Menù
Home
QT
Questotrentino
Mensile di informazione e approfondimento
Utente
Cerca

I costi della politica cent’anni fa

C’era una volta Cesare Battisti al consiglio comunale... Quando la politica, da hobby dei notabili, divenne professione.

Elena Tonezzer

Consiglio comunale di Trento, 23 novembre 1903: "Il consigliere Dr. Cesare Battisti chiede l’urgenza per la proposta di aumentare il soldo d’indennità al Podestà. E’ questo, egli dice, il momento più opportuno per trattare simile argomento. Essendo vacante la sede podestarile, non si può neppur aver sospetto che con tale proposta si manchi di riguardo verso le persone".

Alle orecchie del cittadino elettore del 2007 la proposta di un politico, per di più socialista e dunque ‘di sinistra’, che chiede di aumentare lo stipendio del podestà, suona un po’ male. Le reazioni dell’opinione pubblica sono sempre più infastidite dai lauti stipendi dei rappresentanti provinciali e parlamentari, e il successo di vendita del libro"La casta" dimostra la crescente insofferenza dei cittadini di fronte ai costi della politica italiana. Del resto la situazione descritta da Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella nel libro sembra giustificare lo sdegno nei confronti di una classe di politici di professione sempre più numerosa, costosa e spesso autoreferenziale.

Trento di inizio secolo: via Larga (oggi via Belenzani).

La situazione della politica nel 1903, al momento in cui Cesare Battisti prese la parola nel consiglio comunale della sua città, era molto diversa dall’attuale in Europa e anche a Trento, dove la gestione del potere dell’amministrazione comunale era saldamente nelle mani di un gruppo di persone poco numeroso, qualche decina, unite da rapporti di amicizia quando non familiari, e legate tra loro dalla comune appartenenza allo schieramento liberale. Si trattava per lo più di esponenti delle professioni più rappresentative del XIX secolo, commerciati, avvocati, industriali, in piccolissima parte da aristocratici, uomini di successo che impiegavano parte del loro tempo per dedicarsi alla vita della loro città. Non erano politici di professione in quel senso moderno e novecentesco del termine che gli studi di sociologi come Michels, Weber e Schumpeter avrebbero individuato di lì a pochi anni: erano dei notabili, cioè dei volontari che svolgevano funzioni pubbliche in modo onorario, ricompensati dalla considerazione che ottenevano in questo modo. La politica rientrava nei compiti del loro status sociale, né più né meno delle attività caritatevoli o dell’andare a teatro.

All’inizio del ‘900 la pratica politica stava per cambiare e il breve intervento di Battisti è lì a mostrarci, nelle pieghe dei verbali di quel consiglio comunale di Trento di cento anni fa, l’epocale mutamento che la politica stava per vivere in tutta Europa. Tra le condizioni che causarono la fine dell’epoca dei politici-notabili ci furono l’allargamento del corpo elettorale e dei diritti civili, l’aumento della scolarità media e il successo elettorale dei partiti di massa organizzati in strutture sempre più grandi e complesse. Non è un caso dunque che proprio Battisti, esponente di un partito moderno ed europeo come quello socialista, avvertisse la necessità di inserire un cambiamento nella vita comunale che andava nella direzione di aprire la strada ad una nuova figura di politico interamente dedito all’attività di propaganda e alla rappresentanza dei suoi elettori.

La nascita del politico di professione è stata antesignana di una democratizzazione del sistema politico, di un’apertura alla partecipazione aperta e egualitaria che si dischiudeva a tutti sia come cittadini elettori sia come cittadini eletti. Con l’allargamento del suffragio e l’abbandono di sistemi elettorali basati sul censo (che davano molto più peso al voto dei gruppi abbienti) anche le persone provenienti da famiglie non nobili o non benestanti poterono seguire i propri ideali politici e tentare di portare il loro contributo nei consigli comunali e nei parlamenti.

Il sistema elettorale che regolava il comune di Trento inquegli anni era su base censitaria. Questo significa che potevano votare solo i cittadini che, tra le altre condizioni, avessero superato anche una soglia di reddito ritenuta minima per esercitare questo diritto. Lo statuto di Trento risaliva negli aspetti più originali al 1851, ed era stato solo parzialmente modificato nella direzione di un allargamento della corpo elettorale nel 1888, quando gli elettori comunali erano passati da un 3% della popolazione registrata negli anni Sessanta dell’Ottocento, ad un 6% degli anni Novanta, fino a un 9,5% nel primo decennio del XX secolo, al momento dell’intervento di Battisti al consiglio. Anche se in costante crescita, si trattava di un corpo elettorale veramente piccolo rispetto al totale della popolazione.

Alcide Degasperi

L’incremento era dovuto a una serie di piccole modifiche apportate al regolamento elettorale, ma soprattutto ad una maggiore presenza di persone in grado di raggiungere i requisiti richiesti per l’ammissione al voto.

L’importanza del denaro non si limitava a fornire questa soglia di sbarramento e l’intero corpo elettorale era diviso in gruppi, chiamati corpi, ognuno dei quali eleggeva 12 rappresentanti: questo anche se il numero degli iscritti alle liste era molto diverso. Ad esempio, alle elezioni del 1914, i 3191 elettori del IV corpo elessero 12 rappresentanti esattamente fecero gli eletti del primo corpo, composto però solo da 374 elettori (i più ricchi della città)! E’ chiaro che gli interessi di questo gruppo di grandi possidenti erano sovrarappresentati rispetto a quelli del IV corpo, composto da piccoli e piccolissimi artigiani.

