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Oggi beato, ieri condannato

Il Rosmini di cui non si parla.

Sandro Canestrini

Pubblichiamo questo intervento di Sandro Canestrini, una rilettura del libro più noto di Antonio Rosmini, "Delle cinque piaghe della Santa Chiesa", in relazione alla sua beatificazione.

E’ in atto oggi la riabilitazione del filosofo roveretano ed il 18 novembre 2007 sarà celebrata la sua beatificazione. Per chiarire e per approfondire il discorso in proposito vorrei semplicemente scegliere alcune pagine dall’opera "Delle cinque piaghe della Santa Chiesa" del futuro Beato. Si tratta della sua opera più nota e più discussa, ricorda Alceo Valle, messa all’Indice per ragioni politiche nel 1849 e riabilitata un secolo più tardi. Faccio presente e sottolineo che tutte le citazioni sono testuali e provengono dall’opera di Rosmini.

Nel capitolo primo (Della piaga della mano sinistra della santa Chiesa, che è la divisione del popolo dal Clero nel pubblico culto) si legge:

"Egli è dunque necessario, o almeno è grandemente utile e conveniente, che il popolo possa intendere le voci della Chiesa nel culto pubblico, che sia istruito di ciò che si dice e si fa nel santo sacrificio, nell’amministrazione dei Sacramenti e in tutte le ecclesiastiche funzioni: e però l’essere il popolo pressoché diviso e separato d’intelligenza dalla Chiesa nel culto, è la prima delle piaghe aperte e sparte che grondano vivo sangue nel mistico corpo di Gesù Cristo".

"La scarsezza adunque di una vitale e piena istruzione data alla plebe cristiana (alla quale nuoce il pregiudizio gentilesco messosi in molti, che giovi tenerla in una mezza ignoranza, e che non sia atta alle più sublimi verità della cristiana Fede) è la prima cagione di quel muro di divisione che s’innalza fra lui e i ministri della Chiesa".

"Pure è ancora a dubitarsi assai, se il fanciullo il quale pronuncia a memoria le parole del catechismo, conosca di que’ misteri un tantino più dell’altro che mai non le ha udite".

Nel capitolo secondo (Della piaga della mano diritta della santa Chiesa, che è la insufficiente educazione del Clero) si legge:

"Anche i cherici nostri sono tali, quali sono i nostri fedeli. Perocché, comunemente parlando, non possono essere altrimenti, uscendo da cristiani i quali nelle sacre cerimonie non hanno forse mai inteso cosa alcuna, e vi sono intervenuti siccome stranieri spettatori presenti ad una scena, su cui non sanno ben chiaro che si tratti da’ Sacerdoti. (…) E molti hanno fors’anche considerato sempre il Clero come una parte privilegiata ed invidiabile, perché vive dei proventi dell’altare, come un ceto di superiori non diversi da ogni altra superiorità laicale (...). Indi quel detto sì comune che le cose di chiesa sono cose da preti".

"[Col secolo sesto si vide] gravarsi la Chiesa della soma de’ beni terreni, perdendo essa quella povertà preziosa che gli antichi Padri avevano tanto commendata; e venir eglino oppressi dalla mole delle cure secolaresche, che toglieva i loro animi dalla contemplazione delle divine cose, e rubava il loro tempo prezioso e le lor forze alla dispensazione della parola di Cristo a’ fedeli, all’educazione del Clero e all’assiduità delle pubbliche e private preghiere".

"Il Clero, che aveva cominciato con dolore e con lagrime a ravvolgersi fra gli affari temporali (...) cominciò ben presto, come è la condizione della umana natura, ad affezionarsi ad esse e nelle occupazioni sopravvenutegli, dimenticò a poco a poco i mansueti e spirituali costumi propri del governo pastorale; e apparò, ahi troppo bene! la ferocia e la materialità dei profani reggimenti…".

Forte è la critica di Rosmini alla costituzione dei Seminari. Acre è il commento su come furono inventati i catechismi per provvedere alla "nulla istruzione del popolo". Dura è la critica alla scolastica e ai teologi. E non dimentica di attaccare i concordati e l’esonero della Chiesa dalle imposte.

