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QT n. 18, 27 ottobre 2007 Monitor

Arte underground ai tempi dell’URSS

Una mostra al Mart (da uno studio sulle 1400 opere del fondo Sandretti presso il museo) sull'arte giocoforza clandestina nella Russia sovietica dal 1950 in poi.

Nella patria del "realismo socialista", la fine di Stalin non fu priva di conseguenze per l’arte e gli artisti: pochi mesi dopo la sua scomparsa (1953), nel mutato clima del periodo noto con il nome di "disgelo", cominciò ad esempio a essere pubblicamente riconosciuta la grandezza degli impressionisti e post-impressionisti, che solo cinque anni prima erano additati come affetti da una forma di psicopatologia.

Ulo Ilmar Jochann Sooster, “Orsi” (senza data).

La mostra in corso al Mart ("Arte contro: ricerche dell’arte russa dal 1950 ad oggi", fino al 20 gennaio) ci dice però che la conquista della libertà creativa fu un percorso assai più impervio di quanto potevano far pensare quelle prime avvisaglie. Frutto dello studio condotto da Aleksandra Obukhova sulla vasta collezione (oltre 1400 opere) che Alberto Sandretti ha depositato al Mart nel 2003, l’esposizione dedica una premessa a qualche esempio della pittura ufficiale sovietica, l’arte di propaganda ideologica, e concentra poi l’attenzione soprattutto sulle varie forme dell’arte "non ufficiale" negli anni Sessanta (e Settanta), su quel vero e proprio movimento "underground" che riuscì a svilupparsi e a sopravvivere nonostante le drastiche misure di esclusione imposte dal regime.

Nel 1962 avvenne infatti un episodio che mise brutalmente fine alle apparenti aperture: Kruscev, in visita ad una mostra ufficiale nella quale era stato all’ultimo momento ritagliato un piccolo spazio ad alcuni giovani artisti innovatori, davanti alle loro opere di sapore espressionista o non figurativo, diede in escandescenze, minacciò di mandarli al confino (qualcuno c’era già stato, e glielo ricordò). Non furono arrestati, ma loro e tutti quelli che non aderivano ai principi dell’arte di stato furono privati della possibilità di esporre e di vendere. Fu l’inizio di un’arte svolta e diffusa clandestinamente.

Una delle opere che più mandarono in bestia il capo dell’Urss è proprio qui in mostra, è il piccolo bronzo di Ernst Neizvestnyi "Esplosione", del 1958: corpi violati di madre e bambino che sono un urlo antibellicista. Tuttavia, la maggior parte delle opere esposte non hanno un esplicito contenuto antagonistico, come il titolo "Arte contro" può indurre a pensare. Il loro carattere "non conformista" consiste proprio nell’andare in (molte) direzioni stilistiche e tematiche opposte a quelle del realismo socialista, dove la rivendicazione dell’individualità creativa comporta anche il bisogno di riallacciarsi alle grandi lezioni delle avanguardie della prima metà del secolo, rimaste escluse dalla cultura artistica per tutto il lungo periodo staliniano.

Boris Svesnikov, figura di grande rilievo, iniziò a disegnare di nascosto durante la detenzione in un gulag, e qui vediamo alcuni rari disegni di quel periodo, in cui figurano appena distinguibili dal paesaggio spettrali presenze umane, in una leggerezza stilistica che produce uno straniamento. I suoi quadri degli anni successivi sono visioni oniriche con aspetti grotteschi e fantastici, in un sofisticato linguaggio puntinista tendente al monocromo.

Artisti di valore prendono varie strade di allontanamento dal realismo. Alcuni scelgono quella dell’astrazione.Vladimir Nemuchin porta avanti una raffinata elaborazione attorno ai segni delle carte da gioco, capace di evocare un dramma esistenziale. Lidija Masterkova include nell’opera brandelli di stoffe, reperti di un passato religioso anche quello ridotto alla clandestinità.

La mostra individua e accosta gli autori di questo movimento underground per affinità di poetiche: vi sono stanze dedicate a quella che viene definita la "metafisica del quotidiano", in cui troviamo una lettura della realtà rovesciata rispetto a quella dello stile ufficiale (e qui sì, anche un Lenin dalla testa grossa alquanto antiretorico, di Evgenij Cubarov). Altri spazi dedicati alle tendenze espressioniste, pitture di gesto ma non prive di simbolismi inquietanti, come quel vortice di natura quasi aliena che sovrasta la piccola figura umana (Petr Belenok). Fino al gruppo di artisti che si insediano nel territorio del fiabesco e del surreale.

Julij Perevezencev, illustratore e acquafortista che non ha partecipato alle esperienze del sottosuolo, coltivava in privato un filone di grafica (qui in uno spazio distinto) che usciva dai canoni ufficiali, con derelitte figure di sapore dostoevskiano.

Per dare un’idea delle dimensioni del fenomeno dell’arte "non conformista" – ci spiega la curatrice Obukhova nel suo interessante saggio, ricco di informazioni alcune delle quali, anche di contesto politico, avrebbero mi pare utilmente potuto figurare nel percorso e non solo nel catalogo – si trattava di circa 50 persone, tra Mosca e Leningrado, nel corso degli anni Sessanta (a fronte di migliaia di artisti che erano sostanzialmente impiegati dello stato). Le loro opere, se trovavano un compratore, lo trovavano fra gli stranieri presenti per compiti istituzionali o per affari, come Alberto Sandretti. Di modo che la storia di questo movimento è stata scritta e viene via via completata soprattutto all’estero.

Con un salto temporale, la mostra presenta una sezione conclusiva sugli anni Novanta, un assaggio su quanto accade dopo la caduta dell’URSS, con opere del più diverso livello e orientamento, che mi pare poteva non essere incluso in questo percorso così centrato su una particolare epoca e vicenda dell’arte Russa, assegnandolo piuttosto ad altre indagini su linguaggi che ormai partecipano a pieno titolo alle ricerche internazionali.

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