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Poltrone, luminarie e disagi

Dalle contese etniche sulle nomine pubbliche ai 300.000 euro per illuminare il mercatino di Natale.

Nomine agli alti vertici di imprese ed enti pubblici: in Sudtirolo giornali e politici la considerano la questione essenziale del momento. Un discorso che non suscita molto interesse nel popolo: come si sa, le poltrone non sono deliberate in base alle competenze, ma secondo le regole di spartizione partitiche e i nominati fanno l’interesse dei mandanti più che quello del bene comune.

Così ai vertici di enti, cosiddetti privati ma di fatto finanziati dal denaro del contribuente, vanno a finire i non eletti o gli eletti bisognosi di integrazione economica, i protetti dal potere e dalle amicizie o i concorrenti-avversari alle cariche interne al partito. Niente a che fare con l’intenzione originale di introdurre una sorta di controllo da parte dei rappresentanti del popolo nelle imprese di sua proprietà.

La faccenda viene complicata dall’aggiungersi della mentalità della proporzionale etnica. Meraviglia che non siano i nazionalisti per definizione, ma proprio il centro sinistra al potere, che di recente alza la voce per richiedere posti nel sottogoverno, ufficialmente per gli italiani, in realtà per i componenti della propria consorteria. La “nobile” giustificazione addotta è che sarebbe un diritto degli italiani raggiungere i vertici di società pubbliche. E’ stata inventata anche l’espressione “sindrome del vice”, per spiegare che qui gli italiani arrivano solo al secondo gradino. Arnold Tribus ha scritto ironicamente sulla Tageszeitung di avere l’impressione che ci sia la diffusa convinzione che gli italiani siano tutti all’altezza di diventare presidenti e direttori, mentre i tedeschi sarebbero piuttosto tonti, e quindi di per sé occupino immeritatamente i posti di responsabilità che vengono loro attribuiti.

Faccio una parentesi: contrariamente al solito, uso solo il maschile, perché quando si parla di posti remunerati, non c’è modo di convincere i decisori che esistono donne competenti. E, si sa, non esistono proporzionali di genere.

Nessuno può mettere in dubbio che il partito di maggioranza assoluta la faccia da padrone: essendo un partito etnico, non ha alcun interesse ad affidare a mani “estranee” i centri del potere; ed essendo anche un partito corporativo, non ha disponibilità per altro che non siano i voraci ceti e gruppi interni. Se da parte del partito dominante l’avidità di potere è prepotente, dalla parte dei partiti di centro sinistra l’ingordigia di posti porta a un gioco assai pericoloso, che da un lato confonde legittimi diritti di cittadinanza con meschini interessi di bottega e dall’altro lato mostra il vuoto di progetto sostituito dalla lotta per la divisione della torta dell’autonomia, aprendo la via alle parole d’ordine della destra, legittimando con ciò la mentalità nazionalista dello scontro dei diritti.

Clamorosa l’ultima bagarre, ancora in corso, per affidare a un italiano (qualunque) il posto di direttore sanitario, per cui in ballo c’è una volta tanto un medico, primario di cardiologia, di lingua tedesca, di cui si sente parlare solo bene, e non dai politici ma dai suoi pazienti, italiani e tedeschi. La classe politica italiana, persa la corsa per fare dell’autonomia un valore comune, rinunciando ad affrontare il problema dell’insufficiente bilinguismo, della formazione, della conoscenza storica, riprende il vecchio vizio di atteggiarsi a vittima. Non si accorge che, anche quando l’assunto dell’inferiorità di un gruppo etnico corrispondesse a verità, per risolvere le situazioni di disparità non si può davvero ridurre il contenuto della politica al lamento. E a chi lo si rivolge? Chi ne ha il potere non ha alcuna intenzione di farlo. Si tratta quindi di un lamento mediatico, rivolto ai mass media, e volto a far capire al popolo che si prende sul serio lo scontento di carattere etnico.

E lo scontento di altro genere? La giunta comunale di centro sinistra del capoluogo, dopo avere annunciato tagli brutali nell’ambito culturale e sociale, annuncia una spesa di 300.000 euro per l’illuminazione del mercatino di natale.

In questo caso l’abbandono degli anziani soli e senza servizi, delle famiglie i cui figli rimangono esclusi dagli asili nido e dalle scuole per l’infanzia, non sarebbe un buon argomento per una politica in cerca di disagi? Invece quell’altro “disagio” è abbastanza ideologico da far sì che, appena ottenute un paio di poltrone in cui mettere compagni e parenti, ci si ritirerà in buon ordine e si accuserà eventualmente di nazionalismo lo stesso popolo aizzato.

Il deserto ideale e culturale della rappresentanza politica al potere sancisce clamorosamente la vittoria della politica della spartizione etnica, come e più di quanto la volessero i duri alla Zelger (“Più ci separeremo meglio ci capiremo”) negli anni Settanta e Ottanta. Ma senza mescolamento in una terra plurilingue non esistono né cultura né speranza di pace e sviluppo duraturi.

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