La disunione dei Vescovi, secondo Rosmini, è la terza piaga della Chiesa. Quando essi, dopo il periodo aureo delle origini, "furono circondati e quasi vallati dal potere temporale", mutò il loro rapporto con i comuni cristiani, ai quali si richiese, per trattare con i propri Vescovi, "un tributo di avvilimento perché di finzione e di menzogna". A un certo punto "non videro più i principi terreni e i grandi ne’ pingui vescovadi, che de’ mezzi di premiare de’ loro adulatori e de’ loro ministri, o pure collocamenti pe’ loro figliuoli cadetti o anche naturali". "La storia della Chiesa dimostra ancora, che i Vescovi venuti in possesso di signorie, furono inimicati fra loro, e implicati in fazioni, in guerre, in tutte le orribili discordie che hanno agitato i popoli de’ secoli interi, discordie atroci contro l’umanità…".

Ancora: "Perocché un Clero reso servo e adulator vile de’ principi, non è più un mediatore fra questi ed il popolo che lo rigetta (…). Il potere ecclesiastico è allora slogato; egli non istà più in mezzo al potere legale de’ Re e al potere morale de’ popoli; ma assorbito dal primo, non è più che il primo medesimo…".

Ancora più duro è il capitolo quarto, Della piaga del piede destro della santa Chiesa, che è la nomina dei Vescovi abbandonata al potere laicale.

"Ove il Vescovo ed il Sacerdote già non ritenga di pastore che il nome (…) non è difficile allora che il popolo si sottometta a ricevere con indifferenza qualsivoglia pastore gli s’imponga, ancor che egli non lo conosca, ovvero conoscendolo non ne abbia né stima né confidenza, anzi abbia verso di lui gli affetti contrari. (…) Ma l’esigere, e rendere il popolo indifferente ai propri pastori, non è il medesimo che renderlo indifferente a qualunque dottrina gli s’insegni, indifferente ad essere condotto per un’una o per un’altra via? (…) E che è questo se non l’aver fatto al popolo un obbligo di una irragionevole obbedienza, che è un sinonimo perfettissimo di indifferenza religiosa? Vero è che quando si è riusciti ad ottenere questo dal popolo cristiano, allora si è riuscito a pervertirlo, a distruggere nell’anima sua il cristianesimo lasciandolo solo nelle abitudini". Per Rosmini "salutarissimo rimedio ai nostri mali ed oso dire necessario" è "ritornare all’elezione dei Vescovi a Clero e popolo secondo l’antica consuetudine".

Per avere scritto queste cose il "prete roveretano" fu attaccato in modo drammatico. Egli si rendeva ben conto della sua difficile posizione. Scriveva in una lettera del 1848: "Ebbi purtroppo il dolore di sentire che taluno rimase scandalizzato da questa mia sentenza", cioè dalla sua affermazione che "l’intervento del popolo nelle vescovili elezioni" appartenesse al diritto divino. I suoi critici non si limitavano a dissentire: "Voi non sofferite che altri dissenta da voi in alcuna cosa nella quale la Chiesa non ha mai definito a vostro favore, e correte ad accusare me di eresia, d’errore, di temerità".

Milano. monumento ad Antonio Rosmini.

Il 15 agosto 1848 gli venne comunicato il decreto della Sacra Congregazione dell’Indice che lo accomunava a Vincenzo Gioberti e al Ventura e che definiva questi pensatori "un triumvirato di ecclesiastici traviati". Esso definiva il trattato di Rosmini "la piaga mortale che egli ha cercato di fare col suo velenosissimo opuscolo intitolato ‘Le cinque piaghe’". Incombe la tragica figura di fra Paolo Sarpi.

Rosmini fu attaccato a fondo dai conservatori. Contro le sue idee sul rinnovamento della Chiesa attraverso un nuovo modo di concepire il cattolicesimo si scagliò più tardi il Sillabo, l’ 8 dicembre 1864.

Certo, egli non vide il Sillabo, perché morto, come si sa, nel 1855, ma ci è facile immaginare la sofferenza che gli avrebbe causato questa ulteriore condanna. Oggi il relativismo della Chiesa riabilita il filosofo roveretano.

Vorrei concludere concordando con il biografo di Rosmini, Valle: "Rimane la sfiducia che la Santa Sede nutriva del laicato, perché la condanna dell’Indice non consente alla Chiesa oggi di riabilitare per intero il Rosmini nelle sue critiche ad istituti fondamentali ecclesiastici e soprattutto nell’ elezione diretta dei vescovi e dei parroci".

Anche oggi, come Rosmini scriveva più di un secolo fa, "molti dei nostri ecclesiastici non sono neppure in grado di intendere ciò che qui io dico e sono ben certo che malamente riceveranno queste mie stesse parole".

"Malamente", anche oggi: buona parte delle citazioni rosminiane sono ignote ai fedeli. La preparazione all’imminente beatificazione non le rende pubbliche e non vuole neanche farlo.