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QT n. 7, 7 aprile 2008 L’editoriale

13 aprile: un passo avanti?

La doppia anomalia della politica italiana: Berlusconi politico improbabile; il centro-sinistra con il segretario-disoccupato che è persona diversa dal premier (cui fa le scarpe). Ma ora si può sperare in un'evoluzione, in quanto...

Parliamo del voto del 13 aprile partendo dalla duplice anomalia della politica italiana, di cui non molti hanno discusso. A dire il vero, della prima anomalia – Berlusconi – si è parlato a iosa, fino a farla apparire un dato quasi pacifico: l’incredibile conflitto d’interessi, le pendenze giudiziarie, gli intrecci con storie oscure, e poi gli aspetti banali e folkloristici del personaggio, la sua incultura e incapacità politica, pareggiati solo da un sapiente uso del marketing, la sintonia con gli umori profondi di parte della popolazione e soprattutto un uso spudorato del vantaggio mediatico. Con tutto questo si è intrecciata l’anomalia del campo avverso, che gli ha reso impossibile una vittoria definitiva: l’anomalia dovuta alla doppia leadership: da una parte il capo del governo (sostanzialmente Prodi), dall’altra il segretario del partito egemone (soprattutto D’Alema prima e Veltroni poi). Una doppia leadership fraterna a parole, conflittuale nei fatti: con il segretario dei Ds o del Pd che – aborrendo starsene con le mani in mano – di fatto si metteva a lavorare in concorrenza col governo amico.

Lo si è visto all’inizio di quest’anno: esplosa l’anomalia Berlusconi, con la Casa della Libertà a pezzi, Veltroni si guardava bene dall’aspettare l’evolversi del conflitto nel campo avverso fino al punto di non ritorno, ma lanciava una ciambella di salvataggio proclamando Berlusconi partner di un percorso istituzionale teso al rimodellamento delle regole elettorali in senso più conseguentemente maggioritario. Ottenendo così un duplice risultato: da una parte la rilegittimazione di Berlusconi e il ricompattamento della Casa della Libertà, dall’altra l’esplosione della fragile alleanza di centro-sinistra (basata sull’apporto di diversi partitini) e l’affondamento del governo Prodi.

E non era la prima volta. D’Alema col primo governo Prodi aveva percorso l’identico tragitto: rilegittimazione di un Berlusconi sconfitto e sbeffeggiato dagli alleati, disegno di un comune percorso istituzionale, siluramento di Prodi. Sbagliare la seconda volta non solo è diabolico; è sistematico.
Evidentemente il segretario disoccupato, nel sistema partitico italiano non regge; e la seconda anomalia (presidente e segretario due persone distinte e conflittuali) finisce per compensare la prima (Berlusconi politico improbabile).

Se le cose stanno così, come giudicare il seguito, cioè la campagna elettorale? Diciamo che Veltroni, che nel primo tempo tanto aveva pasticciato, anzi, distrutto, nel secondo tempo ha ricostruito. Lo schema dell’andare da soli (non vero al 100%, ma è secondario) ha razionalizzato il quadro politico e reso più coerente la piattaforma elettorale. La cosa si è ripercossa nel centro-destra, razionalizzatosi anch’esso, sia pure in maniera più blanda e con uno spostamento a destra (espulsione di Casini, maggior peso di Bossi).

L’avere poi messo al centro della campagna, anzi dei problemi della nazione, le condizioni di vita degli strati più disagiati (pensioni, precari, carovita, salari, occupazione) è un altro merito di Veltroni. Anche perché si è invertita la deriva culturale di decenni di politica economica: si sosteneva la politica dei due tempi, prima lo sviluppo economico, poi la redistribuzione della ricchezza prodotta; ora si sostiene al contrario che volàno della ripresa deve essere l’aumento dei consumi delle classi disagiate. Con il che, fra parentesi, si dimostra la profonda discutibilità delle teorie economiche, presentate invece - e con quale sussiego! - come oggettive.

Con questa riproposizione della centralità del tema sociale (accettata da tutti, a iniziare dagli avversari, subito lanciatisi nella risposta del "più uno!") Veltroni ha ottenuto anche un effetto politico: ha reso quasi indolore la fine della stretta alleanza con la sinistra di Rifondazione e Verdi. Con la quale su questo terreno sono plausibili ampie convergenze, un confronto culturale, e in ogni caso una competizione elettorale non sanguinosa.

Ci sono poi ancora ampie zone d’ombra. L’indeterminatezza della copertura di tutte queste promesse, alcune delle quali sgangherate (addirittura il ritorno dei riscatti degli appartamenti pubblici come sistema di finanziamento dell’edilizia popolare! Quando le leggi sui riscatti la sinistra le votava giurando "questa volta sarà l’ultima"); la pericolosa introiezione della demonizzazione del fisco; la sottovalutazione del tema regole/giustizia/criminalità, che avrebbe dovuto essere riportato all’attenzione dallo scandalo rifiuti; il calo di tensione sulle regole interne ai partiti, con la messa in mora delle primarie e dei codici etici; le vaghezze sulla politica estera. Di alcuni di questi temi discutiamo nelle pagine interne in un faccia a faccia con due candidati del Pd e del Pdl.

Per intanto vogliamo essere ottimisti. E registrare un passo avanti nella direzione di una ridefinizione della politica italiana. Con un centro-sinistra meno partitocratico, e di conseguenza, un centro-destra non berlusconiano. Stiamo sognando?