi ha tempo e denaro? Certo che no!

Quale autorità, infatti, potrebbe fantasticarsi così legittimata da negare, magari in nome del turismo di qualità, a qualche migliaio di persone, quelle di passo Manghen e di tutti gli altri posti al fresco, il beneficio di venir a tirare il fiato in quota dopo un’intera settimana al caldo soffocante ed inquinato delle città di pianura?

Meglio far conto sulla cultura della gente, sulla sua capacità di intuire l’importanza dell’ambiente, di portarsi via le immondizie, di non disturbare gli animali né massacrare ogni stelo d’erba e fiori con plaid, tende, rampichini e scarponi.

All’ente pubblico il compito di rendere sempre più partecipate queste buone abitudini, magari impegnando i cittadini nel "porta a porta", in questi giorni di gran moda in Consiglio comunale.

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Commenti (1)

francesco

e perchè non plumini ecc. Per me i passi , tutti i passi dovrebbero essere solo di transito per i mezzi privati. Ci si dovrebbe solo salire in pulmann per poterci restatre o andare a camminare. Salvo ovviamente le bici che non inquinano e non occupano grande spazio in sosta. Poco liberale la proposta? Io credo che sia una necessità, per vivere decentemente la montagna: Certo, i mezzi pubblici dovrebbero essere molto frequenti e comodi...ma lo potrebbero essere, perchè la collettività risparmierebbe sui costi pazzeschi ed insostenibili dell'inquinamento:
Trovo estrememente intelligenti le domeniche con i quqttro asi del sella ronda chiusi: Si potrebbero fare tutte le domeniche d'estate, fatti salvi i pullman
Francesco Lazzaretto
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