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QT n. 6, 21 marzo 2008 Servizi

Cgil: si cambia!

Il tentativo del maggior sindacato di aprirsi e radicarsi nel territorio. Motivazioni e prospettive di una non facile scommessa.

"In 15 anni è cambiato il mondo. Dobbiamo cambiare anche noi" ci dice Franco Ianeselli, della segreteria della Cgil. Immigrazione e globalizzazione, le imprese italiane che delocalizzano in Romania quando non in Vietnam, quelle cinesi che aprono in Italia… e poi ancora, l’aumento dell’età media, dinamite sotto i rapporti intergenerazionali, con i vecchi che non muoiono e magari vogliono ancora comandare; le flessibilità e le precarietà; il mercato metro di giudizio di tutto; le compatibilità ambientali, prossimo primo punto di riferimento, nell’industria del 2000, rivolta a un mercato di 4 miliardi di consumatori…

Ultimo congresso Cgil: il momento della votazione (foto Piero Cavagna).

Tutti temi nuovi, che un sindacato non può affrontare con le ricette vecchie. Quattordici anni fa c’era stata l’ultima Conferenza d’organizzazione della Cgil; più volte s’era detto che bisognava ridisegnare tutto daccapo, ma non se n’era fatto niente. Frattanto tutti fanno il tiro al piccione sul "sindacato conservatore", gli economisti che peraltro non ci azzeccano mai, i politici che sono messi molto peggio, a Trento perfino le Acli… Il fatto è che il problema è vero, e rimanere fermi l’avrebbe ulteriormente aggravato: "Anche stavolta temevamo che si rimandasse tutto per via della crisi di governo; ma guai se la nostra ottica rimanesse legata al contingente, alle scadenze elettorali. E così l’impegno lo si è mantenuto".

Intendiamoci, una "conferenza d’organizzazione" non è un congresso. E i temi cui abbiamo accennato, appunto perché epocali, avrebbero bisogno di risposte profondamente dibattute e meditate.

Ma d’altra parte un’organizzazione complessa, articolata, che opera nel vivo delle dinamiche sociali, non si definisce tanto per quello che dibatte, ma per quello che mette in pratica. I bei discorsi servono fino a un certo punto; quello che conta è come si traducono in fatti, attraverso il lavoro degli attivisti e della struttura.

A livello nazionale sono tre le parole d’ordine cigielline: territorio, rinnovamento, confederalità. La prima – territorio – mette in discussione la burocratizzazione della struttura nelle regioni più grandi, dove tutto è concentrato nelle sedi centrali, a scapito delle realtà più vicine ai luoghi di lavoro. Un decentramento servirebbe a sburocratizzare il personale, obiettivo sacrosanto.

Più legato alle nuove dinamiche sociali è il rinnovamento; che parte dalla constatazione della sottorappresentazione – nel sindacato come nella società - di tre categorie decisive: giovani, donne, immigrati. "Su donne e migranti il problema non è la loro adesione al sindacato – afferma Ianeselli – In particolare i migranti si iscrivono a frotte, proprio perché sono e si sentono deboli, il sindacato lo percepiscono come una struttura che può tutelarli. Il problema è che, a fronte di tanti iscritti, abbiamo pochi delegati (i rappresentanti sindacali eletti dai lavoratori, n.d.r.) e in Trentino due soli dirigenti, di cui uno è all’ufficio immigrati". E anche per le donne non va molto meglio: la quota rosa di 40% è sì prevista dallo statuto, ma non viene applicata. Insomma, è in gioco l’aderenza dell’organizzazione alla società: vedremo anche qui come si passerà dalle buone intenzioni ai fatti.

Infine la "confederalità", tipica espressione sindacalese: che però indica una cosa importante e sentita: la differenza, orgogliosamente rimarcata, dai sindacati "autonomi", con la preminenza dell’interesse generale, sintesi di tante categorie e di una visione complessiva, rispetto all’interesse corporativo del sindacatino: come quello degli assistenti di volo che blocca tutto e sfascia l’azienda. Il tema però non è semplice: su una materia di interesse generale (come la riforma delle pensioni o, in Trentino, l’Itea) la decisione della confederazione è vincolante per tutti? Perché sorge il caso dei metalmeccanici che sulla riforma pensionistica non sono d’accordo e remano contro? Dove sta l’equilibrio tra democrazia decentrata e unitarietà dell’azione?

"Vedremo come andrà la discussione – risponde Ianeselli – Comunque il punto vero non starà nelle regole statutarie, ma nei valori condivisi, quanto si crede alla necessità di un’organizzazione che sappia fare sintesi".

Questo il dibattito a livello nazionale. Importante, ma che a ben vedere non porta niente di realmente nuovo. Diverso il discorso in Trentino, e in positivo. Perché, pur in presenza di numeri confortanti, oltre 39.000 iscritti, in costante, progressiva crescita (vedi tabella), la Cgil si prepara a ripensarsi radicalmente. Si cambia non perché costretti, ma al contrario, sfruttando il momento positivo.

