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La “trilogia” dell’insicurezza Goldoni al “sociale” di Trento

Carlo Goldoni (1707-1793) abitò il XVIII secolo lastricando la propria carriera artistica di indelebili capolavori teatrali: oltre 200 opere, in italiano, in veneziano, in francese, in prosa, in versi. Un’opera enciclopedica, per lunghezza ma anche per contenuti storici, antropologici, sociologici. La circolazione delle sue commedie, nel corso dei secoli, è stata tuttavia circoscritta ad alcune decine di opere via via divenute sempre più richieste a scapito di tutte le altre. È il caso della cosiddetta Trilogia della villeggiatura, riunita in un unico spettacolo nel 1954 da Giorgio Strehler, e che dall’11 al 14 marzo scorso Toni Servillo, eclettico attore-regista, ha presentato al Teatro Sociale di Trento, co-prodotto dal Piccolo Teatro - la creatura di Strehler - e dai Teatri Uniti.

La riunione delle tre opere in una sola, resa lecita da alcune note al testo di Goldoni, non è mai stata scevra di necessari sacrifici, comportando infatti tagli di scene e di personaggi. Secondo Italo Calvino “è classico ciò che tende a relegare l’attualità al rango di rumore di fondo, ma nello stesso tempo di questo rumore di fondo non può fare a meno. [...] È classico ciò che persiste come rumore di fondo anche là dove l’attualità più incompatibile fa da padrona”, ma anche un’opera “che si configura come equivalente dell’universo, al pari degli antichi talismani”. Si comprenderà tra poco la validità di queste definizioni.

La “villeggiatura” di cui Goldoni tratta nella sua trilogia comportava nel ‘700 lo spostamento di famiglie agiate dalla città alla villa, ossia alla campagna, sede abituale dei villani, cioè dei non-borghesi, e tuttavia luogo alla moda in cui trascorrere i mesi della buona stagione. Descrivendo smanie‚ avventure e malinconico ritorno dalla villeggiatura, il drammaturgo veneziano affidò al pubblico del futuro una specie di sceneggiatura profetica ed eterna di quel che sarebbe stata poi anche denominata la “fiera della vanità” (per citare l’inglese Thackeray). Nell’intreccio di discorsi e comportamenti messi in atto da 5 coppie di single, Goldoni rende vivace e nitida una serie di quadri che rappresentano e nel contempo denudano l’incostanza e la superficialità delle relazioni umane, soprattutto tra uomini e donne, ma non solo.

Malgrado i “tradizionali” tagli, la lettura registica di Servillo ha rispettato la scrittura teatrale senza (inter)ferire il testo originale, sostenuta da un cast eccellente, rendendo piacevolmente sopportabili le quasi tre ore di spettacolo. Degni di nota i sontuosi costumi (un po’ meno l’arredamento), è stato un piacere vedere al lavoro, oltre a Servillo, splendido gagà cacciatore di dote, anche il vecchio leone Paolo Graziosi, una vita per il teatro, naturalissimo e magistrale Filippo sul palco.

Dimenticata temporaneamente l’attualità, in full immersion goldoniana, a poco a poco ne abbiamo ritrovato traccia, tramite un percorso-indagine in cui ci siamo specchiati, sentendoci alla fine pronti per ritornare alla realtà umana, dopo averne ripassato pregi e difetti. (I classici vanno letti, aggiunge Calvino, perché “sono libri che esercitano un’influenza particolare sia quando s’impongono come indimenticabili, sia quando si nascondono nelle pieghe della memoria mimetizzandosi da inconscio collettivo o individuale”).

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