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Ci salveranno i cinesi?

L’Europa è in coma, ma anche USA e Giappone rischiano grosso

Dal nostro piccolo orticello italiano, dove piccoli personaggi duellano come nel teatro dei pupi ma senza che ben si capisca chi sia ormai il “puparo” (o il capo-comico), si fatica a volte a vedere con la necessaria chiarezza come e quanto nel frattempo il mondo intorno a noi vada mutando.La Grecia è sul baratro, e dietro si trascina nell’ordine Portogallo, Irlanda, forse il Belgio. Ma vi sono stati chiari indizi in questi giorni anche della debolezza italiana, si dubita ormai della vulgata di Tremonti che vuole l’Italia un po’ malconcia per il debito e l’occupazione, ma in fondo “stabile” e tranquilla sul breve periodo. Nei salotti finanziari della Comunità Europea si naviga a vista. Il timore, neanche troppo nascosto ormai, è che il dichiarato default di uno stato, per quanto piccolo, possa innescare una reazione di paura sui mercati e un crollo a valanga della fiducia e delle borse.

Ormai tra i big europei non è più solo l’Italia ad avere un mega debito pubblico: l’Inghilterra e la Spagna non stanno molto meglio. I mercati sono nervosi, e se un crack tirasse l’altro... a quel punto forse la Banca Centrale Europea - che il bravo Mario Draghi si accinge a guidare - potrebbe non avere munizioni sufficienti per tamponare insieme il debito greco, quello portoghese, quello irlandese, quello spagnolo... Naturalmente il sistema finanziario mondiale non potrebbe permettersi un crack generalizzato dell’Europa, che si tirerebbe dietro inevitabilmente il Giappone, da anni in sofferenza, e, a ruota, l’America. Interverrebbe probabilmente la Cina, “cavaliere bianco” a quel punto invocato da tutti, che possiede le maggiori riserve valutarie mondiali e, di rinforzo, anche la finanza araba (quella dei petrodollari). L’Europa sarebbe per così dire premurosamente soccorsa e assistita, ma in sostanza commissariata dalla finanza asiatica per gli anni (i decenni?) della necessaria convalescenza. Con le conseguenze geopolitiche che si possono immaginare: crollo del suo peso politico a livello planetario, distanziamento dall’alleato atlantico che oggi non ha più Piani Marshall da proporre. Forse una crisi di questo tipo forzerebbe l’Europa a scelte coraggiose, per esempio a promuovere una grande comunità euro-arabo-mediterranea (idea cara a Sarkozy), in cui fatalmente però i rapporti di forza verrebbero ridiscussi.

Quello che abbiamo descritto è solo fantapolitica? Il fatto è che dalla crisi della Lehman Brothers in poi il mondo è cambiato rapidamente, non tanto nella sua realtà, quanto direi nella percezione che ne abbiamo. Almeno dalla fine del millennio c’erano già tutti gli ingredienti del cambio epocale in atto: crescita esponenziale dell’Asia, ripresa della Russia post-sovietica, evidente declino europeo. Già allora nei centri studi si pronosticavano grandi mutamenti. Ma tutto questo restava appunto materia di studi e convegni; oggi invece la percezione del cambiamento è generalizzata, tra le élites e le masse. Solo non si comprende ancora fino in fondo con quanta rapidità e profondità esso stia avvenendo. Non solo il sorpasso del PIL cinese su quello USA è dato per certo nel giro di qualche anno. L’India fa ormai una politica economica a livello planetario: a maggio ha organizzato un summit in Etiopia coi paesi africani, per contenderli alla Cina sui mercati; l’Asia Centrale ex-sovietica si sta trasformando nel principale fornitore di gas; la più dinamica economia europea dei prossimi vent’anni non sarà la Francia o la Germania ma...la Turchia! Infine, il mondo arabo, rivoluzionato e pieno d’energie giovani, sarà sicuramente della partita, accanto ai paesi del BRIC e dell’Asia Centrale.

Chi ci perde in questo generale riequilibrio dei rapporti di forza è evidente: Europa, Giappone e USA. Fino a pochi anni fa esprimevano col controllo delle grandi istituzioni internazionali il governo de facto del pianeta, ora si trovano in affanno: crisi economica, geopolitica e di élites. Il G-8 è ridotto a un club di vecchie signore decadute; al suo posto ora c’è uno scalpitante G-20. Neppure messi insieme europei e americani riescono più a imporre una loro agenda sullo scenario internazionale. La piccola guerra alla Libia, il pantano afghano, l’impotenza a risolvere la questione palestinese: solo alcuni esempi della generale crisi di egemonia dell’Occidente euro-americano, dello smottamento del Vecchio Ordine. In ogni sede internazionale è sufficiente ormai che Cina o India alzino il dito e bisogna fermarsi o tornare al tavolo per ridiscutere tutto. Nel frattempo la conflittualità sociale sta salendo in Europa (la protesta araba, qualcuno l’aveva intuito, non si sarebbe fermata alla sponda sud del Mediterraneo). La pancia dell’Europa reagisce spaventata al cambiamento. Le destre estreme o leghiste ci soffiano sopra e ritornano a mietere consensi in tutta Europa. Le vecchie élites di sinistra sembrano terrorizzate dall’idea di tornare a governare proprio ora, con la crisi galoppante e le piazze in rivolta.

Ma sarà proprio la Cina comunista a dover salvare il vecchio decrepito capitalismo euroamericano? Le banche cinesi, già detentrici del più grosso stock di titoli del tesoro USA, si sono offerte di acquistare anche i bond del debito pubblico greco o irlandese; domani il “cavaliere bianco” cinese acquisterà anche i bond spagnoli, inglesi o italiani? E a quali condizioni?