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QT n. 8, settembre 2010 Servizi

Ripartiamo da L’Aquila

Dalle macerie spiragli di democrazia

Stefano Bleggi
Foto di Simona Granati

La sera del 31 luglio gli aquilani si sono ripresi la propria città, attraversando la notte bianca che fino all’alba ha visto l’esibizione di più di duecento artisti nelle cinque piazze del centro storico. Una grande festa e denuncia organizzata dall’Assemblea cittadina di Piazza Duomo, dove tutti si sono messi gratuitamente a disposizione.

Sono passati 480 giorni dalla notte del 6 aprile quando lo sciame sismico portò lutti - mentre altri ridevano - e cambiò per sempre il ritmo e le pulsazioni di una comunità intera. Da allora il centro storico è ancora chiuso, le poche piazze riaperte lo sono soltanto fino alle 23, mentre i militari aspettano quell’ora per mettere i lucchetti alle transenne. Quel centro storico immobile e deserto, che se visiti di notte disobbedendo al coprifuoco ti accorgi che è lì, sospeso, con le macerie in mostra, puntellato in ogni angolo anche dove - ti raccontano - non serviva, è oggetto di ruberie e appalti truccati, come le cronache di questi ultimi mesi ci hanno descritto.

Era la prima volta che L’Aquila viveva una notte nelle vie del centro. “Gli abitanti di questo territorio - è l’inizio del testo che viene letto dai palchi - possono e devono progettare autonomamente il loro futuro, ma hanno bisogno di regole chiare e fondi certi. Imposizioni governative sulla ricostruzione, mai accadute per gli altri terremoti, sono un atteggiamento neo-coloniale intollerabile che nasconde prossime speculazioni sulle nostre vite. Tutti abbiamo perso molto, ma non la dignità. Tutta la città ha dimostrato di saperla difendere con orgoglio. Se sarà necessario agiremo con forme di lotte ancora più dure e determinate. Non lasciamo il nostro futuro in mano ad altri”.

Ad applaudire queste parole c’è il “popolo delle carriole”, la stessa moltitudine che a luglio è arrivata a Roma con più di 40 pullman ed è stata bloccata dalle cariche della polizia mentre si stava recando sotto il Parlamento per chiedere, attraverso una legge organica, la sospensione di tasse e tributi, il congelamento dei mutui e misure di sostegno all’occupazione e all’economia. La gente oramai è disillusa dalle promesse governative e lo striscione “Riprendiamoci la Città”, che sovrasta il tendone del presidio in piazza Duomo, ben esemplifica la frase “Non più è possibile agire su queste zone senza prendere in considerazione le espressioni del territorio e i suoi abitanti”, che nei discorsi degli aquilani ricorre spesso.

Una Rete di Giustizia

Foto di Simona Granati

Sotto il tendone il giorno precedente si è svolta la prima assemblea promossa dalla neonata Rete Italiana per la Giustizia Ambientale e Sociale (RIGAS) dove persone da vari luoghi d’Italia, dal Trentino (come chi scrive) alla Puglia, hanno animato tre giorni di campeggio, autoformazione, dibattiti e tavoli di lavoro. Titolo: “Ripartiamo da L’Aquila”. RIGAS riunisce una settantina tra comitati, associazioni, sindacati, movimenti sociali per affrontare la minaccia dei cambiamenti climatici che a livello mondiale sempre più sconvolgono la vita di intere popolazioni. Prende spunto dalla dichiarazione chiamata “Accordo dei Popoli” elaborata dalla società civile internazionale a Cochabamba, in Bolivia, lo scorso 22 aprile, durante la prima Conferenza Mondiale dei Popoli per la Giustizia Climatica ed i Diritti della Madre Terra. Questo manifesto cerca di affrontare in maniera completa le responsabilità e le cause ed individuare concretamente misure efficaci per affrontare e risolvere la crisi ecologica della nostra casa comune, la Madre Terra.

E nel solco di queste suggestioni che provengono dal paese diventato famoso nel 2000 per la vittoria dei boliviani contro la privatizzazione dell’acqua, a L’Aquila si è parlato, nei workshop proposti, di temi centrali per il futuro del pianeta (giustizia ambientale e climatica, nuove migrazioni, privatizzazione dell’acqua, sovranità alimentare, politiche energetiche, modello di sviluppo e green economy), guardando con attenzione al prossimo vertice Onu a Cancun a fine novembre.

Foto di Simona Granati

Inoltre si è discusso molto de L’Aquila come città eletta a modello sperimentale di controllo del territorio, nel capitalismo - per dirla alla Naomi Klein - da Shock Economy e dei disastri. Come ricordano gli aquilani nell’appuntamento bisettimanale dell’Assemblea cittadina, nemmeno gli enti locali hanno mai cercato una vera partecipazione dei cittadini, che invece nella realtà si organizzano, costruiscono tavoli di approfondimento sui temi legati alla ricostruzione e propongono assemblee aperte e orizzontali: in pratica, l’opposto del modello accentrato, verticale e basato su un controllo militare del territorio, vissuto nei dieci mesi di emergenza del dopo sisma.

Dopo le 3 e 32

Foto di Simona Granati

Un’esperienza che vale la pena di vivere è quella delle CaseMatte di Collemaggio, sede del Comitato 3 e 32 (www.3e32.com), vicino proprio a dove sorge la basilica più volte inaugurata dal governo per dare agli italiani l’impressione che la ricostruzione stesse proseguendo. “Questa è la nostra vita, il nostro tempo, la nostra città” avverte con semplicità uno striscione nella piazza di Collemaggio. Qui i ragazzi del collettivo ti raccontano come la tragedia del terremoto abbia portato un’insperata voglia nei più giovani di partecipare alla vita della comunità e alla sua ricostruzione. Sono questi i motivi che hanno fatto scegliere a molti di loro, dopo le 3 e 32 del 6 aprile, di contro-emigrare dalle città dove stavano risiedendo e di dare vita a un laboratorio sociale come quello delle CaseMatte. Fin dai primi giorni del post terremoto hanno rifiutato le norme restrittive dei campi (addirittura il divieto di assemblea o di visitarne un altro) per crearne uno autogestito e ad ottobre si sono trasferiti in alcuni locali dell’ex ospedale psichiatrico allestendo posti letto, una cucina comune, un media point e uno spazio per i concerti e il teatro.

E a salire sulla collina che sovrasta la città si capisce che a L’Aquila di uno spazio di socialità, della voglia di stare insieme e di mettersi in gioco riprendendosi in mano il destino ce n’è bisogno come l’aria.