Grazie a questo sistema elettorale i liberali, espressione dell’élites borghese della città, governarono pressoché indisturbati Trento fino alla nascita del partito socialista e di quello cattolico, che andarono a disturbare questa situazione. Non stupisce che il podestà, che veniva eletto all’interno del consiglio comunale, fosse l’espressione più alta di questo gruppo sociale e in effetti i vari Tambosi, Oss-Mazzurana, Brugnara, Silli, erano anche uomini benestanti che si dedicavano alla cosa pubblica con l’atteggiamento dei padri di famiglia che spendono le loro capacità per il bene di tutti. Colti, laici, in alcuni casi anticlericali, filo-italiani, saggi, talvolta un po’ paternalisti, alle loro orecchie la proposta di Battisti doveva sembrare strana come alle nostre, ma per un motivo diverso. Nel 1903 era un’idea moderna, che intuiva la possibilità di avere al governo della città anche persone che non avrebbero potuto permettersi di dedicarsi alla politica come ad un hobby.

Le reazioni dei consiglieri che intervengono sembrano non considerare molto importante la proposta, e propongono di posticipare la decisione ad un tempo futuro e non meglio specificato. Francesco Tomasi si dichiara apertamente contrario, sostenendo "che la carica di podestà è transitoria e nessuno durante l’esercizio della stessa, anche se retribuito, potrà abbandonare i suoi affari o la sua professione", che "nella vita pubblica chi non adempie al proprio mandato per amore, non lo adempie neppure per i congiuntivi emolumenti".

Via Santa Trinità a Trento inizio secolo.

Due principi illuminanti rispetto al significato che si attribuiva alla pratica politica all’epoca; il primo sottolinea l’idea che l’autentica professione del podestà era e doveva rimanere diversa da quella politica, che non andava vissuta come una professione, e il secondo rimanda al principio che l’interesse per la vita pubblica non deve essere mosso da eventuali guadagni personali, ma piuttosto dall’amore (che si presume disinteressato).

Battisti risponde a Tomasi che lui "propone lo stipendio non col criterio che i futuri podestà lavoreranno perché pagati, ma perché, tolta la preoccupazione degli affari privati, possano lavorare con maggiore tranquillità". Una frase sibillina che può essere interpretata come un’allusione ai condizionamenti che gli ‘affari privati’ avrebbero potuto determinare anche sulle scelte politiche, benché a quell’epoca l’interesse privato nella conduzione di pubblici affari facesse parte di un codice di comportamento implicitamente correlato alla gestione notabilare dell’amministrazione e fosse considerato normale.

Ma Battisti era espressione di un partito socialista che si rivolgeva a cittadini spesso esclusi dal voto a causa del sistema elettorale, a persone che per dedicarsi alla politica rubavano il tempo alle attività che sostenevano i bisogni delle loro famiglie e forse invece pensava proprio a queste quando parlava di "preoccupazioni degli affari privati", o addirittura a se stesso, che investiva tutto quello che possedeva nell’attività di propaganda, nel giornale che dirigeva, e al quale un ‘gettone di presenza’ – per dirla come faremmo oggi – avrebbe fatto comodo.

Come Battisti, anche Alcide Degasperi, che sarebbe entrato nel consiglio comunale di Trento nel 1911 come esponente del partito cattolico, avrebbe avuto un atteggiamento professionale nei confronti della politica.

Vignetta apparsa sul “Trentino” del 13 maggio 1907. La didascalia recita: “Sfilano i nemici del partito popolare trentino dinanzi al popolo trentino, novello Minosse”.

Entrambi l’avevano studiata, vi si dedicavano interamente, dirigevano giornali di partito, scrivevano, erano continuamente in giro per i paesi dove si cimentavano in discorsi e contradditori, organizzavano le campagne elettorali, avevano rapporti con le organizzazioni dei lavoratori. Per questa generazione di attivisti la politica avrebbe riempito interamente la vita, non avrebbe lasciato spazio a molto altro, era il loro lavoro e per questo deve avrebbe dovuto anche sostenerli economicamente.

Francesco Gerloni, liberale e protagonista dell’associazionismo sportivo locale, chiuse la discussione del consiglio aderendo alla posizione di Battisti e aggiungendo addirittura che si sarebbe dovuto fissare un ‘soldo’ di rappresentanza anche al vice-podestà. Nonostante le perplessità iniziali, la proposta viene messa ai voti e accettata dalla maggioranza.

E’ fatta, potrebbe dire qualcuno, è l’inizio della finedei politici disinteressati e animati solo dalla volontà di contribuire alla res publica senza riceverne nulla in cambio. In realtà è anche l’inizio di una nuova fase della politica, che si dischiude a nuovi gruppi sociali che possono direttamente intervenire nella gestione delle decisioni e poter dire la loro liberi dai loro limiti economici.

Ma il rischio di passare dai politici di professione ai professionisti della politica è dietro l’angolo, e chissà, forse proprio immaginando quali avrebbero potuto essere gli effetti perversi della sua proposta, Cesare Battisti conclude il suo intervento sperando "che non si debba mai arrivare al punto di avere un podestà che accetta la carica per avere l’indennità".

Parole chiave:

Commenti (0)

Nessun commento.

Scrivi un commento

L'indirizzo e-mail non sarà pubblicato. Gli utenti registrati non devono inserire altre verifiche e possono modificare il proprio commento dopo averlo inserito.

Riporta il codice di 5 lettere minuscole scritto nell'immagine. Puoi generare un nuovo codice cliccando qui .

Attenzione: Questotrentino si riserva la facoltà di cancellare commenti inopportuni.