Il disegno è di dare concretezza, facendole incontrare, a due fumosità: le "territorialità" previste dalla Cgil nazionale da una parte, e dalla Giunta Dellai dall’altra: attraverso un’articolazione del sindacato per Camere del Lavoro in ogni Comunità di Valle. Con che scopo? Innanzitutto tutelare il cosiddetto "salario sociale", il concetto complessivo dei redditi da lavoro, da pensione, dei diritti di cittadinanza, che passano attraverso l’insieme delle politiche abitative, salute, trasporti, prezzi e tariffe, ecc. E poi promuovere lo sviluppo territoriale, con l’idea di una crescita economica legata alla sostenibilità ambientale e sociale.

Tutto questo parte da un presupposto: le Comunità di Valle. Fortemente volute dalla Margherita e altrettanto fortemente osteggiate dai sindacati, oltre che sbeffeggiate dagli studiosi.

"La riforma che le ha istituite non ci è per niente piaciuta – risponde Ianeselli – Però ora le Comunità di valle ci sono, e il tema è come ci si colloca rispetto ad esse. Noi intendiamo inserirci perché il sistema funzioni, e dia risposte ai lavoratori. Avranno competenze su welfare, urbanistica, sviluppo economico, dunque bisogna che non si riducano a meri apparati burocratico-amministrativi, ma siano luoghi di partecipazione civica. E questo sarà positivo sia per le Comunità che per il sindacato: è cosa ben diversa se, quando si arriva alla contrattazione, lo facciamo con qualcuno che viene da Trento, oppure che vive in loco, per di più sostenuto da un movimento partecipato".

La Cgil in provincia consta di una rete di 1.500 delegati, cui vanno aggiunti i 39.000 iscritti; più i militanti delle altre confederazioni con cui si dovrà assolutamente lavorare; più i cittadini coinvolgibili: "Si tratta di intelligenze e competenze diffuse, che bisogna attivare e cui offrire occasioni per esprimersi, per contare".

Proprio su questo coinvolgimento la Cgil conta per operare questa riorganizzazione con un ampliamento dell’attività ma senza aumenti di personale (tema a dire il vero paradossale – o innovativo? - per un sindacato…): "Si tratterà di decentrare gli operatori. E di avvalersi meglio dei delegati, oggi utilizzati solo in quanto lavoratori di quella fabbrica, e non in quanto cittadini".

Il punto critico, ma al contempo entusiasmante, sarà il mettere assieme mentalità e interessi diversi: "Noi abbiamo la maestra dell’asilo nido, e al contempo l’operaio che porta il figlio da quella maestra, della quale magari non è contento. Finchè li raduniamo per categorie, maestre con maestre, operai con operai, va tutto liscio; ma se li facciamo lavorare su temi comuni assieme, nasce la dialettica, che può essere anche conflittuale". Ma questa è l’essenza della democrazia.

"Ci tengo poi a precisare: anche se noi partissimo per primi, non deve essere né apparire una cosa nostra: sarà fondamentale il rapporto con Cisl e Uil. Come pure coinvolgere le associazioni, a iniziare da quelle imprenditoriali. E i soggetti sociali, ambientalisti, ecc".

Come si vede una riorganizzazione radicale (significherà spostare persone e ridefinirne i compiti) legata a un progetto di grande portata con grandi ambizioni: tutelare meglio i lavoratori, e ridisegnare lo sviluppo all’insegna della sostenibilità. Cosa di non poco conto.

Anche per questo (ma anche per gli aspetti più strettamente tecnico-sindacali) è centrale il ruolo della formazione. Altro leit-motiv, sempre sbandierato in tutti i convegni e congressi, politici, sindacali, di associazione. "L’argomento non si può lasciarlo alla liturgia. Occorre passare all’operatività. Per questo nomineremo un responsabile della Cgil che si occupi nello specifico di formazione, coordinando e promuovendo le iniziative, generali e di categoria. E poi imponiamo, per ogni categoria in sede di bilancio preventivo, un piano della formazione, su cui rendicontare in sede di consuntivo. E poi ancora altre iniziative. Infine, il dibattito interno sui grandi temi sociali, che oggi non c’è. Allora si capisce, per esempio, come mai i sentimenti anti-immigrati siano così diffusi, tra gli iscritti e i delegati. Ma non se ne parla.

E invece no: se vogliamo assumere questo nuovo ruolo, dobbiamo aprire una, dieci, trenta discussioni. Dedicare una parte del monte ore delle Rappresentanze Sindacali, proprio alla discussione: sugli immigrati, l’inceneritore, la Tav, la sanità, le tasse…".